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 2022  agosto 06 Sabato calendario

Catalogo dei musicisti senza volto

All’inizio c’era un punto di domanda. Nel senso che i primi in assoluto a creare attorno a sé un alone di mistero furono gli oggi sconosciuti ? and the Mysterians, una band del Michigan dei primi anni 60 il cui cantante si faceva chiamare ? (in inglese “Question Mark”) e gli altri “X”, “Y” e “Z”. Le vere identità dopo un po’ vennero svelate, si trattava di figli di immigrati messicani che preferivano non apparire. Il bello è che il famoso “?” nasce come equivoco, dovevano infatti chiamarsi semplicemente Mysterians ma quando l’impresario del loro primo concerto chiese al cantante come si chiamava lui rispose “punto di domanda” per non rivelare il suo vero nome e così venne stampato sulla locandina: il fatto creò un tale interesse attorno a loro che a quel punto decisero di lasciarlo così.
A livello concettuale era già tutto lì: il mistero crea hype e l’hype crea pubblico. Anche se in realtà non tutte le band misteriose lo fanno per quello. I Residents per esempio, la più longeva (il loro primo album, Meet the Residents è del 1974 e sono ancora in attività) hanno scelto l’anonimato motivandolo con la complessa “Teoria dell’Oscuramento” che, riassunta in breve, stabilisce che per produrre arte pura senza cedere al commercio si deve restare fuori da qualsiasi circuito economico e dalla popolarità legata al successo. Testi legati al surrealismo e tattiche da guerriglia culturale situazionista: sulla copertina del loro primo album campeggiava un collage con le foto dei Beatles e il brano Beyond the Valley of a Day in the Life conteneva vari campionamenti della band di Liverpool, in particolare quello di John Lennon ripetuto più volte, che dice “don’t believe in Beatles”. Tutto questo e il fatto che amavano farsi chiamare “The New Beatles” porterà alla leggenda, ovviamente infondata, che si trattava dei Beatles riunitisi in segreto per uno scherzo neodadaista, fatto che la frequentazione delle avanguardie da parte di Yoko Ono rendeva ancora più credibile. Vestiti da bulbi oculari, i Residents amavano insomma diffondere false informazioni attorno a sé e il loro mistero, almeno in parte, rimane ancora.
Fino a qui restiamo nel campo degli artisti di nicchia ma con i Daft Punk arriviamo a una delle band più famose della storia. Agli inizi della loro carriera, nel 1997, si sapeva pochissimo di loro. Si conoscevano i nomi (Thomas Bangalter and Guy-Manuel de-Homem Christo) ma non i loro volti, dal momento che in tutte le foto e nei concerti apparivano con avveniristici caschi da robot. Tanto che per intervistarli sorgeva il dubbio su come avrebbero fatto a parlare attraverso il casco. Nessun sistema informatico avveniristico in realtà: semplicemente non avevano alcun casco. Le foto però erano vietate e non c’erano ancora gli smartphone.
Presto comunque, nonostante le attenzioni, cominciarono ad apparire le immagini dei volti, fatto che non impedì ai Daft Punk di continuare a indossare i caschi durante i loro concerti pur mutandoli nel tempo. Volontà di riservatezza per condurre una vita privata più tranquilla, ma non solo dunque. Come dimostra il loro film del 2006, Electroma, sembrano nutrire una vera ossessione per il rapporto macchina/essere umano. Nel film infatti si vede unacittà dove tutti gli abitanti sono robot e i due Daft Punk si fanno impiantare un volto umano che si scioglie al sole per poi autodistruggersi, una tematica ripresa anche nel febbraio 2021, quando con il video Epilogue ufficializzarono il loro scioglimento dopo 28 anni: i due si incontrano nel deserto e uno fa esplodere l’altro sulle note di una canzone che recita “Hold on, if love is the answer, you’re home”. Il sentimento contro la freddezza del robot: dopotutto siamo umani (Human After Hall, come recita un loro famoso brano).
Tra gli artisti più strambi c’è poi Buckethead, uno straordinario chitarrista con in testa un secchio che ha pubblicato più di 300 album solisti e suonato con personaggi come i Guns N’ Roses: nel suo caso il motivo della maschera è una patologica riservatezza. Anche i Gorillaz di Damon Albarn gli servivano per schermarsi dalla popolarità con i Blur: la band suonava dietro uno schermo con il cartone animato di una band virtuale.
Al contrario, per gli Slipknot il motivo era creare hype con le loro spaventose maschere, sul modello dei Kiss. Infine, in Italia, prima di Liberato, c’erano I Cani: agli inizi si esibivano con un sacchetto di pane in testa per la timidezza del cantante, Niccolò Contessa, che però si stancò quasi subito: era troppo complicato, così durante un concerto a Milano si tolsero tutti la maschera. Per quanto riguarda Liberato infine, nonostante sia stato (forse) smascherato esiste un margine d’incertezza: il caro, vecchio punto di domanda.