Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  luglio 27 Mercoledì calendario

A un anno dalla morte di Roberto Calasso

Tra le cose che Roberto Calasso ci ha lasciato in eredità, oltre ai numerosi saggi-racconti firmati da lui, c’è una casa editrice che non è una semplice somma di autori. Paradossalmente lo si capisce ancora meglio oggi, a un anno dalla sua morte. Adelphi è una casa editrice che ha un’impronta, per usare una parola molto amata da Calasso (L’impronta dell’editore è un suo titolo di una decina d’anni fa), un’impronta del tutto propria, capace di cambiare la cultura italiana. Per questo, usando un aggettivo molto in voga, non c’è dubbio che Calasso è stato uno degli intellettuali più influenti degli ultimi decenni. L’impronta Adelphi è il suo catalogo, un insieme di titoli e di filoni che si intrecciano, si incrociano in una sorta di costellazione (metafora calassiana) dialogando tra loro. Due le macroaree tradizionali: la narrativa mitteleuropea intesa in senso molto ampio e un insieme testuale religioso-spiritualista, fantastico e mitico di vario orientamento e di diversa provenienza. La sintesi massima di queste tendenze ideali prima che letterarie coincide con il massimo successo dell’editore Calasso (sui 3 milioni di copie): Siddharta di Hermann Hesse. Del resto, come diceva lui stesso: molti autori della Mitteleuropa si alimentavano di culture (soprattutto quelle orientali) che in Italia venivano ignorate (dall’«egemonia» einaudiana). Se non proprio ignorate, certamente passate in ombra sì. Siddharta fu pubblicato nel 1945 da Frassinelli, nella traduzione dell’einaudiano (sic!) Massimo Mila, ripresa e rilanciata trionfalmente trent’anni dopo da Calasso.
È stato il grande critico inglese George Steiner a parlare di una «cultura Suhrkamp» alludendo a un grande editore tedesco che ha scolpito un’impronta decisiva nella Germania anni Settanta. Se il concetto è applicabile a pochissime altre imprese editoriali, Adelphi è tra queste. Anzi, non si fatica a riconoscere che la cultura Adelphi continua ad agire in Italia in virtù di un lavoro pluridecennale e di intuizioni che non finiscono di stupire. Non a caso, negli ultimi mesi Adelphi è riuscita a mandare in libreria, con successo, diversi titoli che sono ancora il risultato, riveduto e corretto, di quel genio dell’editoria che è stato Calasso. È probabile che questa eredità potrà proseguire al meglio se l’insieme saprà rinnovarsi e però anche stupire.
Insomma, la verità che a un anno dalla sua scomparsa nessuno può negare è che Roberto Calasso è stato il re Mida dell’editoria italiana: come il mitico sovrano frigio, per lungo tempo tutto ciò che toccava diventava oro. Quando diceva che la casa editrice non deve essere un museo, lo diceva a ragion veduta e a scanso di equivoci sul proprio operato. Perché, come per Hesse, riproponeva autori già usciti presso altre case come fossero sue invenzioni, del tutto inedite per il fatto di entrare nella sua costellazione diversa e multipla. Non erano dunque ripescaggi, erano scoperte. Con Adelphi si rinasceva, ed era il sacerdote Calasso a ribattezzare tutto, con il suo tocco d’oro, sotto il suo marchio e nella sua veste grafica. Con gli Sciascia adelphiani non rimaneva neppure il ricordo lontano del bianco Einaudi. Landolfi non aveva mai visto la luce da Rizzoli. Idem Manganelli, Savinio, Ortese, Parise. In genere venivano proposti nudi e crudi, senza premesse o postfazioni: «Ogni libro – diceva Calasso – deve parlare da solo al lettore». Nessun inquadramento storico-letterario, se non i pochi cenni sparsi nei risvolti. La magia di Calasso era questa: azzerare e ripartire. Se lo poteva permettere, visto che la sua scommessa era sempre totale. Un azzardo, altra parola che gli piaceva. L’azzardo era acquisire un autore in toto, sposarlo senza riserve e con coraggio. Così i classici italiani del Novecento sono diventati in buona parte suoi.
Forse per raggiungere certi obiettivi non bisogna cercarli o bisogna fingere di non cercarli. Neanche bisogna immaginarli, perché ti esplodano felicemente tra le mani
È accaduto con Gadda, tra i pochi casi di uno scrittore che con Adelphi si è portato dietro la sua storia editoriale, nel senso che ogni riproposta viene accompagnata da un corredo filologico imponente (ci pensa un’equipe di allievi di Dante Isella). La prossima uscita sarà il «nuovo» attesissimo Giornale di guerra e di prigionia, a cura di Paola Italia, con sei taccuini inediti, quelli, sconosciuti, messi all’asta dagli eredi Bonsanti. Con l’Ingegnere, in realtà, molti anni fa Calasso aveva compiuto l’azzardo anti-filologico più ardito: pubblicando una raccolta di interviste, Per favore mi lasci nell’ombra, che portava il nome di Gadda in copertina come ne fosse lui l’autore.
Calasso era fatto così, il tocco d’oro era suo e aveva spesso ragioni insondabili. Per Manganelli, tra i suoi preferiti, ha scelto non a caso la cura acuta e appassionata di Salvatore Silvano Nigro. Far rinascere a nuova vita è la specialità di Calasso. Ne seppe qualcosa Anna Maria Ortese, che ormai più che ottantenne nel 1997, con il Cardillo addolorato, si vide per la prima volta occupare per mesi la classifica dei bestseller (eppure aveva già vinto lo Strega nel 1967). Il fatto è che se Calasso ci credeva, faceva resuscitare anche i morti: il caso più clamoroso fu Guido Morselli, pubblicato postumo da Adelphi dopo essere stato rifiutato da tutti. Un potere maieutico se non magico che non è il lampo di un giorno o di una settimana, ma un’investitura (e un investimento) ad libitum. Bestseller che diventano longseller: il massimo per ogni editore.
I nomi sono tanti e tutti ribattezzati Adelphi dopo uscite non sempre laterali ma neanche pienamente riuscite. Siano essi Nabokov o Faulkner, già proposti in tempi remoti da Mondadori e Garzanti. Lo stesso Milan Kundera era apparso da Mondadori e da Bompiani negli Anni 60 e 70 ma solo nel 1985 si impose con l’adelphiana Insostenibile leggerezza anche con il contributo televisivo di Roberto D’Agostino. Sándor Márai era uscito, non visto, nel 1938 per Baldini & Castoldi, ma nel 1998 Le braci diventò il caso editoriale dell’anno in veste Adelphi. E decine di titoli dello scrittore ungherese ormai defunto sarebbero seguite con gran fortuna. L’esempio di scuola è Georges Simenon, che appare per la prima volta nella Biblioteca Adelphi nel 1985 e prosegue con immutata meraviglia, se è vero che un piccolo capolavoro di sapore dostoevskiano come Le sorelle Lacroix, del 1938, arrivato adesso in libreria, è come se fosse una autentica novità nonostante il Mondadori datato 1960. Non è riuscita al meglio a Calasso un’operazione che poteva duplicare il caso Simenon, quella di Ian Fleming, a dimostrazione che in genere il bestseller lo si trova quando non lo si cerca. Come accadde nel 2000 per La versione di Barney dello sconosciuto (allora) e dirompente Mordecai Richler (già proposto in traduzione da e/o). Come accadde nel 2008 per il memoir di Arbasino L’ingegnere in blu: imprevedibile ritratto al quadrato di Gadda (e dello stesso Arbasino) più volte ristampato. Come accadde per Limonov di Emmanuel Carrère, l’autore francese «adescato» nel 2012 da Adelphi, nel momento giusto per farne il bestseller stratosferico che Einaudi (con i romanzi precedenti) non era riuscita a sfiorare. Ancora una volta, il tocco d’oro di Mida-Calasso era andato a segno quasi senza volerlo. Il segreto è forse questo: per raggiungere certi obiettivi editoriali non bisogna cercarli o bisogna fingere di non cercarli. Neanche bisogna immaginarli, perché ti esplodano felicemente tra le mani. Altrimenti come si spiegano le Sette brevi lezioni di fisica di Carlo Rovelli? Era il 2014, avrebbero potuto vendere 500 copie. Perché ne siano state vendute un milione, con traduzioni in 41 Paesi, non si spiega. Per questa inspiegabilità, Calasso è stato unico: editore unico per quel «libro unico» che in tanti anni ha realizzato mettendo a frutto un’intuizione straordinaria del suo amico Bobi Bazlen.