il Fatto Quotidiano, 25 luglio 2022
Fede nell’urna. La destra è prima tra i cattolici
La fede nell’urna. I cinque leader delle principali forze politiche italiche sono tutti cattolici. In ordine di sondaggi: la fascioatlantista Giorgia Meloni; il draghian-macroniano Enrico Letta; il leghista Matteo Salvini, cristiano per opportunismo; il dc di sinistra (come formazione) Giuseppe Conte: infine l’eterno zelig del teatrino di Palazzo Silvio Berlusconi.
Tra questi, l’unico praticante è Letta (la messa delle 12 nella parrocchia di Santa Maria Liberatrice, a Testaccio), lo stesso che però ieri in un’intervista a Repubblicaha detto di guardare con orrore all’ipotesi dell’antiabortista e anti-Lgbt Simone Pillon (cattolico clericale della Lega) al ministero della Famiglia. Al solito, dopo la fine della Dc, i credenti andranno a votare senza un preciso punto di riferimento partitico. Alle Politiche del 2018 la prima forza tra i praticanti fu il M5S (30,9%) seguito da Pd (22,4), Forza Italia (16,2) e Lega (15,7). L’anno successivo, alle Europee, l’incredibile volatilità delle percentuali di voto – ormai tipica delle elezioni italiane – si manifestò anche tra i fedeli: la Lega balzò in testa con il 32,7, i Cinque stelle crollarono al 14,3, mentre i dem salirono al 26,9. Tuttavia, sempre nel 2019, la maggioranza dei praticanti, oltre il 52%, disertò le urne.
Insomma, il voto cattolico non è determinante come una volta, ma pesa ancora. Anche per questo Salvini ha cominciato la campagna elettorale con un grottesco comizietto al Tg1: alle spalle aveva una parete ricoperta di immagini di santi e quadretti mariani. L’annunciata vittoria della destra di Meloni, Salvini e Berlusconi spaventa però la Chiesa italiana. Innanzitutto, per il cardinale Matteo Zuppi (nella foto), presidente della Cei con un passato decisivo nella comunità di Sant’Egidio (fondata dall’ex ministro Andrea Riccardi), la caduta del governo di Mario Draghi è stata un trauma inaspettato.
Dal 13 al 22 luglio, il capo dei vescovi italiani è intervenuto per ben tre volte sulla situazione politica del Paese. Il 13 con un invito alla “responsabilità” in vista del voto al Senato sul dl Aiuti, l’innesco della crisi. Il 18, poi, sia l’associazionismo cattolico, sia quello di sinistra hanno sottoscritto un appello di Zuppi a “ricomporre le differenze” per far andare avanti Draghi. Tra le sigle: l’Acli, l’Arci, l’Azione cattolica, Libera, il gruppo Abele e Legambiente. Il 22 luglio, infine, il cardinale ha individuato nel governo Draghi un “metodo” valido anche dopo le elezioni. A maggior ragione se, come ha scritto ieri il direttore di Avvenire Marco Tarquinio, ci si prepara alla “dittatura” di una minoranza (di destra) grazie al sistema misto del Rosatellum, maggioritario più proporzionale.
Tarquinio ha poi definito come agenda Mattarella, e non Draghi, la salvaguardia del Pnrr e la lotta al Covid. Ergo “il senso di unità e di ricerca del bene comune” (di nuovo Zuppi) andrà cercato anche all’indomani del 25 settembre. In pratica, la Chiesa vota l’agenda Draghi, che al momento vede solo due attori in campo: il Pd del praticante Letta e il centro liberal di Calenda, e forse anche “neopopolare” (Tarquinio).