la Repubblica, 26 luglio 2022
Penna e le parole di Serianni
«La prima tesina che gli portai era scritta in maniera terribile, piena di virgolette metalinguistiche. Con tono gentile il prof mi chiese perché le usassi e mi fece capire con delicatezza che dovevano sparire. Perché dovevo sforzarmi di trovare la parola giusta, quella che non aveva bisogno di virgolette, perché era la Parola». Così Luca Serianni nel ricordo di Donato Sambugaro, 31 anni e una doppia laurea con il professore.
Il sorriso, la penna verde, le parole e l’anima. Dietro ciascuno degli sguardi di almeno 4 generazioni che ieri hanno rivolto un ultimo saluto al grande linguista si nascondono un aneddoto, un ricordo della dolcezza del maestro e dell’uomo. Nell’aula 1 della facoltà di Lettere della Sapienza in cui il docente, scomparso giovedì a Ostia per un tragico incidente, teneva le sue lezioni di Storia della lingua, ieri si è tenuta la camera ardente in cui, per primo, è entrato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Poi l’aula si è riempita a tal punto che in tanti non sono riusciti a entrare, mentre la rettrice Antonella Polimeni ha ricordato Serianni come un «servitore dello Stato, un innamorato dell’italiano istintivamente gentile, sinceramente dedito a tutti coloro cui trasmetteva qualcosa, caratteristica che solo i maestri possiedono».
Un maestro che insegnava a mettere l’accento su “sé stesso” e che anche per questo voleva essere ricordato. Così, tanti che ieri non hanno potuto raggiungere la camera ardente hanno lasciato simbolicamente un post-it sulla bacheca virtuale del gruppo Facebook “In memoria di Luca Serianni” con le due parole tanto amate dal professore. Che era «severo, ma giusto. Profondamente colto, ma sempre umile e gentile. Un insegnante universitario che preparava con scrupolo, rigore e chiarezza ogni lezione come fosse un professore del liceo. E non dimenticava mai di aggiungere un pizzico d’ironia per alleggerire le sue spiegazioni – ricorda Arianna Adipietro – Correggeva con la penna rossa, ma evidenziava in verde le parti meglio scritte dei nostri testi. E ricordava i nomi degli studenti anche a distanza di anni: per lui non eravamo numeri, ma persone».
Chissà se la scelta del verde per la penna (o l’evidenziatore) fosse legata alla vivacità del colore da associare a quella intellettuale dei suoi studenti. Un altro mistero era nascosto nella mail del professore: «Contiene la parola bandelisco e per anni ci siamo chiesti cosa significasse. Alla fine lo abbiamo scoperto: era il nome di un paese immaginario che aveva inventato da bambino», racconta Beatrice Palazzoni. «Con quella mail mi ha scritto per farmi gli auguri per il matrimonio, anche se io non glie lo avevo detto», continua l’ex allieva, che ricorda anche il rispetto con cui il docente trattava i suoi studenti. «Era l’unico che il giorno dell’esame diceva a ciascuno l’orario esatto in cui si sarebbe svolto l’orale. Il giorno in cui toccava a me rimasi allibita nel vedere che aveva saltato il pranzo e aveva preso solo un caffè pur di rispettare quegli orari e non lasciare noi ad aspettare ore incorridoio». Questa stessa umanità la ricorda non solo chi, come Palazzoni, ha seguito il professore in tutto il percorso universitario. Per Bruno Itri, 62 anni, Serianni non era un vero e proprio docente. Eppure ieri questo signore, che saliva le scale della Sapienza nel 1980, è venuto a salutarlo: «Mi alzavo il sabato mattina e alle 8 venivo in università ad ascoltare lui, che prendeva le terzine del canto dantesco prescelto e ci spiegava l’etimologia parola per parola. Non era un mio professore, ma è uno dei pochi che mi è rimasto nel cuore perché, nella sua enorme scienza, era soprattuttoumano». Lo ricordano così non solo gli ex allievi, che per lui erano «lo Stato» come disse nel suo discorso di congedo, ma anche i colleghi. Carmine Chiodo ha insegnato Letteratura italiana a Tor Vergata e racconta: «Tutte le volte che andavo in archivio o in biblioteca Serianni era lì, e io scherzando gli dicevo: “Lei è l’unico barone che studia”. Mi sorrideva rispondendo: “Anche lei”. Lo contraddistinguevano il garbo, la signorilità e l’umiltà. Un destino avverso lo ha strappato a tutti noi e soprattutto ai suoi allievi».
Molti, adesso, sono a loro volta docenti: «Se ho deciso di insegnare l’italiano è comunque per la speranza, nel mio piccolo, di poter fare la differenza, come Serianni l’ha fatta per noi – dice Valentina Abbatelli – E ciò che ho imparato delle sue lezioni va dalle piccole cose alle grandi: l’evidenziatore verde, l’uso dell’ironia, la dedizione nel preparare le lezioni e la chiarezza che cerco di mettere nelle spiegazioni di grammatica e nei laboratori di scrittura. Nell’incrollabile fiducia che la comprensione e l’uso ragionato della lingua siano, e continueranno ad essere, la nostra bussola». Proprio come è stato Luca Serianni.