la Repubblica, 28 luglio 2022
Geppetto chiude bottega. I Pinocchi di Collodi saranno solo cinesi
Sia ben chiaro che Pinocchio rimane immortale, e ci mancherebbe. Ma proprio ora che abbiamo importato dall’inglese anche l’innamoramento per il termine “iconic” (usato in senso ovviamente erroneo) va in fallimento la bottega che produce l’icona delle icone italiane, nella sua più pregiata versione a tre dimensioni. Quale immagine più rappresentativa di certi caratteri nazionali troveremo mai? Neppure tanto per le bugie, che è un discorso a parte e lo facciamo di seguito: ma per l’incostanza, lo stupore, la disponibilità all’essere abbindolati, l’ipocrisia smaccata e alla fine simpatica, la renitenza agli studi, la voglia di baloccarsi, la melodrammaticità delle reazioni, l’oblio affettuoso per i padri, l’incantamento per le madri, la smorfia accattivante, la lacrima in tasca, la prontezza a volarsene via di corsa. Infine per la spassosa incapacità di comprendere cosa sia una metafora, per cui se si vuole far fruttare un piccolo capitale si seppelliscono e innaffiano delle monete e se ci si comporta da somari si finisce letteralmente per ragliare.
Sul Pinocchio di Collodi a leggerlo c’è da stupirsi perché si sfatano un paio di miti. La prima riguarda il Paese dei Balocchi. Giochi, sì; ma pochissimi i balocchi. Nel meraviglioso elenco collodiano che dipinge a parole un animatissimo Bruegel compaiono delle spade di cartapesta, cerchi, palle, cavallini di legno e poco altro. Per il resto gli abitanti della gaia contrada si azzuffano, si sbeffeggiano, corrono, saltano, ballano e sono in pratica i parossistici balocchi di sé stessi. L’altro mito è proprio quello delle bugie. Pinocchio ne dice pochissime e il naso gli si allunga anche quando non ne dice. La prima volta è quando si accorge che la pentola in cui spera di trovare di che mangiare non è vera ma è dipinta sul muro. La verità è che Pinocchio “resta con un palmo di naso” – naso che appunto gli si allunga – quando si imbarazza e dall’emozione l’animo gli si ingorga sino a sconvolgergli il sembiante.
La falegnameria dei Pinocchi acquistabili ora chiude e ci si dovrà consolare con esemplari di produzione cinese e di qualità fatalmente inferiore. Quella di Geppetto però resta dov’è, nei primissimi capitoli di un libro che ricordiamo in modo impreciso, poiché lo abbiamo presente più nella fallibile memoria collettiva che sui nostri scaffali. Apriamolo, ritroviamo quegli “occhiacci di legno”. La sua voce tornerà subito a canzonarci, ma anche a ridirci chi siamo.