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 2022  agosto 04 Giovedì calendario

L’evoluzione spiegata in romanesco

“La scienza coatta” è un progetto di divulgazione scientifica, in romanesco, ideato da Paolo Barucca (PhD inFisica teorica alla Sapienza, ricercatore in fisica dei sistemi complessi e disordinati electurerall’University College London), Sandro Iannaccone (fisico e giornalista) e Letizia Sacchi (architetto che si occupa anche di graphic design). Cominciata come pagina Facebook nel 2015 è oggi anche un profilo Instagram, molto seguito. Dopo un anno e mezzo di frequentazione assidua delle loro rubriche, dei commenti all’attualità scientifica, e della sezione biografica di scienziati e scienziate mi pare siano riusciti a sfatare due luoghi comuni. Che gli scienziati non siano intellettuali, e che gli intellettuali non siano comici.
Come e quando nasce l’idea della scienza coatta?
«Nel 2015 e si continua ad espandere (come l’universo) con l’aiuto di molti volontari. C’è stato un momento, in una situazione goliardica (come il progetto, d’altronde), in cui ci siamo resi conto che spesso l’immagine mediatica che abbiamo è di una scienza ovattata, che risponde con metodi astrusi a domande ancora più astruse, affidata a queste figure (gli scienziati), seriose, accademiche. Volevamo liberare il mondo da questa immagine e restituirle una più realistica, verace e, fondamentalmente, coatta.
Fleming scoprì la penicillina perché, partito per le vacanze, aveva lasciato il laboratorio sporco. Newton, per studiare ilfunzionamento della vista, si infilò un ago in un occhio; Buzz Aldrin prese a pugni i negazionisti dell’allunaggio».
Una forma di pensiero laterale.
«Ecco, i benpensanti lo chiamerebbero pensiero laterale, approccio alternativo, intuizione non convenzionale. Per noi la parola adatta è “coattanza”, ovvero l’atteggiamento mentale e fisico di chi sa come imporsi nelle situazioni, nel bene o nel male, con arroganza, simpatia e un pizzico di bonaria ingenuità. Lo facciamo provando a raccontare, oltre i concetti scientifici, anche le vicende umane e gli aneddoti più curiosi che riguardano gli scienziati, forte e chiaro, senza filtri, tramite i meme, immagini con didascalie ironiche e dissacranti, (meme, parola che peraltro, fu coniata proprio da uno scienziato, Richard Dawkins nel 1976)».
Che cosa aggiunge o toglie, l’uso del dialetto romano?
«“Parlare oscuramente lo sa fare ognuno, ma chiaro pochissimi” Galileo Galilei parlava così della scrittura di Torquato Tasso nelleConsiderazioni al Tasso . Lo scienziato sceglie l’italiano, una scelta polemica contro il latino inteso come lingua della chiusa casta di scolastici e accademici, ecco perché il logo con Galileo Galilei e la mano a cucchiara . Il romanesco è il dialetto del popolo, per dire le cose papale papale , del parla come magni , ha aggiunto alla nostra narrazione la possibilità di parlare a tutti, ci permette di calarci in situazioni quotidiane e trovare quella complicità con i nostri utenti, di esprimere quelle tante qualità umane che ci sono dietro alprocesso di scoperta: perseveranza, cocciutaggine, confronto libero e diretto, faccia tosta».
Perché gli scienziati non vengono considerati intellettuali?
«Esiste una divisione abbastanza netta tra i curricula umanistici e scientifici, dalla scuola superiore all’università e c’è, o perlomeno, c’è stata per lungo tempo anche in ambito lavorativo. Non sappiamo se è una divisione specifica perl’Italia, però la sensazione è che la situazione stia cambiando e ci sia maggiore consapevolezza del ruolo del pensiero scientifico all’interno del mondo culturale e del lavoro più in generale. Detto papale papale,
non capicce un cavolo de scienza o matematica non fa più figo».
Nella vostra sezione “Giovedi Gnocche” proponete una galleria di scienziate. Sono moltissime. Come mai però innominate?
«Dopo i Nobel del 2019, io (Letizia) e le altre ragazze autrici volontarie, ci siamo rese conto che il numero di questi riconoscimenti assegnati a donne scienziate era (ed è) molto basso: glieli avremmo dati noi, in una sorta di riscatto. Partendo da questo, e anche dal fatto che un nostro meme su Rita Levi-Montalcini del 2015, (quindi un meme su una scienziata donna) spopolò, abbiamo iniziato a scrivere su qualunque scienziata donna, più o meno conosciuta dal pubblico, non solo i casi “eccezionali”, ma anche, in un vortice di serendipità durante le ricerche, di personalità poco trattate».
Escluse dalla storia e anche dalla storia della scienza?
«Sì, la storia della scienza non fa eccezione: in un libro di Anna Reser e Leila McNeill, due storiche della scienza e scrittrici, si racconta come le donne nella scienza siano la regola, non l’eccezione come invece la narrazione comune vuol far credere; non ci sono state solo Marie Curie (l’unica a ricevere due Nobel) e Rosalind Franklin, esclusa dal Nobel, ma altre personalità che stupisce sempre scoprire dietro ad una ricerca scientifica, soprattutto se si tratta di scienziate vissute quasi un secolo fa. Finite forse nel dimenticatoio in un mondo scientifico dominato dalla figura dello scienziato maschio».
Nei vostri post usate lo schwa.
Perché e da quando?
«Usare lo schwa è stato (e quale termine migliore per dirlo) un esperimento, una ricerca, come provare a declinare tutto in romanesco. Abbiamo fatto una prova, ci siamo lanciate per capire se effettivamente la scienza fosse inclusiva e anche il nostro pubblico (rimasto piacevolmente stupito). Si sa che l’aver introdotto lo schwa si riferisce ad un linguaggio inclusivo, e noi quando facciamo divulgazione abbiamo sempre voluto rivolgerci a tutti»
La scienza è inclusiva?
«Il mito dello scienziato solitario e geniale è stato smontato da un pezzo, come ha detto anche il Nobel Giorgio Parisi. La scienza è fatta anche e soprattutto di fallimenti, collaborazioni e piccoli contributi che potenzialmente chiunque può dare; un concetto da scienziati per scienziati maanche forse nel senso politico di
polis,di essere parte di una popolazione, e quindi di poter educare all’insegnamento del metodo scientifico, come funziona la scienza, su cosa si basa e come lavora».
C’è un’altra declinazione di inclusività.
«Certo, non si tratta solo di cooperazione, ma di sentirsi a proprio agio nell’ambiente di lavoro o di studio, di essere riconosciuti e non discriminati.
Insomma, la scienza di per sé è inclusiva, per definizione, ma la comunità scientifica rispecchia la società e c’è ancora tanto da fare per rendere la comunità scientifica più inclusiva, accogliente e accessibile».
Qual è il ruolo politico nella comunicazione della scienza?
«La politica dovrebbe preparare la società al futuro e niente come la scienza ci aiuta a definire il futuro che ci aspetta. Se però fallisce la comunicazione della scienza, le nostre immagini del futuro si frammentano. Una politica senza scienza brancola nel buio e ogni azione politica diventa una scommessa casuale. Il nostro progetto ha l’obiettivo di avvicinare tutti al mondo degli scienziati e della scienza e quindi di aiutare tutti a immaginarsi un futuro e a pretendere lo stesso dalla politica».