La Stampa, 27 luglio 2022
La legge elettorale peggiore d’occidente, che crea coalizioni divise
Abbiamo la legge elettorale peggiore d’Occidente e probabilmente solo la nostra scarsa conoscenza di molti sistemi africani o asiatici impedisce di proclamarla peggiore al mondo. Obbliga i partiti a creare coalizioni prima del voto, e questo è già un disastro, ma grazie a un pasticcio espressamente voluto dal legislatore lascia a ciascuna forza la facoltà di presentare un proprio programma e un capo politico. I partiti stanno insieme ma non stanno insieme. D’altra parte, rinunciare ad alleanze significherebbe partire con l’handicap di perdere molti collegi uninominali, quelli dove viene eletto il candidato che ha un voto in più degli altri, che valgono circa un terzo dei seggi parlamentari. Ma questa è la legge, e con questa bisogna cercare di ridare al Paese un governo degno.
Le difficoltà sono evidenti in entrambi i campi, paradossalmente più in quello che i sondaggi accreditano come favorito, il centrodestra. Diciamo che il Rosatellum, così si chiama la nostra legge elettorale, è fatta apposta per indurre in tentazione partiti già di loro poco virtuosi. Unirsi per razzolare ciò che conta, i seggi, e lasciare alla provvidenza tutto il resto. Ma al richiamo vizioso di questo meccanismo i due fronti stanno reagendo in modo diverso.
La strategia di Enrico Letta e del suo Pd pare fin qui realista e coraggiosa. A sintetizzarla si potrebbe dire così: la coalizione è obbligatoria, ma di coalizione si può morire. Il sistema di alleanze va finalizzato alla chiarezza delle idee e della proposta agli elettori. Se accade il contrario, è già persa. La tentazione di mettere insieme tutto il possibile e anche più è controproducente, perché ormai il gioco è scoperto e anche l’elettore più sprovveduto ha compreso che i cartelli elettorali messi insieme per sommare i buoi finiscono con la stalla semivuota e un fattore scelto dalla concorrenza.
Se c’è un dato oggettivo in questa campagna elettorale estiva è un Paese stanco di ingovernabilità. La legislatura più pazza della storia ha decretato il fallimento più grave della politica, già reduce da più di 10 anni di formule raffazzonate, e nessuno ha voglia di ripetere l’esperienza.
Nemmeno l’autorevolezza e la competenza di Mario Draghi è servita a riscostruire un terreno di gioco praticabile.
Poteva essere un time out per mettere in sicurezza i conti e riscrivere le regole. Sappiamo come e perché è finita, un epilogo indegno segnato dall’ansia di alcuni leader, Giuseppe Conte e Matteo Salvini, di monetizzare subito una rendita, sempre che il gioco riesca loro.
Gli elettori si aspettano che la politica torni a fare il suo mestiere: idee, programmi, classe dirigente. Magari non ci credono più, ma ancora ci sperano. Sarà solo la presenza di queste qualità che potrà arginare la tentazione di molti di stare a casa. Per questo Letta, giustamente, enfatizza il ruolo del Pd. Servono partiti capaci di caricarsi la responsabilità di un messaggio credibile, non dei buttadentro che puntano solo a fare numero, e poi peraltro neanche ci riescono.
Dall’altra parte, a destra, la coalizione unita dalla foga elettorale pare molto divisa su molte questioni fondamentali e, del resto, sarebbe sorprendente il contrario. Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia hanno trascorso insieme solo un piccolo tratto della legislatura, all’opposizione del Conte bis. Per il resto sono stati divisi e, anche se il richiamo del potere e le regole del Rosatellum fanno miracoli, oggi fanno fatica persino a simulare unità. Chi fa il presidente del Consiglio? Chi decide la linea in politica estera? Dove si trovano le risorse per le politiche di spesa faraonica? Le risposte non ci sono, resta solo il teatrino. Salvini che si ributta sui migranti, Berlusconi sul milione di alberi da piantare – ormai ai posti di lavoro non crede nemmeno lui – Meloni a rivendicare una leadership che gli alleati non sono disposti a riconoscerle. A furia di restare intruppati in una coalizione posticcia, i capi del centrodestra – di centro se ne vede poco – non sanno più nemmeno come farla funzionare.
Naturalmente l’unità coatta può ancora premiare Meloni e i suoi partner riluttanti. Il Rosatellum è fatto per loro e magari dai collegi uninominali uscirà il vantaggio decisivo per vincere le elezioni. Bisogna capire quanto gli italiani sono stufi dall’andazzo. A naso, molto. Chi dimostrerà con i fatti e non solo a parole di non voler più restare schiavo di questo deprimente stato di cose può recuperare molto consenso.