La Stampa, 25 luglio 2022
La dfferenza tra Meloni e Le Pen
Vi ricordate di quando, solo pochi mesi fa, si giocava a farsi paura evocando la possibilità che Marine Le Pen vincesse le elezioni francesi? Vi ricordate di quando, a chi mi chiedeva sconsolato: ma che sta succedendo alla Francia dei Lumi? Rispondevo serena: non vi preoccupate, Le Pen (che pure è meno estremista di Giorgia Meloni) è troppo connotata a destra (e troppo poco preparata) per poter anche solo sperare di vincere? Vi ricordate di quando, però, spiegavo pure che il sempre maggior consenso che riscuoteva Marine doveva servire di monito per il nostro Paese? L’errore del Presidente Macron era stato quello di non prendere sul serio i problemi reali della gente, i salari bassi – nonostante in Francia esista da tempo il salario minimo – e la disoccupazione crescente tra i giovani, la perdita di senso e le fratture identitarie. Con la conseguenza di regalare voti all’estrema destra, per fortuna arginata poi da una sinistra che, riappropriandosi del tema dei diritti sociali, era tornata nelle periferie. A pochi mesi di distanza, l’Italia si trova a dover anche lei fare i conti con una situazione delicata e con la possibilità – ben più concreta di quanto non lo fosse in Francia – di un trionfo elettorale di Meloni e Salvini. Tramontata l’idea di un centro-destra moderato, in tanti sembrano attratti dai loro slogan. Ma è davvero pronta a governare questa destra? Che idea incarna del nostro Paese?
Partiamo dai delusi e da coloro che stanno male, che oggi in Italia sono tanti. Partiamo da chi ha deciso che “basta”, non ha più voglia di votare, tanto le cose non cambiano, neanche i grillini che urlavano “vaffa” ce l’hanno fatto, prima sono andati con la Lega, poi con il PD, poi non si sa più bene dove. Partiamo da chi deve pagare bollette sempre più care e che, se proprio deve andare a votare, a questo punto è meglio la Meloni, lei almeno è coerente, al Governo non c’è mai andata. Per non parlare di chi ha i figli in casa, sebbene siano ormai grandi, ma se non trovano lavoro mica è colpa loro, no? Ché poi che senso ha rompersi la schiena, con un salario da miseria, quando si è buttato il sangue per prendersi la laurea e, magari, arrivano quelli che non sono italiani e gli passano davanti? Partiamo da tutte queste persone, “les oubliés de la République” (le persone abbandonate dalla Repubblica) come si è detto in Francia, che chiedono di essere viste, ascoltate, riconosciute. E che non si sentono più rappresentate dalla sinistra. I conti si fanno facilmente, è facile impelagarsi negli slogan: opporre l’élite al popolo (soprattutto quando, per definizione, l’élite è quella della finanza internazionale o di Bruxelles) o trovare un capro espiatorio (soprattutto se diverso, straniero, profugo). La vera difficoltà sta nel tenere assieme l’ascolto della sofferenza e la chiarezza degli obiettivi. Sebbene le persone sfiduciate esistono e la sinistra dovrebbe ricominciare a metterle davvero al centro della propria agenda. E non basta attivare quella che Meloni chiama la “macchina del fango” – anche se nessuno getta fango su nessuno, c’è solo chi ricorda legami mai del tutto smentiti col passato – per combattere i populismi. Uno dei compiti della politica è occuparsi di chi sta male. Su questo non c’è alcun dubbio. Ma all’interno di quale cornice valoriale? Qual è l’idea di persona che promuove la destra italiana? Che tipo di Paese vuole costruire?
Quando Giorgia Meloni, in Andalusia, afferma: «o si dice sì o si dice no», ha chiaramente in testa le parole del Vangelo di Matteo. Poi, però, le declina a modo suo. E dietro il “sì” ci mette la famiglia naturale, i confini sicuri, la sovranità del popolo e la nostra civiltà, mentre il “no” va alle persone LGBT, all’immigrazione, alla grande finanza e ai burocrati. Tutto di seguito e tutto insieme. Includendo ed escludendo via via secondo una visione rigida e fluida al tempo stesso: alcune persone si trovano escluse in ragione di ciò che sono, altre incluse automaticamente; alcune devono meritare il rispetto, altre lo hanno per definizione; alcune appartengono alla categoria: “cittadini di serie A”, altri alla categoria: “cittadini di serie B”. E se è evidente che la burocrazia e la grande finanza hanno grandi responsabilità nello stato disastrato dell’economia occidentale, meno evidente, anzi inaccettabile, è l’esclusione dei gay, delle lesbiche, delle famiglie arcobaleno, delle persone trans, degli stranieri, soprattutto di chi, nato e cresciuto in Italia, ha solo il colore della pelle diverso da un italiano. Che fine fa allora, all’interno dell’orizzonte valoriale di Meloni, l’universalità della croce che lei, ma anche Salvini, non fanno altro che invocare?
Proprio nel Vangelo di ieri si parlava della forza inclusiva della fede cristiana. Quando Gesù insegna a pregare e dice al Padre: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano», non dice: «dammi il mio pane, e non darlo agli altri»; Gesù non dice: «dallo a noi che siamo eterosessuali e italiani, non a chi è straniero in casa nostra o appartiene alla comunità LGBT». Gesù, sempre nel Vangelo, anche se non era quello di ieri, dice al contrario: «Venite, benedetti del Padre mio, perché ero straniero e mi avete accolto».
Non ho formule esatte per qualificare la destra italiana, e forse non è nemmeno necessario farlo, anzi, credo sia del tutto inutile cercare slogan da contrapporre ai loro. Penso sia sufficiente mettere in fila ciò che Meloni e Salvini dicono, per muovere qualche dubbio all’idea che hanno della civiltà di cui tanto parlano. Se il nostro Paese si fonda sui valori costituzionali della dignità, dell’uguaglianza, della libertà e del lavoro, è a questi valori che ci si dovrebbe sempre richiamare per smetterla di umiliare le persone e costruire davvero, come scrive il filosofo ebreo Avishai Margalit, una “società decente”. —