Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  luglio 24 Domenica calendario

Storia del rapporto tra Coppi e Bartali

Per chi, depresso per le disgrazie presenti, volesse consolarsi con le glorie passate, la giornata di oggi è particolarmente adatta. Il 24 luglio 1949, infatti, Fausto Coppi vinse il suo primo Tour de France. Pochi mesi prima aveva conquistato il podio al Giro d’Italia: una simile doppietta non era mai stata realizzata da nessuno. Gli italiani esplosero con la stessa di gioia con cui l’anno precedente avevano accolto la vittoria di Gino Bartali, che, si disse, aveva sventato il pericolo di una rivoluzione dopo l’attentato a Palmiro Togliatti. Il Paese, diviso nelle preferenze politiche, si era raccolto attorno all’eroe, e per un attimo aveva ritrovato una sorta di gioiosa unità. Benché l’importanza di quell’impresa sia stata successivamente esagerata, è indubbio che contribuì se non a pacificare, certamente a distrarre gli animi.
STAGNAZIONE
In effetti il ciclismo era allora lo sport più popolare ed amato, forse perché, ancor più del calcio, rappresentava lo sforzo dell’individuo per affrancarsi dalla povertà e dalla monotonia. Il nostro era un Paese quasi totalmente agricolo, fiaccato dalla stagnazione economica e dalla rassegnazione morale prodotte da una dittatura sciagurata e da una sconfitta umiliante. L’analfabetismo era diffuso, l’igiene precaria, il cibo scarso e costoso, i divertimenti limitati. Per i ragazzi c’erano le piazze semideserte, trasformate in terreni di giochi improvvisati, e le ospitali parrocchie dove i preti, impacciati dalle lunghe sottane, tiravano calci a palloni sgualciti. Per gli adulti c’erano le carte, le osterie e, per i più abbienti, le partite di campionato sugli spalti sgretolati.
STATUS SYMBOL
La bicicletta era posseduta da pochi, ambita da molti, e conosciuta da tutti. Se solo poche élites potevano permettersi il tennis, lo sci e la scherma, per non parlare dell’equitazione e degli sport acquatici, tutti potevano aspirare, lavorando di gambe e di buona volontà, a emulare i campioni del manubrio. E assistere al passaggio dei corridori, fosse il giro d’Italia o una competizione provinciale, era un evento eccitante e soprattutto gratuito. La rivista Il calcio e il ciclismo illustrato, equiparando il pedale alla sfera, sanciva l’enorme popolarità di questa disciplina e dei suoi campioni. Fino a quel momento lo scettro era detenuto da Gino Bartali. Poi, come era accaduto a Cimabue con Giotto, passò al suo eterno rivale.
Fausto Coppi era nato a Castellania il 15 settembre 1919. Era di famiglia modesta, e di scarsa attitudine scolastica. Ma coltivava una passione per la bicicletta, e quando uno zio gli regalò una piccola somma ne acquistò una, con cui esordì in periferiche corse di dilettanti. Il fisico lo aiutava quanto la volontà. Era magro e asciutto, con un’apparente esilità muscolare. In realtà aveva una struttura forte e flessibile come l’acciaio, con una straordinaria capacità polmonare e un’anomala bradicardia (34 battiti al minuto) che gli consentiva sforzi sovrumani senza che il cuore scoppiasse. Con questo viatico fisico e mentale nel 1939 passò al professionismo. L’anno dopo vinse il suo primo Giro d’Italia.
LA GUERRA
Allo scoppio della guerra fu arruolato e fatto prigioniero in Africa. Quando tornò, nel 1945, riprese a correre con sempre maggiore determinazione. Malgrado cadute, malattie e altri inciampi, replicò nel 1947 l’impresa di sette anni prima, portando la maglia rosa fino all’ultima tappa al Vigorelli. La doppietta del 1949 fu il coronamento di questa ascesa incontenibile, che lo vide sul podio in tutte le specialità del ciclismo: l’inseguimento, il record dell’ora, e naturalmente il campionato del mondo su strada: la maglia iridata fu conquistata nel 1953 a Zurigo. Nessun atleta era stato così completo: Coppi era un formidabile scalatore, ma anche velocista e passista. Il titolo di Campionissimo, che ancora oggi lo identifica, non gli fu attribuito senza ragione. Benchè sia difficile stabilire una graduatoria dei fuoriclasse, è certo che nessuno lo ha più superato.
LA SFIDA
La sua rivalità con Gino Bartali fu in parte vera e in parte costruita: la competizione, per far notizia, necessita di qualche stimolante litigata. Bartali era dipinto come un toscanaccio polemico nella parola ma impeccabile nel comportamento: era un cattolico praticante, marito e padre esemplare, e di simpatie democristiane. Coppi era timido e impacciato, ma scandalizzava i benpensanti: pare avesse simpatie di sinistra, e non era un esempio di fedeltà coniugale. Si era sposato 1945, ma pochi anni dopo aveva iniziato una relazione con Giulia Occhini, una giovane ammiratrice che gli aveva chiesto un autografo dopo una gara. Poichè entrambi erano sposati, il legame fece uno scandalo enorme. Il marito della Dama Bianca (chiamata cosi perché era stata notata a una tappa di un Tour con un soprabito bianco) la denunciò per adulterio.
FLAGRANZA
I carabinieri fecero irruzione nella casa dei due amanti sorpresi, come si dice, in flagranza di delitto. La donna fu arrestata, Coppi denunciato, ed entrambi furono condannati. In quegli anni la bigotteria non era patrimonio esclusivamente italiano. La principessa Margaret, sorella della Regina Elisabetta, dovette lasciare il pluridecorato pilota Peter Townsend, perché era divorziato. Sono tutti esempi che dimostrano la relatività dei nostri costumi e la volatilità dei nostri pregiudizi.
L’avanzare degli anni, le numerose cadute e le vicissitudini coniugali determinarono un rapido decadimento dell’atleta, che tuttavia, alla fine del 1959, si esibì in una gara in Alto Volta. Quindi si avventurò in una battuta di caccia, assieme al collega Raphael Geminiani. Al ritorno a casa, la febbre assalì entrambi. I medici francesi diagnosticarono la malaria, e salvarono in extremis Geminiani. Quelli italiani non capirono la natura della malattia, e somministrarono antibiotici invece del chinino. Il campionissimo entrò in coma il giorno di Capodanno del 1960 e mori il 2 Gennaio. I comuni delle Dolomiti hanno fatto a gara per intitolargli le vette più alte.