Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  agosto 06 Sabato calendario

Claudio Strinati parla di Roma e di arte

Claudio Strinati quando capì che la storia dell’arte sarebbe stata la sua strada? 

«Da bambino ero spesso affidato a mio nonno Remigio Strinati, critico e storico dell’arte, giornalista. Mi portava alle giostre di Porta san Giovanni. Le adoravo. Lì c’è una statua di san Francesco realizzata da un bravo scultore e suo amico, Giuseppe Tonnini, nel 1927. Nonno mi raccontava della statua e mi portava nella Basilica. Ma senza “insegnarmi” niente. Applicava il criterio critico, dicendomi con un sorriso che la facciata del 1732 di Alessandro Galilei, discendente di Galileo, non era niente di speciale, anzi, perché probabilmente aveva vinto il concorso saltando alcuni passaggi. Magari, come si dice oggi, era raccomandato. Mi trasmise l’idea che l’arte fosse qualcosa di normale, di quotidiano. E che, come faceva lui, ci si poteva persino campare. Parafrasando una battuta che circola tra voi giornalisti, occuparsi d’arte è sempre meglio che lavorare».
Dunque la vicenda del Patrimonio italiano... 
«...Per me non è mai stata oggetto di venerazione ma parte della normale vita. Non occorre adorare l’arte. Basta avvertirne la presenza. Tutto questo nasce dalla percezione cattolica dell’arte. Ci siamo mai chiesti perché l’Italia non ha mai distrutto l’immenso Patrimonio che possiede?».

E cosa c’entra il cattolicesimo? 
«C’entra perché non è un’ideologia ma una fede, un modus vivendi. I rivoluzionari francesi distrussero le statue dei re di Francia sulla facciata di Notre Dame perché occorreva cancellare le tracce della monarchia: ideologia! Il cattolicesimo considera la produzione dell’arte come una parte organica dell’esistenza. Lascia la libertà di apprezzarla molto o di disinteressarsene. Il disinteresse non produce distruzione...».
Claudio Strinati, sposato con la scrittrice e saggista Annarosa Mattei, nato a Roma... 
«Sì, da famiglia paterna marchigiana e materna avellinese. A proposito di antenati... a Roma esisteva la potente Confraternita dei Fiorentini, ricca di banchieri e commercianti. Pochi anni fa una mia amica studiosa ha scoperto che un Tommaso Strinati, fiorentino, all’inizio del ‘500, ne era il segretario e registrava gli iscritti che arrivavano a Roma. Sotto la sua firma si registrò Leonardo da Vinci. Per un caso incredibile della sorte, mio figlio si chiama Tommaso, nome deciso anni e anni prima della scoperta».
Anche lei detesta la retorica della Grande Bellezza? 
«No, anzi: sono tra gli estimatori del bel film di Paolo Sorrentino e dell’ideologia che ne è sottesa».
Roma, com’è oggi, è ancora... 
«...La più bella città del mondo? Certamente sì. Ma a patto che si agisca su di lei non retoricamente ma come parte della vita quotidiana di chi la abita, la vive, ci lavora».
Roma significa anche Caravaggio. Sommo artista, però assassino di Ranuccio Tommasoni dopo una lite a Campo Marzio il 28 maggio 1606. Lei studia da anni quel genio... 
«Caravaggio era un figlio del suo tempo. Roma era città di grandissime conflittualità. In quella circostanza, Caravaggio agì secondo una frequentatissima logica di comportamento e, esaminando il caso, c’è anche da propendere per la legittima difesa. Essendo il più grande dei pittori, sembra che anche quell’episodio lo sia, ma non è così».
Cosa pensa della famosa accusa di Joyce a Roma? Una città che sopravvive esponendo il cadavere della nonna, cioè le antichità. È così? 
«Assolutamente no. Joyce assorbì l’aspetto per lui più disturbante del giudizio estasiato di Freud: io giro per le strade, metto un piede nell’antichità classica, poi nel Medioevo, quindi nel Rinascimento ma è tutto presente. Invece quel cadavere evoca l’idea di tomba, di civiltà sepolte come quella egizia o etrusca. Ma Roma è il frutto di stratificazioni millenarie affidate a noi perché le viviamo oggi ogni giorno, lasciando altre stratificazioni su qualcosa di vivo e insieme perenne: la Città Eterna. La Città Proibita di Pechino è recintata, per visitarla occorre entrare in uno spazio circoscritto. A Roma ci viviamo, ci lavoriamo».
Lei è stato dal 1991 al 2009 Soprintendente al Polo museale romano. Lavorare a Roma si può, nonostante la burocrazia? 
«Accidenti! Lavorare a Roma si può. Anzi, si deve: perché è un privilegio. Amministrare il Patrimonio è complesso. Le competenze sono tante e diverse. Ora siamo in un momento fantastico, e ho un’età in cui posso esprimere giudizi liberi da ogni possibile piaggeria. Al Parco archeologico del Colosseo c’è Alfonsina Russo, alla Soprintendenza speciale di Roma Daniela Porro, alla Sovrintendenza comunale Claudio Parisi Presicce, al Museo nazionale romano Stéphan Verger. Raramente ho visto insieme tante persone preparate al posto giusto. Si dovranno armonizzare le competenze tra poteri comunali e statali. Ma il problema è istituzionale».
Il mondo dell’arte a Roma è anche pettegolezzi, grandi amori. Anni fa diventò pubblico l’appassionato carteggio tra Giulio Carlo Argan grande storico dell’arte ed ex sindaco di Roma, e Palma Bucarelli. Fece sensazione. Due protagonisti della scena culturale romana entrambi sposati, negli anni 60: lettere ricche di dettagli intimi. 
«Per Argan vale ciò che ha detto Mario Draghi salutando i parlamentari: non solo il cuore dei banchieri centrali ma anche quello degli storici dell’arte batte e viene usato. Argan era un riservato torinese ma il suo afflato d’amore era tempestoso. Magari non lo dichiarava alla Pino Daniele, ma... Sono propenso a pensare che la più controllata fosse lei, tra due giganti assoluti della storia dell’arte del secondo ‘900. La Galleria Nazionale d’arte moderna non sarebbe quella che è, senza Palma Bucarelli. I meriti dottrinali di Argan sono indiscutibili. Si sono anche amati? Certo che sì».
Un cruccio, una preoccupazione? 
«La splendida Cappella Mattei di Mattia Preti alla Consolazione. Capolavoro minacciato da secoli dall’umidità: lo amo immensamente sapendo che, nonostante i restauri, potrebbe un giorno sparire...».
Se avesse il potere di decidere come e dove rinascere, sceglierebbe sempre Roma? 
«Assolutamente sì».
Soffre vedendola ricoperta di rifiuti, preda di mille degradi? 
«Certo. Ma governare Roma, crocevia di mille implicazioni sociali, è un’impresa immane. L’hinterland romano è grande come una regione. Io amo profondamente Milano, l’ho studiata, ma quando sento fare paragoni ricordo che equivale a due quartieri romani. In più ci sono i centri di potere, e non mi riferisco alla malavita. L’impero romano ideò il sistema politico familiare, delle gens. E continua ancora oggi».
Ottimista o pessimista sul futuro dell’Italia e di Roma? 
«Ottimista, senza esitazioni. La concezione pessimistica semplicemente non mi appartiene».