il Fatto Quotidiano, 24 luglio 2022
La laurea è tornata una questione di censo
È il 2020: nella prolusione per l’inizio del- l’anno accademico della Scuola Normale di Pisa, il direttore Luigi Ambrosio fa una riflessione: “Nel passato – spiega – la Normale funzionava molto meglio come ascensore sociale”. L’istituto, emblema dell’eccellenza universitaria italiana, prevede infatti che il percorso di studi sia completamente gratuito e che gli allievi ammessi dopo un esame difficile e accurato ricevano una retta durante tutti gli anni di corso. “Tanti ragazzi e ragazze di famiglie meno abbienti avevano possibilità di fare carriera”, aggiunge. Percorsi importanti e prestigiosi. Ambrosio cita ad esempio uno degli allievi più illustri, il famoso storico e professore emerito Adriano Prosperi, che ricorda spesso la propria provenienza da una famiglia contadina: “Per lui la Normale fu veramente un trampolino per allargare i propri orizzonti e le proprie possibilità”.
Il direttore richiama anche le sorti della “giovane protagonista Elena de L’amica geniale”. La Normale ha infatti ospitato da poco le riprese della seconda stagione. Per il personaggio nato dalla penna di Elena Ferrante, la scuola in generale ma in particolare la Normale di Pisa, sono il mezzo per allontanarsi dalla violenza e dalla povertà estrema della periferia di una Napoli post-bellica. Un distacco che non è invece possibile a Lila, la brillante amica delle elementari che resta incastrata nel Rione e nelle sue terribili leggi. “Anche per Elena la Normale è uno strumento straordinario di emancipazione e di libertà”. Ambrosio rileva però che qualcosa sta cambiando: “Le problematiche di gender gap e di mobilità sociale toccano un ambito assai più ampio di quello accademico: le università arrivano al termine di una lunga filiera, in cui evidentemente qualcosa si è spezzato”.
Il riferimento non è casuale: come spiega al Fatto il professore Andrea Mariuzzo dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia (di cui trovate una estesa intervista qui accanto) negli ultimi venti anni le condizioni familiari degli ammessi alla Scuola Normale di Pisa sono molto migliorate, scontrandosi di fatto con l’importanza della gratuità che permette anche agli studenti provenienti da famiglie povere o non perfettamente altolocate (impiegati, lavoratori, etc) di frequentare un ateneo di eccellenza. In pratica, l’accesso alla filiera che serve per arrivare a compiere studi di eccellenza in scuole di eccellenza pare stia tornando a ridursi, come era prima degli anni 60, soprattutto a chi proviene da famiglie benestanti e che magari vivono nei centri storici delle grandi città. Ma non solo.
Guardiamo infatti ai dati dell’ultimo rapporto sui laureati di Almalaurea, il consorzio interuniversitario che rappresenta 78 atenei italiani e che ha coinvolto circa 300mila laureati nel 2021. “Sono sovrarappresentati – si legge – quanti provengono da ambienti familiari favoriti sul piano socio-culturale”. Almeno il 21 per cento dei padri di chi si laurea possiede un titolo di studio universitario, mentre la percentuale sale al 22 per le madri. La percentuale della popolazione presa come riferimento (uomini tra i 45 e i 64 anni) è di quasi sette punti inferiore. Il numero è cresciuto nel tempo: se oggi il 31 per cento dei laureati ha almeno un genitore con un titolo di studio universitario, nel 2011 era pari al 27 per cento. La quota varia dal 28 per cento dei laureati di primo livello al 31 di coloro che ottengono la magistrale, per arrivare sino al 43,5 tra chi si laurea a ciclo unico.
L’analisi si concentra però anche sull’estrazione: si nota, ad esempio, che i laureati con origine sociale elevata, i cui genitori siano quindi imprenditori, liberi professionisti e dirigenti, sono pari al 22 per cento del totale, quasi uno su quattro. Per i laureati provenienti dalla classe di estrazione sociale meno favorita, i cui genitori svolgono professioni esecutive (operai e impiegati esecutivi), la percentuale è la stessa. Il dato, che in apparenza appare dunque paritario, rivela invece le sue differenze sul lungo corso. Per chi proviene dai ceti più ricchi, la percentuale di chi si laurea anche alla magistrale è del 22 per cento e sale fino al 32 per il ciclo unico che rappresenta le materie giuridiche e mediche (avvocati, giudici, dottori). Per chi invece appartiene ai ceti sociali più poveri, lo stesso dato scende al 21 per cento fra i laureati magistrali biennali e tocca appena il 16 fra coloro che conseguono lauree magistrali a ciclo unico.
“Pur nella loro schematicità – spiega quindi il rapporto del consorzio Almalaurea –, questi dati evidenziano il peso dell’origine sociale sulle scelte e sulla possibilità di completare con successo un percorso di istruzione universitaria”. L’iscrizione ai percorsi a ciclo unico comporta inevitabilmente una previsione di investimento di durata maggiore rispetto alle lauree di primo livello, investimento che spesso proseguirà con ulteriori corsi di specializzazione. “È anche per questo motivo che i laureati magistrali a ciclo unico costituiscono una popolazione di estrazione sociale relativamente elevata, in particolare quelli del gruppo medico e farmaceutico”. Nel passaggio tra i due livelli di studio, inoltre, si registra un’ulteriore selezione in base alla classe socio-economica di provenienza: “In sintesi, proseguono con maggiore frequenza la propria formazione i laureati che hanno alle spalle famiglie culturalmente più favorite e nelle condizioni di sostenere gli studi dei figli”.
Al contempo, il background formativo è altrettanto importante (e condizionato) di quello della classe socio-economica della famiglia di provenienza: il 75 per cento dei laureati arriva dai licei, solo il 20 dagli istituti tecnici, giù giù sino ad appena il 2,6 per cento che ha un diploma professionale. Anche qui i numeri, secondo Almalaurea, non lasciano scampo: “La quota di laureati con un diploma liceale negli ultimi dieci anni è aumentata, passando dal 70,1% del 2011 al 74,8% del 2021 (più 4,7 punti percentuali)” ma questo è avvenuto “a scapito dei laureati con diploma tecnico, che sono scesi dal 24,9% al 19,7%” del totale.