Il Messaggero, 26 luglio 2022
Il film di Gesualdo Bufalino sulla principessa Florio
«Esterno giorno Parco di Villa Florio (inverno 1929). Il parco appare deserto, le panchine bagnate. Un rastrello abbandonato sul prato, foglie secche sul viale, mulinate dal vento. In un angolo, un’altalena, tesa fra due alberi, dondola vuota. L’obiettivo risale lentamente alla finestra principale del palazzo, dove dietro i vetri, una faccia di donna appare. È Franca Florio» È questo l’inizio della sceneggiatura scritta da Gesualdo Bufalino per un film che avrebbe dovuto raccontare la vita di una delle donne più rappresentative dell’aristocrazia italiana tra Ottocento e Novecento, Franca Jacona della Motta di San Giuliano, sposata Florio.
IL PROGETTO
Era il 1994 quando l’autore di Diceria dell’untore, su richiesta di una casa di produzione statunitense, immaginò e mise nero su bianco il racconto cinematografico con protagonista una delle creature femminili che più colpirono l’immaginario popolare negli anni che precedettero la prima guerra mondiale e in quelli che seguirono la seconda. Donna Franca, la regina della Belle Époque, ammirata dai più importanti personaggi d’Europa, la donna che il pittore Boldini ritrasse nel suo massimo splendore e che Gabriele d’Annunzio avrebbe voluto aggiungere al suo carnet di conquiste amorose. Avevano visto giusto i produttori americani, perché la vicenda umana di Franca Florio si sarebbe prestata come poche altre ad essere raccontata al cinema. Un’aristocratica siciliana, donna Franca, come uscita da una delle pagine del Gattopardo, e sposata con uno spregiudicato rappresentate dell’imprenditoria che in quegli anni di veloce progresso tecnologico sembrava non avere ostacoli (e anche lui da considerare siciliano, il marito, la cui famiglia dalla Calabria si era trasferita a Palermo, in cerca di fortuna).
LA STESURA
Bufalino sembrò sintonizzarsi con le esigenze dei cineasti d’oltreoceano e alacremente si diede alla stesura della sceneggiatura del film che poi non si fece. Rimase quel progetto ora pubblicato da ArchiLibri (Io, Franca Florio di Gesualdo Bufalino, con prefazione di Gianni Canova, introduzione di Massimo Onofri e illustrazioni di Giovanni Robustelli, pagine 95, euro 12,00). Il titolo stesso del film scelto dall’autore, Io, Franca Florio, dice che è lei a parlare di sé, a raccontare la sua straordinaria storia. Bufalino aveva pensato di inserire queste parole a chiusura del film: «Il precipizio di casa Florio si consumò negli anni Trenta, rapidamente. Franca condusse giorni lenti e tristi fino alla morte, nel 1950. Giocava, si truccava, invecchiava. Ma quando entrava in un salotto il suo passo era quello di una regina. Evitava gli specchi per non vedersi disfatta e vinta dagli anni. Quando morì si racconta che il suo viso si ricompose in un ovale purissimo, come nell’antica bellezza». Un’immensa fortuna economica, quella dei Florio; una fortuna che come un transatlantico in avaria lentamente affonda mentre nel salone delle feste spensieratamente si balla, si dissolse segnando la fine di una potente dinastia. Per oltre un secolo, i Florio contribuirono a rendere Palermo città felicissima, dandole i lussi e lo stile della Bella Époque.
INFELICITÀ
In quanto al privato di donna Franca, si può dire che l’infelicità fu pari alla sua bellezza, a causa delle continue scappatelle del marito, un personaggio che ai nostri occhi, oggi, sembra essere stato inventato dal genio narrativo di Vitaliano Brancati. Leggiamo questo brano della sceneggiatura ideata da Bufalino: «Interno notte Camera da letto di Franca (1901). Una pendola batte le tre di notte. Franca è a letto e legge, sola. Appare evidente che sta aspettando che Ignazio rincasi. A un certo punto si alza, va in camicia da notte a guardarsi nella grande specchiera. Il suo viso, bellissimo, invade lo schermo. Franca ritorna a letto. Si ode in cortile il rumore di una carrozza. Franca spegne la luce. Vediamo entrare Ignazio che si spoglia al buio e si corica accanto a Franca, convinto che dorma. Ma lei: Merito questo, dunque? Ignazio accende la lampada a gas e fissa la moglie in silenzio. Franca Riprende: Non sono bella, forse? Si denuda furiosamente. Ignazio è abbagliato, ma continua a tacere, infine: La più bella di tutte. Bella come un pugno di neve. Lei lo schiaffeggia, lui non reagisce. Lei, pentita, gli si butta fra le braccia: Ti permetto di tradirmi, dice, ma soltanto con le serve. Lina Cavalieri non è bella quanto me. Ignazio, confuso: T’avevo portato queste, mormora e le offre una collana di perle. Quindi la trascina verso il letto»
Nel 1986, quando tutto era un ricordo lontano, Giulia, figlia di Franca e Ignazio Florio, durante un’intervista concessami nella sua casa di Roma, mi confidò: «Era il 1950 o 1951, quando, entrata in una tabaccheria di Palermo, un signore, riconosciutami, disse: Che anni meravigliosi quelli dei Florio, che ricchezze, novantanove navi e una tutta d’oro!. Eravamo entrati nella leggenda e la leggenda voleva che possedessimo una nave tutta d’oro».