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 2022  luglio 26 Martedì calendario

In Myanmar è tornato il boia. Quattro oppisitori vicini ad Aung San Suu Kiy sono stati uccisi dalla giunta militare

«Quando ci siamo visti su Zoom venerdì scorso mio figlio era in forma, sorrideva. Mi ha chiesto di portagli gli occhiali da vista, il vocabolario e un po’ di denaro per gli acquisti in prigione. Allora, dopo il fine settimana ci sono andata. Anche per questo non pensavo potessero averlo ucciso. Non riuscivo a crederci quando mi hanno detto che l’avevano impiccato il giorno dopo la nostra chiamata». Khin Win Tint, madre del parlamentare pro-democrazia Phyo Zeya Thaw, giustiziato sabato scorso assieme ad altri tre militanti anti-giunta con l’accusa di terrorismo, è incredula.Condanna a porte chiuse, tribunale militare senza avvocati presenti, sentenza in segreto e annunciata solo lunedì. Erano tutti incarcerati nella malfamata prigione di Insein, alla periferia di Yangon. È la prima volta dal 1988 che si applica la pena di morte a Myanmar. L’orrore di questa notizia sorprende il mondo intero, scuote il portavoce dell’Onu che chiede l’intervento delle democrazie, Unione europea in testa. Per ora sono arrivate le condanne della Casa Bianca, dell’Associazione delle Nazioni del Sudest asiatico (Asean) e di Amnesty International che lancia l’allarme: «Ci sono altri cento condannati nel braccio della morte in situazioni simili».Due dei quattro militanti giustiziati erano volti molto noti nella resistenza all’oppressione della giunta militare che il febbraio dell’annoscorso con un colpo di Stato ha rifiutato i risultati elettorali, gridando a brogli mai dimostrati, arrestando il premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, condannata a undici anni con una serie di accuse tra il ridicolo e l’improbabile e che deve affrontare altri 13 processi che potrebbero portare a una condanna cumulativa di 180 anni. Altri 12mila prigionieri politici languono nelle carceri perché non vogliono piegarsi ai militari.Il più famoso delle quattro vittime giustiziate è proprio quel figlio quarantunenne che credeva d’aver ancora tempo per leggere in carcere e non sapeva che quella sarebbe stata la sua ultima conversazione con la madre. Da ragazzo Phyo Zeya Thaw inizia la carriera come cantante hip-hop, musica che gli consente di esprimere lasua rabbia politica. Viene processato per i testi. In prigione gli cresce la coscienza politica e fonda l’organizzazione giovanile Generazione Onda. Diventa parlamentare con la Lega Nazionale per la Democrazia e si avvicina molto ad Aung San Suu Kyi. L’accusa è d’aver guidato attacchi ai militari, compresa una sparatoria in un treno di pendolari a Yangon in cui sono morti cinque poliziotti. Prove, dibattiti, possibilità di confutare le accuse? Niente.Anche l’altro giustiziato famoso, soprannominato Ko Jimmy, ma il cui nome è Kyaw Min Yu, era avvezzo alle ingiustizie dei militari. Ormai aveva 53 anni ed era un veterano del gruppo studentesco Generazione 88, movimento birmano pro-democrazia in militanza contro la giunta fin dalle rivolte del 1988. Da allora si era abituato ad entrare e uscire di prigione, fino al rilascio nel 2012. Ma nell’ottobre scorso era stato arrestato di nuovo con l’accusa d’aver nascosto armi in un appartamento di Yangon e d’essere un consulente del governo di unità nazionale. Le sorellenon hanno ancora avuto i suoi resti.Gli altri due condannati sono Hla Myo Aung e Aung Thura Zaw. L’accusa del tribunale militare è che avrebbero ucciso un’informatrice della giunta. Ma non si conoscono i dettagli, proprio perché il processo non si è svolto nei parametri di una democrazia, ma in quelli di un’autocrazia militare. Sono numeri che si aggiungono ai 14.847 arresti fatti dal primo golpe e alle 2.114 vittime delle forze militari, secondo l’associazione per l’assistenza dei prigionieri politici Aapp.Da un anno e mezzo la giunta militare di Myanmar cerca di soffocare il dissenso arrestando i capi dell’opposizione, sparando sulla folla di manifestanti disarmati, bombardando gli accampamenti della resistenza e bruciando migliaia delle loro case. Eppure, non è riuscita a sottomettere le forze pro-democrazia che si sono alleate a gruppi etnici, in lotta con i militari da anni e, assieme, sono riusciti a controllare quasi metà del territorio.Appena saputa la notizia, i capofila dell’opposizione, i gruppi internazionali e il portavoce Onu per i diritti umani, Thomas Andrews, hanno subito invitato i leader di tutto il mondo ad agire con più fermezza contro il regime. «Questi atti depravati devono essere un punto di non ritorno per la comunità internazionale», ha dichiarato Andrews. Il ministro degli Esteri giapponese Yoshimasa Hayashi ha dichiarato che queste condanne isoleranno ulteriormente Myanmar dalla comunità internazionale. Ma il mondo dovrebbe fare ora gesti più concreti per evitare che queste quattro impiccagioni non siano solo il preludio di una lunga mattanza di repressione.