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 2022  luglio 23 Sabato calendario

Nostra sorella foresta

Che le foreste siano importanti per la salute del pianeta e per la stessa sopravvivenza della nostra specie è cosa nota. Perché debbano, necessariamente, essere quanto più grandi e intatte possibile, al fine di esplicare pienamente le loro funzioni di motore della vita, beh questa è una conoscenza che, sfortunatamente, è ad oggi limitata a pochi addetti ai lavori. Ed è un problema. Una larga percentuale delle nostre possibilità di non essere travolti dagli effetti del riscaldamento globale, infatti, passa per la capacità di comprendere come funzionano le foreste, così da poterle proteggere in maniera corretta e, auspicabilmente, espanderle. Si tratta di qualcosa che non possiamo più ignorare: il nostro pianeta ha assoluto bisogno di grandi foreste per poter funzionare. La sua temperatura media è già aumentata di quasi 1,3 °C rispetto al periodo preindustriale e la concentrazione di CO2 nell’atmosfera ha superato poche settimane fa le 421 ppm (parti permilione). Una quantità di CO2 che non si vedeva nella nostra atmosfera da 4,5 milioni di anni fa, in un’epoca in cui il livello del mare era da 5 a 25 metri più alto di quello odierno e le foreste ricoprivano una buona parte della tundra artica e dell’Antartide. Fenomeni quali siccità, scomparsa dei ghiacciai, inondazioni, incendi, hanno oggi un’intensità ed una frequenza sconosciuta fino a pochi decenni or sono. Lo strumento fondamentale per tentare di limitare il riscaldamento globale con la sua corte di nefaste conseguenze – alcune delle quali stiamo vivendo proprio in questi giorni anche nel nostro Paese sono le foreste, grazie alla loro capacità di sottrarre l’anidride carbonica dall’atmosfera. Non c’è nessun dubbio a riguardo. Le piante possono rappresentare una pratica soluzione a questo terribile problema per un motivo banale: lo hanno già fatto almeno altre due volte nella storia del pianeta. La prima 400 milioni di anni fa, quando espandendosi sulla terraferma ridussero la concentrazione di CO2 nell’aria da qualche migliaia a poche centinaia di parti per milione. La seconda intorno a 100 milioni di annifa, quando l’esplosiva diffusione delle piante da fiore rese possibile l’assorbimento di enormi quantità di CO2 dall’atmosfera, fino a portarla agli attuali ordini di grandezza. Le grandi foreste, in quanto motori del clima e custodi della vita del pianeta sono le magnifiche protagoniste di Sempre verdi. Salvare le grandi foreste per salvare il pianeta di Thomas Lovejoy e John Reid, (Einaudi). Thomas Lovejoy – scomparso lo scorso Natale – già a capo della sezione americana del World Wildlife Fund e presidente dell’Amazon Biodiversity Center è la persona adatta a spiegarci l’estrema complessità degli ecosistemi forestali e la loro importanza nella salvaguardia della biodiversità. Le cinque superstiti grandi foreste del pianeta: Amazzonia, Congo, Nuova Guinea, Taiga e Nord America, sono da considerare le guardiane della vita sulla Terra. L’ultimo baluardo a protezione delle nostre possibilità di sopravvivenza. Lovejoy e Reid, attraverso l’affascinante descrizione di foreste così diverse fra loro come la Taiga russa e l’Amazzonia boliviana e grazie alle storie delle popolazioni che vivendoci le custodiscono, ci accompagnano, amichevolmente, nella comprensione di come funzionino queste complessissime reti viventi. Scopriamo cosi, che l’Amazzonia, che contiene il 20% di tutte le acque fluviali del pianeta, non si limita ad ospitare alcuni fra i più possenti fiumi della terra, come il Rio Negro o il Rio delle Amazzoni, ma attraverso la traspirazione della vegetazione, in grado di produrre ogni giorno 27000 miliardi di litri di vapore acqueo, crea dei veri e propri fiumi volanti, che trasportati dai venti, irrigano foreste, fattorie e città di gran parte dell’America Latina, rendendo possibile a una enorme quantità di esseri viventi – uomini inclusi – di prosperare. Ma impariamo anche come si distrugge una meraviglia del genere: si inizia con un sentiero approssimativo creato dai taglialegna in cerca degli alberi più preziosi. Intorno a questi sentieri si sistemano i coloni, che arrivano qui con titoli di proprietà falsi, forniti da mediatori esperti in questo tipo di operazioni; i coloni abbattono gli alberi superstiti per diversi ettari ai lati dei sentieri fangosi. Bruciano i residui della vegetazione e nella cenere piantano campi di fagioli, mais o manioca. Poi si spostano più a valle o più a monte, continuando il ciclo finché non arriva qualcuno che compra tutte le piccole fattorie e le consolida in megafattorie industriali. A questo punto si può chiedere al governo di asfaltare le strade e, quindi, portare il bestiame al pascolo. Sentieri, disboscamento, industria agroalimentare: è questo il ritmo a cui si perpetra il più subdolo fra i crimini contro l’umanità: la deforestazione.