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 2022  agosto 03 Mercoledì calendario

Sempre meno spiagge libere. I numeri

OGGIX
«Un’estate al mare», cantava Giuni Russo in un celebre ritornello degli Anni 80. Oggi bisognerebbe aggiungere «per chi se lo può permettere».
Uno dei simboli della bella stagione italiana, la cosiddetta «spiaggia libera», in molte zone del nostro Paese è infatti un lontano ricordo. A spiegare le motivazioni di questa lenta ma graduale sparizione è il Rapporto spiagge di Legambiente. Le ragioni sono principalmente tre: la crescita in questi anni delle concessioni balneari, che arrivano a toccare quota 12.166 (con un aumento del 12,5% in 3 anni), l’incremento dell’erosione costiera, che oggi riguarda circa il 46% delle coste sabbiose, e l’inquinamento delle acque, che tocca il 7,2% della costa sabbiosa interdetto alla balneazione.
Complessivamente lo studio stima che meno di metà delle spiagge del Paese sia liberamente accessibile e fruibile per fare un tuffo in mare (perché il 43% ospita stabilimenti balneari e il 7,2% non è balneabile perché inquinata), arrivando a raggiungere dei record in alcune regioni: in Liguria, Emilia-Romagna e Campania quasi il 70% delle spiagge è occupato da stabilimenti balneari. «Questo accade perché mancano indicazioni nazionali di occupazione massima di spiagge in concessione – spiega Sebastiano Venneri, responsabile territorio e innovazione di Legambiente -. Il dato inquietante è che in alcuni territori si arriva quasi al 100% ed è un fenomeno che sta crescendo: in Sicilia solo negli ultimi 4 anni sono state date 200 nuove concessioni».
Le normative che regolano la percentuale di spiaggia libera da mantenere sul proprio territorio «sono regionali e spesso vengono disattese, in maniera a volte eclatante – prosegue Venneri -. In Liguria la legge prevede il 40% di aree balneabili libere ma se non viene applicata non è prevista nessuna sanzione. In Sicilia, Basilicata, Toscana, Veneto e Friuli non c’è una norma che regoli una quota minima per la spiaggia libera».
Sulla questione delle concessioni è intervenuto il Decreto Concorrenza, che fissa dei paletti: «Le concessioni per gli stabilimenti dovranno essere date a valle di una procedura trasparente e non, come accaduto negli ultimi 20 anni, a colpi di proroghe – spiega il responsabile territorio di Legambiente – la sentenza del Consiglio di Stato ha obbligato il nostro Paese a fare una legge, approvata la settimana scorsa, che delega al governo la necessità di fare chiarezza in questo settore entro il primo gennaio 2024. Oltre alle gare la legge prevede, ad esempio, una premialità per chi mette in atto buone pratiche per l’ambiente. Il problema è che questa legge ha bisogno di decreti attuativi che dovranno essere fatti dal prossimo governo».
Le spiagge però se le sta portando via anche il mare: in 50 anni sono spariti 40 milioni di metri quadrati di spiagge. Il fenomeno dell’erosione dei litorali è diffuso su tutto il territorio nazionale, con picchi del 60% per le coste sabbiose in Abruzzo, Sicilia e Calabria. Ci sono altre situazioni critiche: «Ad esempio anche nella zona padano-veneta ed emiliano-romagnola, dove si deve affrontare anche il fenomeno dell’abbassamento del suolo» spiega Diego Paltrinieri, geologo marino e membro del comitato scientifico dell’Osservatorio paesaggi costieri di Legambiente. «Le cause dell’erosione sono principalmente due: una è il minore apporto di materiale dai fiume verso il mare, causato da chiuse e dighe, l’altro è legato all’urbanizzazione del litorale e al consumo del suolo».
Ce n’è poi una terza: ad erodere ulteriormente le nostre coste sono stati proprio gli interventi messi in atto per proteggerle: «Dagli Anni 70 ad oggi abbiamo speso 4 miliardi e mezzo di euro in opere rigide, come scogliere e pennelli, nate per difendere la costa dall’erosione, ma questo tipo di approccio ha peggiorato purtroppo le cose. L’erosione – conclude Paltrinieri – non è causata dal moto ondoso, come si pensava, ma da una componente della dinamica marina e costiera, la corrente litoranea di fondo, che scorre in un certo senso lungo la costa. Serve quindi un cambio di paradigma anche negli interventi».