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 2022  luglio 23 Sabato calendario

Biografia di Eva Cantarella raccontata da lei stessa

È tra le studiose (e gli studiosi) più autorevoli del mondo antico.
Combina insieme profondità e divulgazione. È raro assistere agli effetti di un suo libro o di una sua lezione, senza che scatti quel leggero moto di ammirazione che di solito si prova quando dalle semplici parole si dischiudono mondi straordinari. Prendete l’ultimo libro di Eva Cantarella dedicato a Sparta e Atene. Niente è lasciato al caso o all’inspiegato. Vecchia questione, direte: meglio Sparta o Atene? Meglio la disciplina autoritaria o la libertà cittadina? Per secoli c’è stato il gioco dellepreferenze.
Quando è iniziato il confronto tra Sparta e Atene?
«Parte dall’antichità. Alcune fonti, come Senofonte e Plutarco, sono a favore di Sparta. Altre, pensa ad Aristotele, sono favorevoli ad Atene. Le descrizioni che abbiamo, a seconda dei casi, idealizzano o demonizzano il modello. Aristotele, ad esempio, trasmette un’immagine di Sparta non solo negativa, ma a volte addirittura caricaturale».
Sono due modelli incompatibili?
«L’incompatibilità è più presunta che reale. Parlerei invece di rivalità che le contrappose quando, dopo aver sconfitto insieme il nemico persiano a Maratona, diventarono due superpotenze in lotta per la conquista del potere sulle altre poleis».
Prima di Sparta e Atene ci sono i poemi omerici considerati il fondamento della nostra civiltà. Che cosa hanno trasmesso della loro narrazione?
«C’è una “questione omerica” che, per essere compresa nei suoi sviluppi, va collocata nei secoli precedenti all’introduzione della scrittura, quando la memoriaculturale del popolo greco era affidata a dei racconti tradizionali che noi chiamiamo miti (in greco “mito” significa parola, racconto). Il compito di diffondere e mantenere quella memoria era affidato ai poeti, i celebri aedi e rapsodi, che girando per le strade della Grecia raccontavano storie di dei e di eroi».
Con quali effetti sul pubblico?
«Insieme alla funzione ricreativa svolgevano quella fondamentale di conservare la memoria del loro popolo, prospettando ideali etici ed esercitando un compito politico e pedagogico. La lunga civiltà orale si sviluppò dal miceneo passando per il cosiddetto Medio Evo ellenico, fino ai secoli della “ricostruzione”, quando cominciò a profilarsi il mondo della polis».
Che cosa contribuì o decise la nascita della nuova Grecia?
«Dopo i secoli oscuri le comunità sopravvissute al crollo dei Palazzi si organizzarono in città stato nelle quali la sovranità spettava agli appartenenti al gruppo. Fu in questo mondo delle poleis che sarebbe nata la democrazia».
Tendiamo a vedere nella democrazia greca un altro dei nostri modelli. E di solito si parla del miracolo di Atene.
«Fu davvero qualcosa di unico. Favorito dal fatto che Atene, diversamente da Sparta e da altre città, ci ha lasciato una straordinaria e variegata serie di testimonianze. E tutto questo ha inizio prima dell’età di Pericle e del suo secolo d’oro. Proprio sul finire del VII secolo comparve sulla scena ateniese la figura di Draconte, fu il primo legislatore della città. La sua riforma più importante mise fine alla cultura della vendetta. Di cui abbiamo la più vasta rappresentazione nei testi omerici».
Intendi dire che la giustizia era riassumibile nella violenza?
«Pensa alla vendetta che Achille mette in atto quando Agamennone gli sottrae Briseide, la schiava che gli era stata data per il suo coraggio. Tutto il mondo omerico è attraversato dalla vendetta. Guai a chi, avendo subito dei torti, non si vendicava. Draconte fu il primo a equiparare la vendetta all’omicidio. Dopo di lui ci fu Solone che ridimensionò i privilegi degli aristocratici, poi venne Pisistrato e Clistene il quale seppe dare una nuova forma organizzativa e amministrativa ad Atene e a tutta l’Attica. Come vedi il percorso della democrazia non fu breve e solo alla fine arrivò Pericle».
Fu l’uomo giusto al posto giusto?
«Il suo potere, come disse Tucidide, derivava dalla sua autorevolezza, dalla sua intelligenza e da un indiscutibile incorruttibilità. Pericle seppe governare i suoi concittadini senza limitarne la libertà. I favori che essi gli tributarono consentirono di proseguire il programma di riforme avviato con Clistene, al punto di fare di Atene quel modello di democrazia ideale ammirato nei secoli».
Il punto più alto di tutto questo si trova nella celebre orazione di Pericle documentata da Tucidide.
«NelleStorie Tucidide riporta il discorso dove Pericle dice che il nostro governo favorisce i molti e non i pochi; dove le leggi assicurano una giustizia eguale per tutti senza ignorare i meriti e l’eccellenza. E ogni passaggio è sottolineato dal “qui ad Atene noi facciamo così”, a riprova che gli ateniesi si consideravano un modello per gli altri e non degli imitatori».
Ma è un’utopia la democrazia auspicata da Pericle o ha un fondamento reale?
«Pericle farà di tutto per mettere in pratica i principi che ha enunciato. Ha una visione inclusiva dei cittadini che partecipano allapolis. Ma tutto questo aveva un costo economico molto alto e Atene poteva permettersi di essere democratica solo perché la Lega di stati che le sono sottomessi, le pagano fior di tributi».
Quando dici visione inclusiva intendi che tutti prendevano parte alla polis?
«Non tutti. Molti ateniesi che contribuivano al benessere economico e culturale erano esclusi. Come è il caso dei meteci. Aristotele per fare un esempio illustre non aveva diritto di voto».
Come è nata la tua passione per il mondo greco?
«Un ruolo importante lo ha giocato mio padre. A lui devo il ricordo di quando piccola mi leggeva o raccontava l’Odissea. Ancora adesso mi capita di risentire la sua voce, la passione e il distacco con cui mi catturava descrivendo le numerose avventure di Ulisse. Ho ammirato questo suo lato ben sapendo l’altissima competenza che possedeva. Era un apprezzato grecista. Di famiglia meridionale, più specificamente salernitana, così come mia madre. Quanto a me sono cresciuta e ho studiato a Milano, dove mio padre si era trasferito perché chiamato a insegnare all’Università Cattolica e poi alla Statale».
Alla fine, con i tuoi studi, hai seguito le orme paterne.
«Se l’ho fatto, e da un certo punto in poi è stato così, è avvenuto a prescindere da lui. Credo di aver goduto di una grande libertà. Superata l’infanzia i miei genitori hanno voluto che le mie scelte di vita fossero davvero mie. Mai, per quel che ricordo, hanno tentato di influenzarle. Quanto a mio padre non l’ho mai, neppure una volta, sentito dire che gli sarebbe piaciuto che mi occupassi dei suoi amatissimi greci».
Gli avrà fatto piacere che tu abbia abbracciato quel mondo.
«Era irrilevante. Tanto è vero che la scelta, esclusivamente mia, fu di iscrivermi alla facoltà di legge.
Tieni conto che non sono stata affatto un’alunna modello. Lo sono diventata, quasi per caparbietà, soloall’università: volevo riuscire ad affermarmi in un mondo come quello del diritto, allora pressoché esclusivamente “maschile”».
Una sorta di rivalsa?
«In una scelta che consideri giusta c’è forza e determinazione. Oltretutto, niente mi irritava di più di sentir dire in giro che il lavoro migliore per le donne era l’insegnamento nelle scuole, che lasciava tempo per occuparsi della casa e dei figli. Non avendo nessuna intenzione di diventare una di quelle mogli mi sono iscritta a giurisprudenza, che apriva le porte a molte strade diverse e in quella facoltà ho avuto la fortuna di incontrare quello che sarebbe diventato il mio maestro, Giovanni Pugliese, che insegnava Istituzioni del diritto romano, e che mi assegnò una tesi sul matrimonio romano».
Il primo passo verso l’antichità lo hai dunque compiuto attraverso il mondo del diritto.
«Sì, e contemporaneamente l’interesse al mito – che da allora non mi avrebbe più abbandonato – nacque di lì a qualche anno, quando iniziai a interrogarmi sulla possibilità che in Omero si trovasse traccia delle prime regole giuridiche».
L’apparato giuridico è molto diverso tra la Grecia e
Roma. Non c’è evoluzione, continuità.
«In Grecia non è mai esistita una scienza del diritto.
Esisteva un insieme di leggi, alcune delle quali giunte fino a noi per via epigrafica. Altre vanno cercate nei testi letterari di ogni genere – dalla tragedia alla commedia – cosa questa che rende straordinariamente affascinante lo studio del “diritto greco”. I romani fondano la giurisprudenza e ne fanno una scienza. Si tratta di un sistema di norme che regolava la loro vita sociale. E quel sistema è giunto sino ai nostri giorni, arrivando a influenzare il diritto delle nazioni moderne».
Il diritto in Grecia è un oggetto molto più indefinito del diritto romano. La sua funzione è più quella di rispondere alle paure e alle incertezze della vita che non offrire un articolato campionario di regole.
«Il rapporto che la Grecia vive con le proprie incertezze e la paura del futuro muterà radicalmente nel corso dei secoli. In una prima fase infatti i greci attribuivano agli dèi tutto quanto accadeva loro, nel bene e nel male.
Tutto quello che potevano fare per evitare paure e sciagure era offrire sacrifici per ottenere la loro benevolenza. Ma già in Omero questa fase è se non del tutto in parte superata: hanno preso coscienza di essere dei “soggetti” personalmente responsabili».
Questo li avvicina molto alla nostra sensibilità.
«Le azioni di un greco non rispondono più al semplice rapporto causa-effetto alla nuova etica della responsabilità».
Prima rivendicavi come donna la tua scelta di giurisprudenza. E la donna torna spesso nei tuoi studi sul mondo antico. Un po’ paradossalmente noti che a Sparta le donne erano più libere che ad Atene.
«È la verità. Ad Atene nascono tutte le peggiori discriminazioni di genere».
La più illiberale delle città stato assegna alla donna spartana un ruolo così sorprendente?
«Se la paragoni alle altre donne greche scopri che la condizione della donna spartana è decisamente migliore di quella greca. Aristotele riteneva pericolosa per la felicità cittadina la libertà che Sparta concedeva alle sue donne. Più in generale egli riteneva che la donna, diversamente dall’uomo, fosse fornita di una ragione imperfetta che la rendeva inferiore nel matrimonio.
L’evento più importante di una donna spartana non era il matrimonio, ma la nascita di un figlio».
Ma una volta compiuti 7 anni quel figlio veniva separato dalla madre. Immagino i costi emotivi.
«Oggi si tende a interrogarsi sul significato del ruolo materno in un sistema in cui lo spazio del pubblico cancellava quello privato e con esso tagliava i legami affettivi tra madri e figli, femmine o maschi, valorosi o imbelli che questi fossero. Oggi tendiamo abitualmente a descrivere come “naturali” questi legami. Ma qualunquecosa vogliamo intendere con questa parola, quel che colpisce è - che “naturale” o “socialmente costruito” che esso sia – l’amore tra madri e figli non compare nell’orizzonte di Sparta».
L’amore è sostituito da ciò che i greci chiamano “paideia”
«Lapaideia era qualcosa di molto diverso da ciò che oggi intendiamo con educazione. Era la socializzazione degli individui (non solo i più giovani) a un insieme di valori, di precetti e di pratiche, la cui trasmissione di generazione in generazione era considerata compito del cittadino.
Nella Grecia antica – dove il ruolo della famiglia era secondario e le scuole per molti secoli non sono esistite – il luogo della paideia era la vita civica. Che si svolgeva nei simposi, con il teatro e nelle relazioni amorose tra il ragazzo e l’adulto. Tranne il teatro, il resto è sparito».
Sembra quasi che ti dispiaccia.
«Ma no civiltà diverse storie diverse».
Su cosa attualmente lavori?
«Un libro sul rapporto tra pena e vendetta. E soprattutto affronto di nuovo il caso Antigone. In fondo se ne è parlato fin troppo bene. Non è giusto che a farne le spese sia solo lo zio Creonte».