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 2022  luglio 08 Venerdì calendario

Biografia di Viktor Janukovyč (Viktor Fedorovyč J.

Viktor Janukovyč (Viktor Fedorovyč J., spesso traslitterato anche Yanukovich), nato nel villaggio di Žukovka (presso Jenakijeve, oblast’ di Donetsk, nell’allora U.R.S.S.) il 9 luglio 1950 (72 anni). Uomo politico ucraino • «Un autocrate» • «Un oligarca» • «Un corrotto» • «Il più filo-russo di tutti» • «Non mi è per niente simpatico» (Eduard Limonov) • Fondatore e capo del Partito delle Regioni (uno dei principali del Paese, confluito nel Blocco di Opposizione nel 2016, messo fuori legge il 20 marzo 2022). Tre volte primo ministro (2002-04, 2004-05 e 2006-07). Eletto presidente per la prima volta nel 2004, la sua vittoria fu contestata dall’opposizione con l’accusa di brogli. L’ampia mobilitazione popolare che seguì (la famosa Rivoluzione Arancione) lo costrinse ad accettare la ripetizione del voto (fece male, perché risultò sconfitto dal rivale Viktor Juščenko). Eletto nuovamente presidente nel 2010, rimase in carica fino al 22 febbraio 2014, quando, dopo i moti di Euromaidan, fu destituito dal parlamento e sostituito da un governo provvisorio filo-occidentale • «Protagonista in negativo dell’ultima grande rivoluzione europea» (Fabio Turco, Linkiesta 5/3/2022) • Da allora, accusato di alto tradimento, appropriazione indebita e malversazione, vive in esilio in Russia, sotto la protezione del presidente Putin. In fondo, già nel 2004, intervistato da Rep, aveva spiegato: «La Russia resta l’unico nostro partner coerente. Sa di non poter rinunciare a un rapporto intimo con l’Ucraina. Lo stesso vale per noi. Siamo gemelli siamesi» (a Giampaolo Visetti).
Titoli di testa «Quando la guerra in Ucraina sarà finita, tenuto conto del carico di enormi sofferenze che ogni conflitto si porta appresso, per il popolo ucraino sarà il momento di fare i conti anche con il proprio sistema di potere. Perché se la condanna a Putin e alla sua invasione militare, antistorica e brutale, non è neanche da mettere in discussione, basta googolare scremando la ricerca a prima del 24 febbraio 2022 per capire che la selezione della classe politica e l’accesso alle istituzioni di quel Paese non era propriamente in linea con quella che solitamente viene definita una “democrazia europea”» (Gianmarco Aimi, MowMag 23/3/2022).
Primo atto Il padre era bielorusso, operaio, emigrato a Donetsk per lavorare nelle tante fabbriche sorte nella zona negli anni di Stalin. Nel suo albero genealogico, ci sono anche un ramo russo, un ramo polacco, un ramo lituano. Quanto a lui, parla e pensa in russo (non si esprimerà in ucraino fino ai cinquant’anni) • Infanzia molto dura. La madre muore quando lui ha due anni. Il padre si risposa, ha altre figlie (con cui Viktor non ha rapporti), poi muore anche lui, e il ragazzo viene affidato alla nonna paterna • Un ragazzo grande e grosso, sfiora i due metri di altezza, diventa un teppista di strada. A 17 anni, è condannato a tre anni di prigione per rapina. A 19 se ne becca altri due per aggressione («Errori di gioventù») • Poi mette la testa a posto. Inizia a lavorare in fabbrica. Si sposa. Si laurea in ingegneria elettronica al Politecnico di Donetsk. Ma soprattutto: entra nel Partito comunista. O meglio: nel ramo locale del partito, soprannominato «la mafia di Donetsk». «In quel periodo come deputato locale del Partito a Donetsk, operava il cosmonauta Georgij Beregovoj, impegnato nel reinserimento nella società di persone condannate per piccoli reati. Si dice sia stato proprio lui a consigliare la carriera politica a Yanukovich, diventandone una sorta di “padrino politico”» (Mauro Indelicato, Insideover 3/2022). Grazie a questi agganci, fa carriera: inizia a occuparsi del trasporto del carbone estratto nella zona, diventa dirigente • Arrivano gli anni 90. È un periodo di grande instabilità nel Donbass: crollo del socialismo reale, crisi economica, criminalità organizzata, anarchia, politici e oligarchi che vengono assassinati. Il presidente dell’Ucraina indipendente, a quell’epoca, è Leonid Kučma, classico ex comunista riverniciato, ex direttore della fabbrica d’armamenti di Dniepropetrovsk (quella che secondo Krusciov «sfornava missili come wurstel»), conservatore, autoritario, nepotista, brutale (chiude i giornali di oppozione, trucca le elezioni, etc.). Il suo bacino elettorale sono proprio le regioni meridionali e orientali del Paese, e deve rimettere a posto la situazione. Janukovyč, che ha già il sostegno dei notabili della zona, ha la fortuna di entrare nelle sue grazie • L’ascesa è verticale. Nel 1996 viene nominato vice-governatore dell’oblast di Donetsk, nel 1997 diventa governatore. Kučma inizia a considerarlo suo delfino, nel 2002 lo sceglie come primo ministro (è solo allora che Viktor comincia a usare l’ucraino in pubblico). Nel 2004 lo candida alla presidenza. Le elezioni sono previste per il 31 ottobre: da Mosca arriva il sostegno del presidente Putin.
Secondo atto A Kiev l’Occidente e l’ex Urss giocano al tiro alla fune. Tutti i mezzi (diplomatici, politici, finanziari, di spionaggio) sono validi, da entrambe le parti • Janukovyč, classe 1950, primo ministro in carica, è il candidato dei russi. Detto «Proffessore», con due f (si è da poco addottorato in diritto internazionale, ma sulle schede hanno sbagliato a scrivere il suo nuovo titolo). Benché vicinissimo a Mosca, al governo non è stato antioccidentale (è favorevole all’avvicinamento alla Ue, ha mandato truppe ucraine in Iraq per la guerra di Bush). Ora, però, le sue posizioni si fanno più populiste e spregiudicate • Il candidato filo-occidentale, invece, è Viktor Juščenko, classe 1954, bacnhiere, già Presidente della Banca centrale ucraina, primo ministro tra il 1999 e il 2001, capo dell’opposizione. Vuole l’ingresso pieno nella Ue e nella Nato. Ex bell’uomo, è diventato «un rottame: gonfio, con il volto sfigurato e tumefatto, di un colorito grigiastro», per qualcuno «un mostro». Dice che lo hanno ridotto così quelli dell’ex Kgb (ora Sbu), fatale una cena segreta del 5 settembre in cui l’avrebbero avvelenato (una commissione parlamentare ha stabilito che si tratta di herpes zoster, i medici austriaci che l’hanno visitato parlano di «una sostanza chimica misteriosa»). Ha il sostegno di Yulia Tymoshenko, classe 1960, sua ex vicepremier, ricca imprenditrice dai fini lineamenti che ama indossare gli abiti del folclore ucraino e porta, come le vecchie contadine, una treccia bionda arrotolata sul capo (da vicepremier, però, gestì in modo un po’ troppo spregiudicato l’importazione del gas da Russia e Turkmenistan, finì che le misero in galera il marito) • La situazione è molto ingarbugliata. Ucraina, letteralmente, significa «confine». Nel Paese convivono due lingue e due fedi. L’Est e il Sud sono russofoni (il 60% del Paese non sa l’ucraino e non vuole parlarlo). «I sostenitori di Yushenko hanno chiamato il russo “una lingua di banditi”, Yanukovich ha promesso di proclamarlo seconda lingua ufficiale» (Luigi Ippolito, CdS). A Est si guarda a Mosca, a Ovest a Washington e a Bruxelles. Nell’Ucraina occidantale c’è la Chiesa uniate, cattolica di rito orientale, nell’Est sono fedeli al Patriarca di Mosca. Per giunta, l’economia va male: «Esiste una minima percentuale di persone ricchissime e una massa di gente che sopravvive per miracolo. O che se ne va a lavorare altrove. A Parigi, a Varsavia o a Mosca le giovani ucraine vengono a cercare un lavoro domestico e spesso finiscono nella prostituzione perché non godono della minima protezione» (il manifesto) • A fine ottobre arriva il momento della verità. Primo turno (31 ottobre): Juščenko, 39,8%; Janukovyč, 39,3%. Ballottaggio (21 novembre): Janukovyč, 49,46%; Juščenko, 46,51%. Avrebbero vinto i filo-russi, ma il risultato è contestato. Gli osservatori dell’OSCE denunciano brogli (schede elettorali false, corruzioni nei seggi, intimidazioni, etc.). Stati Uniti e Unione europea non riconoscono il risultato. Centinaia di migliaia di persone scendono in piazza, si accampano per strada. Pressioni internazionali. Gabinetti di crisi. Finisce che il Parlamento ucraino dichiara nullo il ballottaggio perché «viziato da forti irregolarità» • Janukovyč all’inizio resiste. «“Da mesi era chiaro che gli Usa puntavano a capovolgere gli equilibri ucraini. Yushenko e l’opposizione hanno sempre fatto politica usando leve occidentali. Non ho prove sui milioni di dollari americani spesi nella campagna elettorale: ma i finanziamenti a istituti ed enti che sostenevano le spinte democratiche, purché vicine a Yushenko, sono verificabili. Solo un cieco può negare che egli goda di un amore particolare da parte di Usa e Ue”. Perché lo considera negativo? “Lo è se serve per tagliare i rapporti tra Ucraina e Russia. Yushenko ormai non potrebbe che rivolgersi all’Occidente. Rinuncerà allo spazio economico con Russia, Bielorussia e Kazakhstan? Rinuncerà a pagare 3,1 miliardi di dollari di debito con Mosca? Sorride all’Ovest, ma non dice la verità alla gente”» (Visetti). Poi però accetta che la Corte Suprema sblocchi la situazione («Non ho ceduto un bel nulla. Aspetto il giudizio dei magistrati e sto cercando soluzioni legali alla crisi. Una nazione non si muove con le spallate di piazza») • La Corte annulla l’esito del voto, riconvoca i collegi elettorali. Il secondo ballottaggio si svolge il 26 dicembre: Juščenko, 51.99%; Janukovyč, 44.20% • Poiché il colore dell’opposizione è l’arancione, gli eventi passano alla storia come: la Rivoluzione Arancione. Il sindaco di Donetsk dice che loro, piuttosto che piegarsi, faranno la secessione e sono in molti a pensarla come lui (spiccano per veemenza i minatori). A Mosca, il presidente Putin la prende malissimo («L’America è una dittatura rivestita di una bella retorica pseudo-democratica»). I rischi di una nuova Guerra Fredda si fanno più consistenti.
Secondo atto All’inizio del 2005 Jušcenko e la Tymošenko, eroi arancioni, vanno al governo assieme: lui presidente, lei primo ministro. Il governo che tutti si aspettavno: ammiccamenti a Ue e Nato, liberalizzazioni, riforma della Costituzione per dare più potere al primo ministro. Le cose, però, non migliorano: Jušcenko e la Tymošenko litigano su tutto (ciascuno vuole il potere per sé) e Putin tenta di sabotarli tagliando il gas. Il Paese, nel frattempo, ha problemi enormi: un pil di 1000 dollari ad abitante, metà di quel che aveva nel 1991, corruzione, alcolismo, calo demografico (-7% quest’anno), ricava l’85% del fabbisogno energetico dal gas russo. Risultato: alle parlamentari del 2006: Janukovyč ottiene il 32%, la Tymošenko il 22%, Jušˇcenko 14%. Crisi politica. Braccio di ferro tra filo-russi, che controllano il parlamento, e filo-occidentali, che controllano la presidenza. Braccio di ferro interno agli arancioni, con la Tymošenko sempre più popolare e Jušˇcenko sempre meno • L’Ucraina arriva alle presidenziali del 2010 in un clima simil-jugoslavo. «Sarà la nebbia, ma l´arancione sembra sparito dalle strade di Kiev. Sulla Majdan Nezalezhnosti, la piazza che vide le feste e le bandiere della rivoluzione del 2004, adesso domina il viola di un cioccolato svizzero che ha sponsorizzato le bancarelle del Natale ortodosso. A tre giorni dalle elezioni qualche traccia, sbiadita, del colore della rivoluzione resta appena sullo sfondo dei manifesti del presidente Viktor Yushenko che augura buon anno, promette di costruire migliaia di chilometri di autostrade, e ha un sorriso spento di chi ha smesso di crederci. L’uomo che nel novembre del 2004 scatenò una clamorosa protesta popolare costringendo il governo ad annullare l´esito di un voto palesemente truccato, sembra già tagliato fuori dalla corsa. I sondaggi gli danno meno del 5% nelle preferenze. Un mito distrutto in quattro anni di fallimenti in materia economica, di litigate astiose tra i protagonisti della rivoluzione, ma soprattutto dalla lenta, inesorabile, vendetta del Cremlino che sembra ormai a un passo da restituire con gli interessi lo sgarbo subito» (Nicola Lombardozzi, Rep 15/1/2010).
Terzo atto Janukovyč si gioca la carta del grande ritorno. Sconfigge nettamente la Tymošenko (48,95% lui, 45,47% lei) e gli osservatori internazionali questa volta non hanno niente da ridire. Subito, rinnova la concessione del porto di Sebastopoli, in Crimea, alla marina russa fino al 2042 (in cambio: ottiene gas a buon mercato). Dichiara che la Grande Carestia del 1932-33 (5 milioni di ucraini morti) non può essere considerato un genocidio. Grazie a una sentenza della Corte Suprema, ristabilisce i poteri del presidente. Rafforza i legami con La Famiglia, un ristretto gruppo di oligarchi con interessi nei settori energetico e immobiliare. Nel 2011, nel frattempo, la Timošenko (di cui si è scoperta la passione per i gioielli, le auto di lusso e i jet privati) finisce in prigione, accusata di abuso di potere e malversazione di fondi pubblici. Ancora alle parlamentari del 2012 il Partito delle Regioni ottiene 191 seggi su 450. Janukovyč si convince di controllare l’Ucraina.
Quarto atto Tutto cambia a novembre 2013. Il presidente, dietro pressioni russe, si rifiuta di firmare l’Accordo di associazione tra Ucraina e Unione europea. La ragione è semplice: Paese rischia la bancarotta (il Fmi non vuole concedere un prestito se prima Kiev non accetta di fare delle riforme. Yanukovich ha bisogno dei soldi di Putin, che subito gli compra titoli di Stato per 15 miliardi di dollari e un supersconto sul gas, non può permettersi di indispettirlo firmando accordi con gli europei) • Iniziano le sommosse. A Kiev 100 mila persone arrivano in Maidan Nezalezhnosti, piazza dell’Indipendenza, ora ribattezzata Euro-Maidan, piazza Europa. L’opposizione allestisce una tendopoli. Slogan: «No Putin no cry», «Sì alla Ue, no all’Urss». La Tymošenko, dal carcere, annuncia uno sciopero della fame, chiede ai manifestanti di «spazzare via» il presidente Il campione dei pesi massimi Vitaly Klitschko si mette alla guida della rivolta: «Voglio sfidare Yanukovich sul ring». Scontri. Lacrimogeni. Petardi incendiari. Decine di feriti. 500 mila persone bloccano l’accesso ai palazzi governativi. Le manifestazioni si diffondono anche in altre città. Molti sacerdoti benedicono i manfestanti • A fine gennaio, il presidente vara rigide misure contro la libertà di espressione. È un boomerang. Si costruiscono barricate. I ribelli si organizzano spontaneamente secondo le antiche usanze cosacche: formano una starshina, un consiglio dei capi, si dividono in centurie, sòtni, alla cui guida c’è un leader dal nome cosacco, sòtnik. Ci si saluta dicendo Slava Ukraini!, gloria all’Ucraina, un vecchio motto usato dagli oppositori del regime sovietico durante la guerra fredda. In piazza si vedono dimostranti con pistole alla mano, ruspe, catapulte. Alcuni estremisti tentano di bruciare vivi i poliziotti • «Dopo una notte di crescente tensione - migliaia di manifestanti e poliziotti non hanno mai smesso di fronteggiarsi - la battaglia è esplosa per le strade. I dimostranti armati di mazze, scudi e bombe molotov hanno cercato di sfondare il cordone di polizia che circonda Maidan. Le forze di sicurezza hanno sparato contro la folla. A guidare la lotta sono i membri del Pravý Sektor, un gruppo radicale di destra, composto soprattutto da giovani corpulenti, profondamente nazionaliste. Alcuni sono ultrà degli stadi. Anche se la folla in piazza è in gran parte ancora costituita da gente comune - ci sono i giovani liberali, così come i conservatori più anziani, che vogliono più libertà e una vita migliore - è ormai chiaro che la rivolta è guidata dalle frange più radicali (Franketti, Sta) • Il 20 febbraio si contano oltre 100 morti, 70 tra i manifestanti. Il 21 febbraio, Janukovyč accetta di trattare con i ribelli. Si arriva a un accordo, ma le frange più radicali dei manifestanti non lo accettano e gli intimano di lasciare la città entro le 10 del mattino del giorno dopo • Feste nella capitale Kiev. Liberata l’ex premier Yulia Tymoshenko, che dopo trenta mesi di carcere e d’arresti ospedalieri è su una sedia a rotelle e dice essere uscita «con un’idea precisa: candidarmi presidente». Sul palco di Maidan, piange e chiede un fazzoletto, prima d’avere il microfono: «Grazie, eroi!... Voi siete il meglio dell’Ucraina!... Da oggi vogliamo vedere il cielo e il sole. La dittatura è caduta, ma non per i politici o per i diplomatici. E’ grazie a chi è sceso in strada e ha protetto la sua famiglia, il suo Paese. Non ho quasi riconosciuto Kiev, con le macchine bruciate e le barricate. Ma questa è un’altra Ucraina, l’Ucraina degli uomini liberi!» • Il parlamento elegge un nuovo presidente ad interim Oleksandr Turchynov, amico della Tymoshenko; destituisce il ministro degli Esteri e dell’Istruzione; il russo come seconda lingua obbligatoria nelle scuole; nomina nuovi responsabili per le centrali nucleari. Quaranta statue di Lenin sono distrutte. I ministri fuggono. Verso l’aeroporto della capitale, posti di blocco con bastoni: i vincitori vogliono impedire che espatrino i filorussi rovesciati. Janukovyč diventa il latitante più ricercato del Paese. In meno di due giorni, giudici e poliziotti, ora coordinati da un neo procuratore generale dell’estrema destra nazionalista, trovano prove «inoppugnabili» delle sue responsabilità. «Centinaia di ucraini entrano a Mezhigorie, la residenza presidenziale abbandonata. Nell’enorme villa, un mix tra uno chalet di montagna e una villa liberty con finestre gotiche, colonne fregiate, rovine pseudo romane, naiadi, pavimenti di marmo mosaico, serre con cespugli potati a forma di statue antiche, rotonde, laghetti, lampadari di cristallo da teatro dell’opera, Wc poggiati su zampe dorate di qualche animale mitologico, c’è un garage zeppo di automobili d’epoca, un veliero a due alberi attraccato nel lago, lingotti d’oro, e mazze da golf con le iniziali V.J. Nello zoo privato dell’ex presidente, gazzelle, pavoni e struzzi. E poi mucche e porcellini allevati in stalle perfettamente attrezzate e pulite, e pomodori e palme nelle gigantesche serre supertecnologiche» (Zafesova, Sta) • Il presidente ricompare pochi giorni dopo a Rostov sul Don, nella Russia meridionale. Tiene una conferenza stampa: «Non mi dimetto, è in corso un colpo di Stato simile alla crisi politica che avvenne in Germania con l’ascesa dei nazisti».
Amori La sua ex moglie: Lyudmyla Oleksandrivna Nastenko (divorziarono dopo 45 anni di matrimonio). Due figli: Oleksandr Viktorovyč (n. 1973) e Viktor Viktorovyč (1981-2015).
Denari Dopo la sua deposizione, il nuovo primo ministro lo accusò di appropriazione indebita di beni dello Stato per 70 miliardi di dollari e di aver trasferito fondi a banche straniere.
Religione Nel 2013 ha partecipato a una cerimonia solenne nel monastero delle grotte di Kiev assieme al patriarca di tutte le Russie Kirill e al presidente Putin per i 1.025 anni della conversione di Vladimir I il Grande al cristianesimo ortodosso. Putin, davanti a migliaia di fedeli, prese la parola e disse che russi e ucraini «sono gli eredi di quel che è avvenuto a Kiev 1.025 anni fa», e che questo fa di loro «un solo popolo» (Luigi De Biase, Foglio 2/8/2013).
Curiosità Al Bano gli ha stretto la mano alla fine di un concerto • Nel 2004 il calciatore Shevchenko disse di essere suo sostenitore • A un certo punto aveva assoldato come consulente Paul Manafort, già esperto di campagne elettorali per Gerald Ford, Ronald Reagan, George H. W. Bush, Bob Dole e Donald Trump (ma Mosca lo vedeva come uno strumento di ingerenza americana e fece pressioni su di lui perché se ne liberasse) • Ha tre nipoti: Viktor, Oleksandr and Iliya • Il figlio maggiore, Oleksandr Viktorovyč, ai tempi in cui il padre era presidente, è stato uno degli uomini più ricchi d’Ucraina • Il figlio minore, Viktor Viktorovyč, appassionato di auto, ex deputato al parlamento ucraino ai tempi in cui il padre era presidente, è morto mentre guidava un minivan sulla superficie gelata del logo Bajkal, in Siberia (il ghiaccio ha ceduto all’improvviso, lui non ha fatto in tempo a slacciare la cintura di sicurezza) • Nel 2019, in ragione della sua richiesta di un intervento armato russo per reprimere le manifestazioni di piazza, è stato condannato a 13 anni di carcere per alto tradimento in contumacia • Nel 2022, Putin decise di riconoscere l’indipendenza delle due repubbliche separatiste di Donetsk e di Lugansk, giorno successivo alla chiusura delle Olimpiadi di Pechino, ottavo anniversario della sua deposizione • Subito dopo l’inizio dei bombardamenti russi su Kiev, il giornale ucraino la Pravda, citando fonti dei servizi segreti, scrisse che i russi volevano prendere la capitale, rovesciare Zelensky e re-insediare lui al suo posto • Putin continua a riferirsi a lui come «il presidente Janukovyč» • Ancora nel 2014 l’Ucraina era considerata «non estero» dal 67% dei russi.
Titoli di coda «Chi sono i buoni e chi sono i cattivi? “Non ci sono né buoni né cattivi, ognuno fa il suo interesse. Certo gli occidentali, mettendo in tentazione Yanukovich, sono andati a istigare un bel nido di serpi”» (Giorgio Dell’Arti, Gazzetta 21/2/2014).