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 2022  luglio 26 Martedì calendario

Il colpo di coda del Caimano

Le mosse d’apertura fanno capire che sarà una campagna elettorale, breve per fortuna, ma violenta. Di una violenza (almeno per ora) subdola, fatta di insulti e calunnie, derisioni perfino sull’aspetto fisico dell’avversario: il naso, le orecchie, la statura. Questo per i veleni, sull’altro piatto, ancora il vecchio gioco dei miraggi da Paese dei balocchi: pensione alle casalinghe, minima a mille euro, milioni di alberi – all’anno. Le parole in apparenza non costano nulla, ma non è vero. Perché le parole, come ben sapeva Carlo Levi, in realtà sono pietre, se t’arrivano in testa ti possono stordire. Con le parole si costruisce o si abbatte la fiducia, con le parole (“meno tasse per tutti”) si può arrivare a irretire quasi un intero popolo, e a vincere. È già successo, potrebbe ancora succedere.
Potrebbe, ma non è detto. L’esito della guerriglia appena cominciata non è scontato. La coalizione di destra è tenuta insieme da un confuso groviglio di interessi e ambizioni.
L’astuta Giorgia Meloni parla di Europa però ama gli uomini forti alla Orbán, si tiene strette le squadre di picchiatori, il grossolano Salvini si fa ritrarre davanti a una parete gremita di rosari e Madonne, non proprio l’avvenire. Facile prevedere che varrà anche in questo caso una vecchia regola della storia, cento volte confermata da Roma a Bisanzio: è più facile organizzare una congiura che spartirsi l’eredità della vittima.
È al redde rationem che escono i pugnali. Quanto al centrosinistra la sfida che deve affrontare non è meno impegnativa. Si tratta di far tornare a milioni di italiani la voglia di andare al seggio per tracciare una croce su una scheda. La riduzione dell’astensione farà la differenza perché la maggior parte degli astenuti nasce dalla delusione a sinistra. Il 25 settembre già i dati sull’affluenza potrebbero diventare un buon indicatore sull’esito della prova.
Per anni Repubblica ha indicato il pericolo rappresentato da un uomo come Silvio Berlusconi che ha usato le istituzioni a vantaggio proprio e delle sue aziende e nello stesso tempo le additava al disprezzo – dai magistrati alla Guardia di Finanza.
Meglio avere alla porta i rapinatori che i finanzieri, diceva; i magistrati sono persone mentalmente disturbate, aggiungeva. Ricordo le dieci fondamentali domande che Giuseppe D’Avanzo ha continuato a porgli su queste pagine senza mai avere un cenno di risposta come sarebbe stato doveroso da parte di un rappresentante dello Stato. Erano gli anni in cui abbiamo temuto un finale come quello ipotizzato da Nanni Moretti per il suo film: assalto al Palazzo, bombe, lacrime e grida, un po’ com’è poi realmente avvenuto a Washington nel gennaio del ’21. Non è successo, profezia sbagliata. Berlusconi, terminata la blanda condanna definitiva ai servizi sociali, sembrava avviato ad una pacificata vecchiaia con il cagnolino e qualche fidanzata al fianco che desse un’ombra di verità al mito del vecchio rubacuori o tombeur des femmes. Non è andata così. Una foto di qualche giorno fa lo ritrae seduto su una poltrona di vimini, la mano sinistra che stringe (o è stretta) alla destra dell’ultima fidanzata. Lui nerovestito, lei (Marta Antonia Fascina, deputata al Parlamento!) bianca anche nel biondo dei capelli e nel colorito cereo, tutt’intorno i cortigiani, intenti all’ascolto. Sembra un fotogramma del Padrino.
Eppure, è proprio quest’uomo, al quale controllano perfino le chiamate sul telefonino decidendo per lui se è o no il caso che risponda, è lui che ha fatto la mossa finale perché il governo Draghi cadesse. Sarebbe bastato ripetere le parole di apprezzamento e di stima dette fino a pochi giorni prima perché il crollo fosse evitato. Per l’ennesima volta invece ha aggiunto il suo peso per rovesciare il tavolo, sedotto a quel che pare dall’avventata promessa della presidenza del Senato.
Secondo miraggio che un irresponsabile gli ha fatto balenare dopo la vacua promessa del Quirinale. Un pregiudicato come seconda carica dello Stato sarebbe una novità assoluta nel mondo civilizzato. Ci vuole un’enorme quantità di pelo solo a pensarla un’ipotesi del genere.
Convinto da quel baluginio, Berlusconi ha cambiato subito idea, la stima dichiarata è diventata rifiuto, il governo è caduto. Una mossa già fatta molte volte a cominciare dalla prima quando, gennaio 1997, favorì, d’intesa con il segretario del Pds Massimo D’Alema, la nascita d’una commissione bicamerale per la riforma costituzionale, salvo farla fallire, dodici mesi dopo, avendo capito che non gli conveniva.
Anche in quegli anni lontani la coalizione di destra sembrava invincibile, invece – aprile 1996 – bastò la fragile invenzione dell’Ulivo per batterla. Le parole sono pietre ma la fiducia può diventare una forza più pesante delle pietre, basta sapersela meritare – non dovrebbe essere così difficile in un momento drammatico come questo.