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 2022  luglio 26 Martedì calendario

Intervista a Stefano Baldini

Visto dal suo garage, nel 2010, Massimo Stano era già un campione solo che ci ha messo una decina di anni a diventarlo per davvero e Stefano Baldini, oro nella maratona dei Giochi 2004, li ha seguiti tutti. Da quando era un tutor della nazionale con il compito di tenere d’occhio i giovani promettenti a oggi, allenatore, voce di Sky e «innamorato di questa Italia».
Dei 5 ori di Tokyo si è riconfermato solo Stano. Fenomeno?
«È sempre stato un evidente fuoriclasse, accade spesso che i ragazzi con quella qualità fisica, ci mettano del tempo a venire fuori e mi fa piacere che lui ci sia riuscito perché avvalora due lezioni: la determinazione è fondamentale e l’Italia ha avuto ragione a insistere sulla tecnica della marcia. È capitato che non venisse considerata, invece, alla lunga paga».
Gli Usa hanno fatto il pieno di medaglie, 32, mai nessuno aveva vinto tanto.
«Prevedibile. Il post pandemia ha fatto sì che l’Olimpiade di Tokyo sia stata interpretata diversamente a seconda delle regole che ogni stato si è dato. Da noi, chi faceva agonismo ha potuto praticare abbastanza normalmente. E poi c’è l’orgoglio a stelle e strisce che con le sberle prese ai Giochi ha scatenato la voglia di rivincita».
L’Italia fatica a fare i conti con la gloria Olimpica?
«Un calo qui era fisiologico, io stesso nell’anno post 2004 ho pagato pesantemente qualche infortunio di troppo, magari agevolato da un’attività extrasportiva che non mi permetteva di recuperare. E poi ti scatta il desiderio di dimostrare che meriti l’oro e vuoi fare più di quel che il fisico concede. Non riguarda solo l’Italia, si confermano in pochi. Il mondo corre, salta e lancia e se ti fermi non ti aspetta nessuno. L’anno olimpico è bellissimo, quello successivo impegnativo e crea le motivazioni per quel che verrà: nel 2023 i nostri big torneranno al meglio. Non si sono imbrocchiti. Sbattere contro gli errori serve».
Non sarebbe meglio avere il coraggio di fermarsi e rigenerarsi?
«Non siamo macchine, siamo esseri umani. In alcuni luoghi del mondo è più facile gestire i successi come quelli di Jacobs e Tamberi».
Meno pressione?
«Sì, ma anche un diverso modo di intendere lo sport. C’è chi esce dai Giochi e non li considera eccezionali come facciamo noi. Giusto che i nostri campioni si concedano e facciano pubblicità al nostro sport».
C’è il rischio che un talento come Jacobs si perda?
«Il rischio c’è sempre, per chiunque. Le fasi di una carriera esistono, però loro sono stati così bravi da arrivare in cima al mondo, parlo al plurale perché lì c’è un team fondamentale, sapranno trovare le contromisure. Ora è più difficile però più stimolante. Pensate a Vallortigara che ha celebrato il bronzo come un successo assoluto e ha fatto bene perché è la prova che tornare dopo ogni risultato mancato ha avuto un senso. Gimbo e Marcell qui hanno mostrato carattere».
Il carattere è cambiato dopo le Olimpiadi?
«No. Sono follemente innamorato dei nostri ragazzi. Li ho visti crescere e sono di parte, ma io noto tanta consapevolezza e poche scorciatoie. Al di là delle rivalità, che ci sono, trovo gli azzurri adeguati ai tempi che viviamo. Ci rappresentano».
Lei cambierebbe la sua gestione post olimpica se potesse tornare indietro?
«Sì. Eppure mi sono ritrovato molto nelle parole di Marcell, “con il senno di poi sarebbe stato naturale fare altre scelte”. Impossibile, i campioni vivono con un sacro fuoco che si alimenta di competizione, la cercano quindi un Jacobs che sta bene e vede la possibilità di fare un bel tempo a Nairobi ci va, non aspetta. L’agonismo funziona così e a volte porta pure a débâcle clamorose».
Warholm, che ha il record dei 400 ostacoli, può perdere male e Jacobs no?
«Il norvegese ha fatto quello che ho fatto io nel 2005: non ero in condizione ma ho gareggiato solo per vincere, accettando la cocente sconfitta. Io mi ero addirittura ritirato alla maratona dei Mondiali di Helsinki. Senza ragionare sulla distribuzione della fatica per arrivare sul podio».
L’Italia giudica troppo?
«Siamo latini, un filo critici e partiamo dai nostri limiti invece che dalle qualità altrui. Qui sono stati più bravi gli altri».
Che cosa fa il Baldini allenatore oggi?
«Lavoro con 20 atleti, alcuni della mia squadra, la Corradini Rubiera, altri vengono da fuori. I più bravi sono Pietro Riva, che a Monaco farà i 5000 e i 10000 metri, Rebecca Lonedo, pronta a esordire nella maratona dopo gli Europei, Hlynur Andresson mezzofondista islandese, Lorenzo Dini ora infortunato. E la porta è sempre aperta». —