ItaliaOggi, 28 luglio 2022
Papa Bergoglio parla troppo
«Francamente di interviste a papa Francesco non se ne può proprio più. Ormai ne escono a getto continuo». Così si esprime Riccardo Cascioli su La nuova Bussola quotidiana, centrando la questione. Gli insegnamenti dei pontefici sono andati dilatandosi, pur se soltanto con Paolo VI apparvero le prime interviste. Giovanni Paolo II era un locutore senza eguali, capace di soffermarsi sui problemi che affliggono l’uomo, la Chiesa, la società, per divulgare la posizione ecclesiastica. Pio XII operava un’analisi minuta per ciascuna frase che egli leggesse o pronunciasse a memoria, secondo l’antico costume oratorio: era avvezzo a considerare ogni parola come se essa dovesse venire compulsata secoli dopo.
Man mano la comunicazione è divenuta frenetica, i pontefici si sono affidati a tutti i mezzi, partendo dalla radio (fu Guglielmo Marconi a inaugurare la radio vaticana). Gli ultimi successori di Pietro hanno introdotto l’uso, non sempre commendevole, di rispondere a braccio alle domande poste nei viaggi aerei, quasi si svolgessero conferenze stampa. Naturalmente, se si mettono insieme testi ufficiali, discorsi, esortazioni, messaggi, omelie, preghiere, udienze, meditazioni e molto, molto altro, le parole papali sono irraggiungibili nella loro totalità e difficili da meditarsi, se non in minima misura.
Jorge Bergoglio potrebbe rappresentare un esempio, quanto a dichiarazioni: un esempio, beninteso, da non seguire. «Non passa quasi giorno che non si debba discutere di questa o quell’uscita di papa Francesco». La Bussola è sintetica nell’identificare i gravi limiti del pontefice. Il suo è un fiume di parole che contempla: «concetti che ormai ripete da anni; qualche opinione estemporanea sulla situazione politica mondiale, spesso discutibile se non imbarazzante, come le parole dolci nei confronti del regime cubano; alcuni giudizi ecclesiali o morali, che a volte generano diverse interpretazioni e polemiche».
La recente occasione della scomparsa di Eugenio Scalfari dimostra quanto il pontefice parli in libertà, senza preoccuparsi dell’interlocutore e men che mai dell’eco che le sue affermazioni possono avere e della rispondenza alla realtà oggettiva della Chiesa.
Ne va di mezzo l’ormai perduta autorevolezza del papa, considerato come se fosse un opinionista cui far pronunciare una battuta purchessia. La gravità sta nella confusione, quasi giornaliera, fra il pensiero personale di Bergoglio e l’insegnamento profondo della Chiesa.
Secondo il principio della moneta cattiva, le interviste opinabili sono divenute così numerose da cacciare quelle buone, finendo col perdere le riflessioni della Chiesa, in omaggio al non auspicabile principio nella notte in cui tutte le vacche sono nere. Così repliche diplomatiche si mischiano a prospettive etiche, aperture verso il mondo si tingono in continuità di condanne passate, mentre siluri scagliati contro politici, sacerdoti, perfino presuli, si frammettono a scarsamente serene considerazioni sui rapporti internazionali.
Si devono inoltre considerare gli elogi immeritati pronunciati insieme con il mantenimento di silenzi sgradevoli. L’esempio più lampante è rappresentato dalla Cina, tanto per il peculiare status di Hong Kong quanto per l’accordo mai reso pubblico per la nomina dei vescovi. Secondo la puntuale e puntuta denuncia di Sandro Magister, «non una sola parola pubblica è stata mai spesa dal papa o dalle autorità vaticane perché siano sciolte le restrizioni ai vescovi, oltre che ai tanti sacerdoti e fedeli che in Cina e a Hong Kong subiscono la stessa sorte». L’arcivescovo emerito di Hong Kong, il cardinale Giuseppe Zen, è stato arrestato e rilasciato dietro cauzione. Il vescovo di Xuanhua è stato più volte imprigionato, attualmente in un luogo ignoto, come il vescovo di Xinxiang. Arrestati pure i presuli di Wenzhou e di Zhengding e l’ausiliare di Xiapu-Mindong, costretto alle dimissioni. Il vescovo di Shanghai è stato estromesso dai responsabili del comunismo cinese il giorno dell’ordinazione episcopale, per essersi dissociato dall’Associazione patriottica dei cattolici cinesi, pluridecennale strumento usato dal regime per tenere avvinta la Chiesa.
Fra la Cina e la Santa Sede vige da 4 anni un accordo curiosamente provvisorio e segreto, mai finora reso pubblico, che lascia al papa solo l’ultima parola per la nomina dei vescovi, cioè la ratifica di decisioni prese dai responsabili comunisti. Il papa intende rinnovarlo perché «davanti a una situazione chiusa bisogna cercare la strada possibile, non ideale». Di fronte all’accoglienza assegnata dal Vaticano ai presuli benedetti dal regime, Pechino non ha compiuto nulla per i vescovi «clandestini», nominati da Roma ma non riconosciuti dalla Cina. Ben 36 delle 97 diocesi cinesi sono vacanti: solo 6 hanno ricevuto una nomina dopo l’accordo (due, però, erano già state assegnate d’intesa). Il segretario di Stato, Parolin, si è augurato che il rinnovo dell’accordo consenta di «fare precisazioni o rivedere alcuni punti». Peccato che il pontefice in un’intervista abbia proclamato che «l’accordo va bene», nella speranza che «a ottobre si possa rinnovare».