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 2022  agosto 03 Mercoledì calendario

L’accordo Letta-Calenda

L’accordo tra Letta e Calenda riequilibra in parte una gara elettorale già molto sbilanciata a favore del centrodestra. Se Pd e sinistra fossero andati al voto separati da centristi e liberali, nella gara dei collegi uninominali il rischio di un vero e proprio cappotto sarebbe stato elevato. La logica del Rosatellum è spietata: costringe i diversi a stare insieme per non darla vinta agli altri. Questo argomento, usato sia da Letta sia da Bonino, ha convinto alla fine anche il recalcitrante Calenda: lo stigma di colui che «consegna il Paese alle destre» lo avrebbe marchiato a vita, un po’ come successe con Bertinotti quando fece cadere il governo Prodi. Alleandosi invece con il Pd per impedire la vittoria degli «amici di Orbán e Putin», il giovane leader di Azione depotenzia certamente la sua attrattiva verso i voti in uscita da Forza Italia, che pure aveva cercato con la candidatura di due ministre ex berlusconiane; e rinuncia alla possibilità di presentarsi come il leader di una nuova Cosa di centro, autonoma da tutti i poli, che lo stava premiando nei sondaggi. Ma in cambio ottiene una compensazione non da poco in termini numerici: tre collegi su dieci è una proporzione generosa anche rispetto ai risultati di cui Calenda è oggi virtualmente accreditato.
E il documento programmatico firmato dai due leader soddisfa in pieno le sue richieste, mentre mette invece il Pd in imbarazzo con la sinistra, interna ed esterna.
Anche Letta paga infatti un prezzo all’obiettivo dell’«union sacrée» contro la destra. Tirando la coperta verso il centro, la scopre dall’altra parte, riaprendo qualche spazio perfino ai Cinque Stelle, che sembravano tramortiti nei sondaggi. L’accordo con Calenda su rigassificatori, riforma del reddito di cittadinanza e del Superbonus, sarà infatti usato da Conte come un cavallo di Troia per entrare nella cittadella elettorale del Pd, e strappargli consensi. L’ex premier con la pochette è già tornato in modalità «avvocato del popolo», accusando Calenda di non «aver mai messo il naso fuori da una Ztl».
Per risolvere questo non piccolo problema Letta sta tentando di ricorrere a un espediente elettorale che da molti punti di vista ricorda quello con cui Berlusconi nel 1994 si alleò separatamente con la Lega al Nord e con Alleanza nazionale al Sud. Il leader del Pd si offre come «trait d’union» tra alleati tra loro incompatibili: Fratoianni, Bonelli e Di Maio, cui offre un «diritto di tribuna» e seggi nel proporzionale in un fronte di «centro-sinistra», e Calenda nel maggioritario in un fronte che invece Benedetto Della Vedova ha battezzato come «centro-e-sinistra». L’affare presenta più di un’ambiguità: Verdi e Sinistra Italiana hanno già detto che l’accordo di ieri non li vincola e non li riguarda, e oggi ne chiederanno conto a Letta. Se un giorno dovessero governare insieme, queste contraddizioni verrebbero al pettine, come del resto è già successo. Ma d’altra parte nel centrodestra sono ancora incerti nientedimeno che sulla forma dello Stato, tra presidenzialismo e federalismo.
In entrambi gli schieramenti si è finora discusso molto più di collegi e, nel caso del centrodestra che già si sente vincitore, perfino di ministeri. Ora i voti contano più della politica, e l’hardware elettorale molto più del software programmatico. Dopo il 25 settembre si faranno i conti e speriamo che tornino, perché l’Italia ha bisogno al più presto di un governo degno di questo nome.
Sia Calenda sia Letta avrebbero potuto ottenere più consensi per le loro liste nel proporzionale se fossero andati separati. Letta costruendo la sua gara sull’antagonista Meloni. Calenda presentandosi come l’unico erede dell’agenda Draghi. Ma sarebbe stata una logica proporzionale. Mentre la legge ferrea del Rosatellum, con la sua forte quota maggioritaria, ha finito con il modellare l’offerta politica.
In mezzo a tanta confusione, un vantaggio per l’elettorato c’è: la semplificazione del mercato elettorale. Ora i cittadini avranno una scelta abbastanza chiara tra un polo di destra-centro a trazione Meloni, uno di centro-e-sinistra a trazione Letta-Calenda, e uno populista a guida Conte. Tutte e tre le opzioni presentano incognite e rischi. Ma, come sempre in democrazia, si tratta di scegliere la meno peggiore.