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 2022  agosto 03 Mercoledì calendario

Romanista o laziale? La verità, vi prego sul cuore di Giorgia

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Dimmi per chi tifi e ti dirò chi sei. Ma se non mi dici per chi facevi il tifo e hai tradito, ti dirò che persona sei diventata. La fedeltà alla squadra del cuore come rivelatore e metro di misura della coerenza o dell’opportunismo.
Si parla di calcio, ma se Meloni sostiene di essere romanista mentre gli archivi della memoria digitale rivelano che in gioventù era “lazialissima”, ecco che la faccenda scivola immediatamente nel campo, già ben concimato, delle elezioni. Non solo, ma la sorpresa risuona maggiore proprio per le caratteristiche di Giorgia che finora, pure declamandosi in lingua spagnola, ha potuto contare su un alto grado di limpidezza personale e spontanea autenticità. Insomma, prima la Lazio e poi la Roma: da quando e perché? Nel tempo dell’esaurimento delle culture politiche, dell’auto- esposizione dei leader e delle semplificazioni selvagge non è questione da poco. Colori sociali, sciarpe, striscioni, cori, danze, esultanze e oltraggi da divano: fra politica e calcio, a livello di atmosfere e segni espressivi, l’interscambio è ormai costante; con il che il mondo vitale del pallone, dai boati delle curve ai suoi aspetti meno edificanti, è divenuto un tale veicolo di consenso da comportare anche i più spericolati sospetti e il più paradossale discredito – così c’è chi sostiene che da ragazzetto Silvio Berlusconi facesse il tifo per l’Inter. È chiaro che in quel caso la storia d’Italia non cambia. E tuttavia ciò che sta al fondo della contesa politica, il groviglio inestricabile che tiene avvinte le decisioni collettive, riguarda lo statuto, sempre più incerto, della verità. Chi aspira al comando deve dunque farci i conti bordeggiando con maggiore o minore perizia fra leggende, credenze, sottintesi, omissioni, retropensieri, compromessi, piccole e grandi bugie.
A Roma, città capitale massimamente scettica e depositaria di due squadre colme di gloria anche se abbastanza arruffate e arruffone, tutto questo prende la strada di uno spassoso spettacolo di potere che da quasi un secolo accompagna la vita pubblica condizionandone le transazioni e gli avvicendamenti. Così a Mussolini, sospetto laziale come certissimi laziali erano i suoi figlioli, vengono però attribuiti interventiche “regalarono” il primo scudetto alla Roma, per giunta durante il periodo bellico. Si entra poi nel cuore della Prima Repubblica e all’autorità fascista subentra un divo absconditus, nascosto cioè nella persona di Giulio Andreotti, romanista in realtà sfegatato, che tutto fa e tutto sistema, pure attraverso il fido Evangelisti, fra presidenti palazzinari, petrolieri e delicate operazioni – vedi la permanenza a Roma di Falcao – conseguite con la complicità di Santa Romana Chiesa. L’ultimo suo messo, però, Peppino Ciarrapico, non solo non era della Roma, ma non capiva nulla di calcio, limitandosi a organizzare “er caterin” all’Olimpico, con abboffate dei capi tifosi, e un’improbabile consulta giallorossa con Ornella Muti e la Cuccarini.
Già si stagliava all’orizzonte la Seconda Repubblica e la Tribuna d’onore divenne laboratorio e vetrina per aspiranti, novizi e arrivati a pavoneggiarsi su quelle fatali poltroncine. Giubbotti da relax, inciuci, biondone e rimarchevoli Cafonal by Umberto Pizzi. Nel frattempo i sindaci si barcamenavano: Rutelli laziale di cuore, ma rispettoso; Veltroni juventino, però così ecumenico da farsi allacciare al collo la sciarpa romanista da Antonello Venditti la notte dello scudetto. Marino, per evitare violenze al derby, si mostrò in tv con una incredibile stola metà giallorossa e metà biancoceleste. Sullo sfondo improbabili acquirenti americani, fantasmagorie alla Lotito, saluti romani, aquile che volteggiavano sullo stadio, immani pressioni per costruirne altri due, con tanto di mazzette e arresti. Virginia Raggi, sospetta laziale, dissimulava la sua fede: «Il mio cuore è per la città».
Mica tanto, a pensarci. Adesso la verità, per favore, sull’affaire Meloni: Roma o Lazio? ( «Vince sempre chi più crede/ chi più a lungo sa patir»).