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 2022  luglio 23 Sabato calendario

Intervista alla pittrice Marlene Dumas

«La mia pittura è legata al gesto, il pennello nel preciso momento in cui tocca la tela è un’estensione del mio la pittura stessa è corpo», dice Marlene Dumas a Palazzo Grassi dove è in corsoopen-end la personale a cura di Caroline Bourgeois (fino all’8 gennaio 2023). Intensa, energica, occhi blu e limpidi, entra nell’atrio del museo veneziano in una giornata luminosa con sua figlia Helena, soggetto di alcune delle tele, fra cuiThe Painter.
Sua figlia, i fratelli, suo marito, alcuni amici scandiscono la vita e l’opera di Dumas, in un breve film che introduce la mostra. Sullo schermo scorre la vita: dall’infanzia e l’adolescenza nelle vigne del Sudafrica dell’apartheid, alla Scuola d’arte dell’università di Cape Town negli anni della discriminazione razziale, fino ad Amsterdam dove si trasferisce a poco più di vent’anni, nel 1976. L’intera mostra che si snoda nei due piani del palazzo è una teoria di corpi, ritratti di donne, uomini, bambini, artisti, poeti, scrittori, intellettuali. Nei dipinti di Dumas, intensi, espressivi, profondi, il corpo è il territorio dell’emozione, della passione e dell’estasi, della sofferenza, dell’introspezione, della ribellione, è il luogo d’amore e morte.
I ritratti di Dumas più che copie dal vero sono evocazioni di caratteri, identità, stati d’animo, emozioni, ribellioni, e resistenze. È così per The Painter, The Bride, lo è per i minuscoli quadri come Lips: labbra sensuali, seducenti morbide su un viso verde ghiaccio, o come Teeth: denti digrignati in una bocca rossa fuoco quasi contorta nella smorfia del canto ispirata a una foto d i Maria Callas, lo è per le tele alte tre metri che evocano la creazione, artistica e umana, fra sensibilità contemporanea, mitigreci, eLes fleurs du mal di Baudelaire. La mostra si chiude con una trilogia di tele dedicate al poeta francese, fra i più amati da Dumas, conThe making of,un dipinto sull’ambiguità della creazione intesa come esperienza fisica, emotiva, intellettuale, come un processo aperto, antagonista e libero. Qui la ragazza che sembra plasmare una figura, così come la bambina diThe Painter,è nuda. Riguardo al nudo Marlene Dumas ha detto «Dipingo figure nude, perché non riesco a immaginare il sublime con un vestito addosso» dice Marlene Dumas.
Cos’è per lei il ritratto?
«Il ritratto è una rappresentazione di un essere umano unico, non necessariamente una persona esistente, e allo stesso tempo è anche una maschera, un guscio in cui si nasconde uno spirito. È una figura immaginaria, che conduce verso altre idee, pensieri, fantasie anche molto lontani dalla figura stessa. Mi piace vedere come le qualità emotive di un volto cambiano con poche linee, a volte posso lavorare per ore sull’espressione di un volto, e continuare a pulire la vernice e cambiarla fino ad incontrare quella che mi parla».
“The Painter” è il ritratto dell’artista?
«Il pittore è tutto ciò che abbiamo sempre immaginato debba essere un pittore e il contrario di questo.
Non so se questo dipinto sia realmente un simbolo, un ritratto o un alter ego. Quando ho fatto il quadro, non ho pensato a ciò che avrebbe dovuto significare. Lei è mia figlia quando era piccola, ma nel dipinto è molto di più, è altro rispetto a quella bambina nuda che vediamo. Non è dolce, rosa e carina come sono le bambine. Il viso è piuttosto verde ghiaccio e la pancia è blu, è nuda e ha le mani colorate una blu e una rossa. Con il tempo poi è diventata in parte un alter ego per me, per la pittrice donna, o meglio la pittrice non uomo, che dipinge con le sue mani e il suo corpo. Ma non è nemmeno questo.
Forse è una strana dea antica, una forza della natura che mostra come non si potrà mai capire la vita , e che la vita non è solo qualcosa da amare, ma anche da temere».
Fra i ritratti di intellettuali c’è Pasolini. Cosa l’ha colpita di lui?
«Il talento con cui fonde sacro e osceno. C’è una qualità fiabesca nel suo lavoro, combinata con una dura realtà politica. È un intellettuale, ma anche un uomo della strada. È sensibile ma anche duro e spericolato».
La maggior parte dei suoi soggetti sono ripresi da fotografie, ritagli, immagini stampate e ricordi, qual è la sua idea della rappresentazione?
«Non rappresento mai veramente, presento, persino quando mi ispiro a fotografie precise. Mi piace la piattezza delle fotografie e il linguaggio delle immagini. Non amo la tridimensionalità delle persone reali, e nemmeno la presenza di persone quando dipingo, per me è indispensabileessere sola in studio».
Ha un momento del giorno favorito per dipingere ?
«A volte mi fido del caso e dell’esaurimento delle ore notturne per condurmi a un determinato punto creativo. Ad esempio per The making ofho versato il colore sulla tela e la reazione è stata molto rapida, le figure sono diventate simili a cartoni animati: hanno scelto la loro forma in un certo senso. È quasi una versione diversa di The Painter, ma in un modo espressionista astratto. La creazione è un dialogo fra il corpo dell’artista, la pittura, la materia, il tempo, quel momento specifico e quelli che verranno».
Che relazione c’è fra creazione artistica e la vita ?
«Arte e vita per me sono inseparabili:
open-end a Palazzo Grassi è una mostra di opere sulla vita sulle storie d’amore e i loro diversi tipi di coppie, giovani e vecchie, sull’erotismo, il tradimento, l’alienazione, l’inizio e la fine, il lutto, le tensioni fra lo spirito e il corpo, le parole e le immagini».
Com’è cambiata la sua vita da Cape Town ad Amsterdam ?
«In Sudafrica da studentessa c’era grande tensione e grande discussione sulla situazione politica, noi studenti non sapevano cosa fare e come comportarci, ci sentivamo colpevoli e spaventati.
La vita era veramente difficile, anche se noi eravamo dei privilegiati. Amsterdam invece incarnava un Paese libero, democratico, potevi camminare da sola per strada come individuo e come donna, potevi leggere i libri e vedere i film che ti interessavano.
Mi sentivo indipendente. Ero giovane. Ora sono più vecchia e i bar ad Amsterdam non restano più aperti fino a tardi la notte…».