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 2022  luglio 25 Lunedì calendario

Il body shaming della politica incivile

«Cosa vuol dire avere un metro e mezzo di statura, ve lo rivelan gli occhi e le battute della gente...». Renato Brunetta evidentemente lo sa da quando è nato, infatti lo ha ammesso senza reticenza nel talk di Lucia Annunziata. Ha raccontato la sua amarezza per il post pubblicato su Instagram da Marta Fascina che, oltre a dargli del traditore che può starci, sonorizzava l’invettiva con la nota ballata di Fabrizio de André sul nano, che è invece una vera vigliaccata, perché il testo parla di un giudice di bassa statura, la cui carriera di spietato esecutore di condanne a morte è la risposta al dileggio subito negli anni per il suo deficit di altezza.
Il mio condannare un gesto così poco da signora non è un endorsement al Brunetta politico, è piuttosto una riflessione doverosa che ognuno, di ogni orientamento ideologico, dovrebbe fare sull’infelice esordio di una campagna elettorale, in cui sembra che le divergenze in famiglia (in questo caso Forza Italia) si regolano con l’antico e odioso costume di mortificare il reprobo, discriminandolo su una sua presunta inadeguatezza fisica.
Il controllo sulla nostra parte civilizzata si allenta quando si ci si gioca la serenità di giudizio imbevuti di astio, succede sempre nel territorio velenoso di un patto di fedeltà non rispettato. È corretto che capiti in politica, il luogo eccelso di ogni compromesso? No di certo ma c’è caduto anche Giorgio Mulè, che all’apice di una diatriba con Giovanni Toti scrive: «Il guaio è che sembra un Di Battista un po’ sovrappeso. Si prova solo molta pena e nulla più». Toti replica che si aspetta «il Ciccio bomba cannoniere», è evidente però che pure lui è stato attaccato su un problema di tipo fisico.
È pure possibile che questo avrà riaperto il ricordo di quando nel gennaio 2014 fu infagottato in una tuta bianca e messo a dieta forzata da Berlusconi, quando lo prelevò dai tg Mediaset per farne il suo delfino, portandolo prima di tutto in una clinica a perdere peso. Epico scatto di un tentativo di palingenesi (fisica e politica) quello che immortala i due che salutano dal balcone della spa «La maison de relax» di Gardone Riviera, dove il miracolo del dimagrimento di Toti era stato affidato al medico di fiducia del leader di Forza Italia, Alberto Zangrillo.
Toti avrebbe allora dovuto prendere il posto del precedente aspirante delfino Angelino Alfano, su cui pure avrà pesato lo stigma dell’inadeguatezza fisica. Al giovane coordinatore di Forza Italia a Palermo, scelto dal Cavaliere come possibile suo successore, però mancava già in partenza qualcosa per ambire a quell’importante posizione: «Angelino, senza capelli non ha futuro – gli fu detto senza remora da Berlusconi -. Lei ha una pelata che la fa apparire più in là con l’età. Sua moglie se ne lamenta?». Lo confessa lo stesso Alfano ad Antonello Caporale nel luglio 2005, aggiungendo che seguì un quasi diktat a sottoporsi (anche lui) all’impianto tricologico da un chirurgo di cui gli venne fornito il nome.
L’impianto era molto costoso, Alfano se ne astenne e forse partì già con il piede sbagliato.
È evidente che Marta Fascina abbia soltanto esternato in una burinata da stadio un retro pensiero sostanziosamente metabolizzato nell’ambiente in cui vive, dove il miraggio della perfezione fisica sia perseguito, senza alcuna discriminazione di genere, attraverso un costante ristrutturare con bisturi, innesti, polimero e tinture, laddove il naturale scorrere del tempo lascia inesorabile le sue tracce.
Lei stessa dovrebbe sapere però quanto possa essere mortificante subire il vigliacco attacco sulle proprie inadeguatezza fisiche o sulla conseguente, quanto sicuramente lecita, volontà di attenuarle quanto possibile con espedienti di ogni tipo.
Il suo «non marito» è stato bersaglio per anni di tutto quel sarcasmo più bieco che oggi chiamiamo «body shaming» e se è una regola deve valere per tutti, quindi sarebbe ora di smettere anche di ricorrere alle consunte battute di Beppe Grillo come «psiconano» o «testa di catrame», come pure le allusioni, che a qualcuno faranno tanto ridere, tipo «Cavalier pompetta» che infieriscono egualmente su un problema fisico. Basta anche con le foto cerchiate delle scarpe col rialzo di Berlusconi, degli sgabelli dietro al podio. Nascondono la stessa matrice codarda di chi, senza dirlo apertamente ma alludendo, dà del nano a Brunetta. Lui almeno, a differenza di Berlusconi porta con orgoglio la sua bassa statura, non nascondendola nelle foto ufficiali e non facendone un tema indicibile.
Eppure sullo svantaggio fisico di Brunetta ha ironizzato buona parte della comicità «progressista» da Fiorello a Crozza; quest’ultimo spesso lo raffigura con un paracadute per scendere dalla sedia. Brunetta può essere antipatico, può non piacere quello che dice e fa... Perché però deve essere considerato lecito dargli con disprezzo del nano?
È evidente che una persona molto bassa è presa in giro sin da bambino e da adulto non trova difensori. Non c’è remissione alla sua «colpa» tanto tra i buonisti di sinistra che vestono equo e solidale, quanto tra i cultori del salvifico posticcio che pensano a destra.
Ogni volta che si ironizza sul basso Brunetta si provoca sofferenza in chiunque sia molto al di sotto della statura minima della media; nel caso che qualcuno, pur ritenendo sé stesso civilizzato, obiettasse che tutto questo gli sembra esagerato, annoverandolo nella legittima goliardia, nella lecita invettiva, nel sacrosanto diritto d’opinione, è mio personale e confutabile convincimento che abbia sicuramente molto cammino da fare, per potersi considerare una persona evoluta. —