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 2022  luglio 25 Lunedì calendario

Intervista a Giovanna Ralli

«Non racconterò mai la mia vita vera. Se devi fare un libro sulla tua storia, devi dire quel che hai vissuto per davvero. E non ho nessuna intenzione di farlo». Lo dice ridendo ma è seria, Giovanna Ralli, 87 anni. All’Umbria Cinema di Todi le hanno consegnato il premio intitolato a Gigi Proietti («mi manca, era uno dei più grandi dello spettacolo, girammo Languidi baci... perfide carezze,
io ero la perfida del film»). La conversazione è fatta di ricordi luccicanti e moti spontanei, piccole verità e grandi risate di una carriera lunga settant’anni, piena di successi e segreti.
Il primo film che ricorda?
«Rebecca – La prima moglie, visto in piazza Testaccio, con mamma e il seggiolino, per terra non c’era asfalto».
La prima esibizione?
«Prendevo le tendine della finestra, me le mettevo in testa davanti allo specchio e cantavo, imitando mia madre. La domenica, mamma mi metteva nella tinozza per lavarmi, poi un fiocco di taffetà e facevamo il giro di Roma sulle circolari».
Infanzia difficile.
«Ricordo la guerra come fosse ieri, le deportazioni, la famiglia ebrea che ospitammo per una notte, le sirene, il ricovero in via Marmorata, stretti per mano, in braccio il più piccolo. Mio padre perse due fratelli in guerra, mia nonna morì di crepacuore. A dieci anni non ero più bambina, ero già matura. E poi la rinascita, ma pochi soldi. Mio padre, comunista, per non farmi fare il saluto fascista mi mandò dalle Salesiane, c’era suor Carolina, cattivissima. Certi schiaffi».
Il primo set a sei anni, comparsa per De Sica.
«Ci venne a prendere a scuola l’aiuto regista per una scena al giardino di Testaccio diI bambini ci guardano.
Tornai la sera a casa col volto pieno di cerone, non me lo volevo togliere tale era l’incanto. Con De Sica, anni dopo, Villa Borghese, la sartina corteggiata dall’avvocato maturo. Vittorio era stupendo. Mi offrìL’oro di Napoli, poi con Carlo Ponti decisero che era più giusta Sophia, napoletana».
Quando si è innamorata del mestiere?
«Alla proiezione privata del film Villa Borghese sentivo nella piccola sala i commenti: “Ma chi è questa ragazza? È brava”. Ridevano e applaudivano alle battute. Uscito il film il critico Filippo Sacchi scrisse cose molto buone. Pensai: “Forse è questo che devo fare”. Rifiutai il posto di operaia alla Chlorodont. Recitare mi ha fatto superare la timidezza, i personaggi mi hanno reso libera».
Ha lavorato con i grandi.
«Il mio personaggio romano è stato scritto da Age & Scarpelli, Amidei, Moravia. Da registi come Rossellini, Scola e Lizzani. Quando io ho iniziato ero ignorante, nel senso che non avevo fatto le scuole. Ma avevo talento e mi hanno aiutato. Amidei mi regalò Guerra e pace. Non capivo niente, lo chiamai: “Non lo capisci se non lo leggi cinque volte”. E attaccava. Iniziai a studiare, a leggere libri e i quotidiani, servivano per la dizione e per la consapevolezza. Sono la prima cosa che leggo la mattina».
Cosa ha comprato con i primi guadagni?
«La casa, dopo tutti quegli sfratti... 25 milioni di lire, mezzo in anticipo e il mutuo per tanti anni».
Elide di “C’eravamo tanto amati” è il personaggio più importante.
«È quello che ho amato di più. Mi assomigliava e per la sua ignoranza, per la sua goffaggine, come quando scrive sul diario e non sa se mettere l’acca davanti o dietro “ho”… queste cose le facevo anch’io. Ho la sua foto in camera da letto, tra i familiari».
Nel film Aldo Fabrizio era suo
padre.
«È stato il primo papà nella trilogia di
La famiglia Passaguai, avevo 14 anni, la mamma era Ave Ninchi, nelle pause mi costringeva a giocare a canasta. Aldo era un pacioccone.
Andai a salutarlo in camerino quando faceva Mastro Titta nel Rugantino. Lo trovo con una cofana di rigatoni: “Assaggia che so’ boni”. E ci siamo dovuti mangiare i rigatoni nell’intervallo».
Anche Anna Magnani le voleva bene.
«Mi adorava. Quando debuttai al Sistina con Un paio d’ali, mi insegnò a cantare Domenica è sempre domenica:“Fallo come faccio io, con un filo di voce”. Era innamorata e gelosa di Rossellini, gli aveva spiaccicato un piatto di spaghetti in testa, l’aveva inseguito in auto. Ho assistito alla loro riconciliazione, in casa di Vittorio De Sica, che doveva fare il generale Della Rovere con Rossellini.
Li ho visti abbracciarsi. Si parlò, quella sera, di La ciociara, che doveva fare Anna. De Sica voleva la Loren per fare la figlia, Anna diceva “no, è troppo alta, andrebbe bene Giovanna, che è più piccola e ragazzina”. Io pur di fare il film, mi alzai in piedi e abbassai le ginocchia.
Sophia in quel film fu straordinaria».
Ha vissuto per sei mesi a Londra con Michael Caine.
«Ci conoscemmo sul set di Caduta mortale. Era un cockney, un “trasteverino di Londra”. Dolce, passionale, ambizioso».
È andata a Hollywood per girare con Blake Edwards.
«Mi vide inSe permettete parliamo di donne di Scola. Mi fece un provino: mi trasferii a Beverly Hills, affittai una villa con piscina. Il vicino di casa era Jack Lemmon, il sabato veniva a mangiare gli spaghetti alla carbonara con Rossano Brazzi, James Coburn, Billy Wilder».
Di corteggiatori ce ne saranno stati tanti.
«Le parlo di un attore che non mi ha corteggiato mai, Marcello Mastroianni. In Verso sera di Francesca Archibugi facciamo due amanti maturi a letto. Abbiamo vissuto la nostra storia sullo schermo, fidanzati, sposi, amanti, genitori».
Perché ha smesso di fare cinema?
«Non scrivono ruoli belli sopra i quarant’anni, con l’eccezione del film di Jasmine Trinca, Marcel!, che ho fatto con gioia».
La vita è stata più bella prima o dopo i quaranta?
«Dopo, perché ho incontrato mio marito».