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 2022  luglio 24 Domenica calendario

Intervista a Nicoletta Manni

Sempre siamo chiamati alla metamorfosi. Ce ne accorgiamo ogni giorno, anche solo guardandoci nello specchio. Eppure, ci sono momenti in cui la trasformazione è repentina, come mai prima. In certi giorni d’estate ancora di più. Forse perché, proprio allora, il bruco, smette di essere bozzolo, crisalide e diviene farfalla. Così è accaduto anche a Nicoletta Manni nell’estate del 2004. Non aveva neppure tredici anni e aveva sempre vissuto a Santa Barbara, un pugno di case intorno a una masseria in provincia di Lecce. Chiese alla madre di portarla a un’audizione alla scuola di danza del Teatro alla Scala di Milano. Fu così che cominciò la metamorfosi che l’avrebbe fatta divenire prima ballerina della Scala.
Nicoletta, tutto è cominciato quando lei e la sua famiglia siete saliti su un treno per Milano. La prima audizione alla Scala.
Quanto durò quel viaggio?
«Dodici ore. Non finiva mai. Siamo partiti di notte e arrivati al mattino alla Stazione Centrale di Milano.
Siamo andati subito in via Campo Lodigiano, dove si trova la scuola».
E lì cosa successe?
«Saranno state le 11 e 30. La sala dove feci l’audizione era al piano terra. C’era un’insegnante che teneva una audizione-lezione a noi bambini, erano cose che facevo tutti i giorni, esercizi alla sbarra, poi al centro le sequenze molto lente, i salti, il lavoro sule punte. Esercizi di tutti i giorni. Ma lì c’era la commissione della scuola di balloche ci giudicava».
Cosa ricorda in particolare?
«Alla fine della sbarra, la maestra chiese ad alcune ragazzine di eseguire un movimento. A me però non disse nulla. Non capii se era un buon segno oppure no».
E i suoi genitori?
«Sono uscita e mia mamma era molto preoccupata, perché un altro genitore le aveva detto “io l’ho raccomandata, tu non l’hai raccomandata.” Dopo mezz’ora hanno pubblicato i nomi di chi passava alla selezione successiva.
Ero nella lista. Quel momento me lo ricordo molto bene».
Come fu il viaggio di ritorno?
«Ero esaltata. Mia mamma provava a calmarmi e mi diceva che era solo il primo passo, che ancora non sapevamo nulla».
Rientraste nel vostro paesino, una frazione di Galatina, in provincia di Lecce. Poche case intorno a una masseria.
«In realtà, neppure la gente del posto lo conosce, è una frazione talmente piccola che ci puoi solo passare per caso».
A quei tempi lei andava nella scuola di danza di sua madre?
«Mia mamma ne aveva due. Una a Mesagne, il suo paese e quello dei miei nonni. A quasi cinquanta chilometri da casa. Ma io andavo soprattutto in quella di Copertino più vicina. Là c’erano le mie compagne di scuola».
Dopo un mese partiste con suo padre per la seconda selezione aMilano. Un esame fisico e medico. Tornaste senza sapere nulla a Santa Barbara per passarvi l’estate. Come ricorda quei giorni e quel posto?
«Un luogo quasi fiabesco, con pochissimi abitanti, meno di cento persone. Ci conoscevamo tutti.
C’era molta libertà per i bambini e potevamo incontrarci quando volevamo. Passavamo tutto il tempo all’aperto a giocare in campagna».
Dopo qualche settimana arrivò finalmente la lettera in cui le comunicavano che veniva ammessa al mese di prova.
Doveva iniziare il 1 settembre. Quandopartiste?
«Il 28 agosto feci appena a tempo a festeggiare il mio compleanno di tredici anni. Il giorno dopo partimmo per Milano in macchina per portare tutte le mie cose».
Una volta arrivati lei andò a dormire in un convitto nel quartiere Corvetto. I suoi genitori tornarono in Puglia. Come furono quei primi giorni da sola?
«Era la realizzazione di un sogno, ma fu anche dura. Difficile ambientarmi, ma ero talmente entusiasta, non avevo ancora realizzato cosa stava succedendo.
Noi allieve facevamo tutto da sole.
Ci muovevamo in gruppo».
Al mattino prendevate la metro per andare dal convitto alla scuola di ballo. Come uscivate?
«Eravamo già tutte con lo chignon, già preparate, perché la scuola didanza era di mattina. Fino alle tre del pomeriggio. Poi un autobus per andare al liceo in Piazza Venticinque aprile. Solo alle nove e mezzo di sera tornavamo al convitto. Sempre tutto da sole».
Entrare in un’accademia è un salto vertiginoso. Lei poi era più piccolina delle altre, era avanti con il programma ma aveva un anno e mezzo in meno. Come furono i giorni successivi di quel mese?
«Meravigliosi e difficili. Più difficili dell’audizione. Perché dovevo far vedere che all’interno di un mese ero capace di apprendere, migliorare, anche a livello caratteriale, mostrare come rispondevo a una situazione di stress».
Nel 2009 alla fine della scuola di danza, a diciassette anni, andò a Berlino per potere lavorare subito. Poi è tornata in Italia. È divenuta prima ballerina della Scala. È divenuta farfalla. Cosa è che le piace ancora della danza?
«Interpretare donne forti, coraggiose. Vivere il dramma.
Essere sul palcoscenico ciò che non sono nella vita. È una sfida e anche una prova fisica e mentale».
E sua madre ora che dice? Viene ancora a vederla?
«Mai si sarebbe aspettata di vedermi arrivare dove sono adesso, anche se ovviamente ha sempre sperato che raggiungessi degli obiettivi. Certo che viene. Ma mentre prima, a fine spettacolo, mi dava qualche dritta, qualche consiglio, qualche correzione, adesso quando cala il sipario, non riesce a dirmi più nulla e si commuove».