il Fatto Quotidiano, 25 luglio 2022
Intervista al filosofo della politica Roberto Esposito
“Servirebbe uno come Landini. Serve alla sinistra un volto riconoscibile che sappia interpretare le buone ragioni di un voto verso questa parte”.
Questa è anche la parte di Roberto Esposito, uno dei massimi filosofi della politica, normalista di primo livello.
Mi lasci prima dire che la corsa al voto è frutto di un errore di calcolo, anche di insipienza, sicuramente di inesperienza. Come sia stato possibile che Giuseppe Conte non abbia valutato il rischio che la sua scelta di scuotere l’albero avrebbe poi fatto venire giù tutto, perché la destra si è incuneata a capofitto nella fessura aperta.
Anche Mario Draghi ha mostrato una gestione piuttosto approssimata della crisi.
È un impolitico al pari di Conte. E ambedue hanno sbagliato a misurare i passi. Credo siano andati oltre le proprie intenzioni. Ciascuno oltre. L’esito è sconfortante.
Nella prossima scheda elettorale la sinistra rischia di non esserci o di apparire solo come junior partner. La destra è presente in ogni sua gradazione e colore: quella sociale, quella sovranista, quella liberale.
Con Enrico Letta il Pd è divenuto nitidamente un partito di centro e riformista con sensibilità avanzate verso le battaglie per i diritti civili. In questo partito esistono figure che sostengono il filone progressista (penso a Orlando e a Provenzano) ma non sono così forti da spingerlo a occupare l’area della depressione economica, della marginalità sociale.
In autunno è prevista la maturazione della crisi sociale più drammatica dell’ultimo decennio. È mai possibile che la sinistra, che ha come ragione fondativa la battaglia contro le società diseguali, non abbia titolo a parlare?
Sa qual è il problema? Che finora la sinistra che abbiamo conosciuto è stata quella fragilina di Leu. Speranza ha fatto benino il ministro della Salute ma ancora mi pare debole, insicuro. Il problema più grande è che la sinistra non ha classe dirigente nella periferia. Il Pd è premiato perché la sua rete di amministratori è solida. Dietro Bersani invece chi c’è?
De Masi consiglia i Cinquestelle di fare come il francese Melanchon e farsi votare dagli italiani poveri, dare voce alla società fragile.
Vero, i Cinquestelle sono naturalmente incamminati – dopo le scissioni che hanno subìto – verso questo sbocco. Ma ancora non sono maturi, non hanno la storia per rappresentare con coerenza questo popolo che cerca voce. Non è che basta un manifesto o il reddito di cittadinanza a farti ritenere di sinistra.
Ecco allora Landini, il segretario della Cgil.
Lui sarebbe riconoscibile, avrebbe titolo, storia, competenza a riunire i cespugli, le forze minori e dare rappresentanza politica.
Ma lui non sembra abbia voglia. Dovrà fare tutto la destra. Rappresentare i padroni e gli operai.
L’ha già fatto, del resto l’anima sociale è nell’atto costitutivo del fascismo.
I due volti della destra. Matteo Salvini si fa ritrarre con una serie di Madonne alle spalle, ma il suo partito governa il triangolo industriale del Paese, è forza di maggioranza nelle istituzioni bancarie, indirizza i centri di potere confindustriale, è presente in tutte le Fondazioni culturali. Élite e popolo insieme?
Gli italiani guardano al sodo, in questo caso al proprio sodo. Hanno meno interesse a giudicare la reputazione pubblica del partito.
Si fanno i fatti propri.
L’etica è questione che non condiziona il gradimento, purtroppo.
Professore, avrebbe voluto Draghi ancora per un po’?
Temo gli sviluppi, perciò con tutte le virgolette possibili mi stava bene Draghi.
E adesso?
Ecco, e adesso?