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 2022  luglio 27 Mercoledì calendario

Un altro giro nell’hotspot di Lampedusa, tra vomito e omertà

Quello con al braccio il numero 1724DXL dorme sdraiato davanti al cancello nella speranza che si apra. «Wallah, fratello! Non si vive in Tunisia. Africa merda merda merda. Non c’è lavoro. Ti impiccano. In Tunisia è la morte, devi credermi fratello». Si chiama Skander Jbalj, ha 26 anni. Questa notte è sbarcato a Lampedusa. Era con altri cinque ragazzi a bordo di una barca di tre metri, e tutti insieme contavano su un motore fuoribordo da 25 cavalli, il loro investimento sul futuro. «Ho lavorato sei anni, fratello. Sei anni interi. Ho messo da parte tutti i soldi. Dodici ore di lavoro al giorno per una paga da 5 euro, capisci cosa voglio dire? Sei anni di lavoro al mercato di Tunisi, così ho pagato 1500 euro e attraversato il mare per essere qui in Europa». In Europa?
Dormono nel vomito, dormono accucciati come cani. Si dormono addosso uno all’altro, pregano e ringraziano per aver scampato la morte lenta degli annegati. Sono vivi e dormono sotto il sole, chiusi dentro, imprigionati. Bevono acqua di rubinetto e aspettano. Accanto a Skander Jbalj c’è un ragazzo con un piede ferito. Lo tiene al riparo in un sacchetto di plastica. Sono passate sette ore da quando lo hanno portato qui nell’hotspot di Lampedusa, frontiera Sud dell’Unione Europea, ma nessuno lo ha ancora visitato. E quindi: 350 posti per più di 1300 persone presenti. Ne hanno portate via 750 con una nave della Guardia di Finanza e con un traghetto, ma altre 200 sono arrivate nel frattempo. E tutto questo è già successo talmente tante volte che chiamarla emergenza non ha alcun senso. Nulla di nuovo. Nulla di imprevedibile. In questa stagione il mare è più calmo. Allora forse è proprio questo il tipo di accoglienza che vuole esprimere la struttura italiana, in carico alla prefettura di Agrigento, su cui campeggia la parola «Frontex».
Sono passati nove anni dal 3 ottobre 2013, dal naufragio con 368 morti e almeno 20 dispersi. Sono passati nove anni dalle rivolte nel centro di Lampedusa, dall’anno degli incendi che avevano distrutto la struttura. Sono passati nove anni dalle promesse solenni di tutti i politici italiani: «Mai più». Soltanto una cosa è cambiata da allora. Sono stati riparati i buchi nella recinzione che chiude la gabbia dei migranti. Perché queste persone non devono vedersi in giro per l’isola. E infatti, non si vedono. E il sindaco di Lampedusa Filippo Mannino, eletto da quaranta giorni con una lista civica, non fa altro che ripetere la stessa frase: «L’isola regge. È un problema di cui per fortuna i turisti non si accorgono». Non si deve sapere. Di questi uomini cani. Di questi ragazzi affamati. Delle donne e dei bambini chiusi nella sezione femminile. I migranti non devono disturbare la stagione turistica. E infatti, alte sulla collina bruciata dal sole stanno le nuove garitte, quattro punti di avvistamento e controllo. Lì dentro i militari dell’esercito italiano in tuta mimetica si danno il cambio con i binocoli per controllare che Skander Jbalj e tutti gli atri non si facciamo venire in mente strane idee. Se qualcuno provasse a scappare, verrebbe immediatamente riportato indietro. Del resto, Lampedusa ha già altri problemi in questi giorni.
Per la terza volta dall’inizio dell’estate non funziona internet. Manca la connessione alla rete quasi totalmente. Sono giorni di banche in tilt, di bancomat fuori uso. Non si possono prelevare soldi. «Sappiamo di turisti che sono andati a prelevare a Palermo per poi tornare qui nell’arco della giornata», raccontano costernati all’hotel Medusa.
Si può pagare solo in contanti. Ci sono cartelli ovunque. Sulle casse dei supermercati e nelle farmacie. Solo contanti anche per quanto riguarda la benzina: 2,43 euro al litro per la senza piombo. «Con 20 euro neppure esci dalla riserva», diceva stravolto un ragazzo di Torino.
Sembra l’ultima estate prima del tracollo. Tutti i numeri sono sbagliati. E nessuno ha la risposta che serve all’altro. Il sindaco di Lampedusa dice che non gestisce lui l’hotspot, la prefettura dice che per entrare serve l’autorizzazione, sulla nuova società che gestisce l’hotspot è stata aperta un’inchiesta – così come su altre società di gestione si era indagato in passato. È tutto uguale a prima, solo più consumato. La Tim aveva avvertito con lettera protocollata il 23 giugno dell’intervento sulla rete. Lavori necessari da quando l’elica di una nave ha tranciato il cavo di connessione all’altezza dell’isola di Linosa. Ma la nuova giunta comunale non ha avvisato i turisti. E chi è partito senza contanti ora non sa come pagare la cena. L’unica cabina telefonica dell’isola, probabilmente una delle ultime in Italia, ha la coda davanti: «Stiamo tutti bene, siamo solo scollegati». E davanti all’unico negozio che potrebbe vendere la scheda dell’unica compagnia telefonica che – a tratti – si collega c’è una rissa all’ora e un elenco scritto a mano con 67 nomi di persone in attesa: «Matteo, Manuela, Katia...».
Lampedusa, l’isola che non c’è. Per portare via i migranti hanno deciso di usare l’attracco alternativo di Cala Pisano, quello che non si vede. «Abbiamo ereditato problemi che già c’erano», dice il presidente del consiglio comunale Giacomo Mercuri. «Sono problemi enormi che non dipendono da noi». Anche il Comune ha i computer bloccati. L’anagrafe non funziona. Niente funziona. «Le condizioni di vita in quel centro sono incivili», ammette una dipendente. Ma fino a ieri il sindaco non era ancora entrato nella struttura per rendersi conto della situazione.
È l’estate del boom turistico, dopo due anni di pandemia. Sembra l’ultima estate di felicità. Nessuno deve mettersi di traverso. Hanno tolto le barche dei naufragati. Vecchie Mehari girano su strade rotte e mai rattoppate. All’orizzonte si staglia un barchino con 12 migranti, mentre rientra il galeone dei pirati per il giro intorno all’isola. A Cala Francese c’è Villa Luna. È la casa che Silvio Berlusconi, allora presidente del Consiglio, comprò per testimoniare la sua vicinanza ai lampedusani. Era stata, cioè, questa casa, e lo è tuttora, il simbolo di tutte le promesse elettorali. Sono uno di voi. Sarò cittadino di Lampedusa. E infatti siamo ancora qui, per un’altra campagna elettorale. Matteo Salvini verrà nei prossimi giorni. E lui, Berlusconi, verrà? «Io l’ho visto soltanto due volte in questi anni», dice Jerry Maggiore del chiosco di Cala Francese. «Era l’estate del 2019. È stato qui per una notte. E poi per un weekend. Memorabile la serata con Apicella e la fidanzata di allora, la signora Pascale. Festa di compleanno. Che spettacolo vedere il cane Dudù che scorrazzava in giardino e poi il bagno di mezzanotte». Hanno messo le tende bianche alle finestre. Segno che qualcuno sta per arrivare. «Potrebbe essere proprio lui. Silvio Berlusconi in persona», dicono in tanti.
Non è cambiato niente. Ma nel frattempo tutte le parole si sono consumate. Tutte le parole non valgono più. Non partono i messaggi. Non arrivano le mail. Peccato per Skender Jbalj, perché le sue erano le uniche parole rivolte al futuro: «Wallah, fratello. Non sai che merda. Ma adesso sono felice. Finalmente in Europa». —