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 2022  agosto 03 Mercoledì calendario

BOB KENNEDY SI RITROVO' TRA LE BRACCIA IL CADAVERE DI MARILYN? – IL BIOGRAFO ANTONY SUMMERS RICOSTRUISCE LE ULTIME ORE DI VITA DI MARILYN MONROE, NELLA NOTTE TRA IL 4 E IL 5 AGOSTO 1962, SOLA TRA TELEFONO E BARBITURICI: “FECE UNA SERIE DI CHIAMATE IN CERCA DI AIUTO” – È POSSIBILE CHE IL SUO AMANTE ROBERT KENNEDY, ALL'EPOCA MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, SIA CORSO A CASA SUA, L'ABBIA TROVATA IN COMA E L’ABBIA PORTATA IN OSPEDALE, INUTILMENTE. ALLORA, PER EVITARE LO SCANDALO, CHIAMO' IL CAPO DELL'FBI, EDGAR HOOVER… -

Estratto da “Dea. Le vite segrete di Marilyn Monroe”, di Anthony Summers,  pubblicato da “La Stampa” «Lo sai da chi sono sempre dipesa?» aveva detto Marilyn al giornalista W.J. Weatherby. «Non dagli estranei, non dagli amici. Dal telefono! È lui il mio migliore amico. Adoro telefonare agli amici, soprattutto di notte quando non riesco a dormire» .

Marilyn fece lavorare sodo il suo «migliore amico» negli ultimi giorni della sua vita. (....) Sola con il suo telefono e le sue pillole, Marilyn fece una serie di chiamate in cerca di aiuto. Gli amici o non erano a casa o non capirono che questa disperazione era diversa dalla solita».

Le ripetute chiamate a Robert Kennedy o i frenetici messaggi tramite Peter Lawford non riuscirono a farlo accorrere. Come tanti uomini o donne che intendono lasciare un amante, Kennedy può avere pensato che il sistema migliore fosse quello di tenersi a distanza con durezza e determinazione. Era anche più sicuro non arrischiare un'altra visita a casa di Marilyn, con il pericolo di esporsi ai nemici.

Oggi è impossibile dire se i nemici di Kennedy - gli emissari di Sam Giancana e Jimmy Hoffa - svolsero un ruolo attivo nelle ultime ore di Marilyn. Le prove mediche, come abbiamo visto, lasciano aperta la possibilità che la dose mortale di barbiturici le sia stata somministrata da qualcuno. Scenario più probabile, fu semplicemente lei a sottovalutare gli effetti di un'improvvisa dose massiccia, presa in aggiunta a un consumo ininterrotto di sedativi durante il giorno.

In alternativa, potrebbe aver deciso lei di togliersi la vita. Più tardi, quel sabato sera, probabilmente poco dopo le 22, Marilyn fece la sua ultima telefonata a casa Lawford. Parlava in modo sconnesso e confuso, e a un tratto fu chiaro che stava scivolando nell'incoscienza. È giusto ipotizzare - e si vorrebbe credere - che la notizia provocò in Robert Kennedy una reazione decente, umana.

Potrebbe essere stato lui, forse accompagnato o seguito da Peter Lawford, a precipitarsi a questo punto a casa di Marilyn. La trovarono in coma, ma non ancora morta. Qui la testimonianza secondo la quale fu chiamata un'ambulanza diventa cruciale. Se è esatto quello che dice il direttore del servizio ambulanze, Marilyn fu portata via dalla casa in coma, ma ancora viva. Potrebbe essere spirata all'arrivo all'ospedale di Santa Monica dove, senza trucco e avvolta nelle lenzuola, poteva non essere riconosciuta.

La mia opinione è che probabilmente morì prima di arrivare all'ospedale, e che la persona che l'accompagnò - lo stesso Kennedy, forse? - si trovò di fronte a un terribile dilemma.

Marilyn era morta in circostanze che per il ministro della giustizia potevano significare la completa rovina. Anche nel caso che non avesse mai avuto una relazione con Marilyn - e tutte le prove suggeriscono il contrario - per un Kennedy essere trovato insieme a una Marilyn Monroe morta, anche in una legittima azione di pietoso soccorso, avrebbe significato sicuramente un disastro politico.

La soluzione era riportare il corpo nella casa di Brentwood, sul letto da cui aveva fatto la sua ultima, disperata telefonata. Occorreva tempo, soprattutto per permettere a Robert Kennedy di lasciare la città, e poi per ripulire la casa di Marilyn.

Soltanto a questo punto arrivò la telefonata al dottor Greenson, che si precipitò sul posto e «scoprì» il corpo fra le 3.30 e le 4. Come indica la pista seguita dai reporter Hyams e Woodfield, il ministro della giustizia lasciò la California in aereo.

Suo cognato Peter Lawford incaricò il detective privato Fred Otash di coprire qualsiasi traccia compromettente che potesse essere rimasta. In ogni caso, Otash e i suoi collaboratori furono in grado di fare poco.

Quando entrarono in azione, nelle prime ore della domenica mattina, ingranaggi più potenti si erano messi in moto. Richiamato bruscamente dal concerto all'Hollywood Bowl, il consulente di pubbliche relazioni di Marilyn, Arthur Jacobs, che era un uomo di notevole potere a Los Angeles, si precipitò alla casa di Brentwood.

Forse non seppe mai di tutti gli avvenimenti di quella notte, del viaggio a vuoto dell'ambulanza e degli spostamenti notturni di Robert Kennedy, ma era senza dubbio l'uomo giusto, come dice oggi sua moglie, per «sistemare» le cose.

Nel frattempo qualcuno dotato di un potere effettivo - probabilmente lo stesso Robert Kennedy - svegliava il direttore dell'Fbi, J. Edgar Hoover. Da Washington partì l'ordine di far sparire i dati sulle telefonate fatte da Marilyn nelle ultime ore di vita, che erano ancora recuperabili presso la compagnia telefonica. Questa ricostruzione può non essere esatta in qualche particolare, ma è plausibile in base alle informazioni di cui oggi disponiamo.

Per Robert Kennedy, quelle ore notturne e i giorni che seguirono dovettero essere i momenti più tormentati della sua vita. Se la nostra ricostruzione è esatta, la morte di Marilyn Monroe fu la sua Chappaquiddick. Se, contrariamente al meno fortunato fratello Ted, Robert sfuggì allo scandalo pubblico, fu per miracolo.