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 2022  luglio 23 Sabato calendario

Orsi & tori

Caro Cavaliere, proprio lei che ha provato sulla sua pelle il bruciore di essere sfiduciato, non doveva proprio farlo. Non doveva farlo per l’Italia, non doveva farlo per i suoi elettori, anche se si sono molto ridimensionati negli ultimi anni, non doveva farlo per Mario Draghi. Fu proprio lei, dopo le dimissioni da governatore della Banca d’Italia di Antonio Fazio, a scegliere Draghi per quel posto che era ancora prestigioso e chiave per il paese. Lo accolse quella sera d’estate nella sua Villa Certosa in Sardegna, aiutato da uomini della scorta, perché Draghi si era procurato un taglio enorme sotto un piede posandolo su uno scoglio appuntito davanti a Portorotondo, sì da far diventare rosso quel tratto di mare. Glielo aveva consigliato l’allora presidente della Banca di Roma-Capitalia, Cesare Geronzi, perché ne conosceva la competenza e l’abilità gestionale. Per nominarlo lei dovette contenere la reazione del ministro dell’economia Giulio Tremonti, che infatti, in dissenso, per vari mesi ha attaccato Draghi governatore della Banca d’Italia. Ma la conferma che non aveva sbagliato scelta la ebbe quando Draghi fu scelto dall’Europa per la presidenza della Bce.

Come mai, Caro Cavaliere, lei ha finito per scegliere la linea del suo alleato Matteo Salvini, che certo non si è ancora ripreso dallo shock di vedere Fratelli d’Italia e la sua presidente Giorgia Meloni, superare la Lega di quasi 10 punti, tutti travasati proprio dal partito fondato da Umberto Bossi?

L’atteggiamento preoccupato di Salvini per le elezioni, vicinissime anche senza la sfiducia a Draghi, è comprensibile, ma ingiustificabile nel momento nel quale, occorre dire che il capo leghista, con coraggio, aveva scelto la strada del governo di unità nazionale. Certamente la presidente Meloni aveva fatto una mossa furba a rimanere fuori, ma il dividendo per la Lega e per Forza Italia sarebbe arrivato a fine legislatura, se il governo Draghi avesse potuto completare il progetto. Con i risultati di varie riforme indispensabili per l’Italia attuate, al momento del voto gli italiani avrebbero capito il sacrificio fatto e i sondaggi che oggi danno Fratelli d’Italia in crescita sarebbero stati cancellati dal voto reale.

Ma poi, con il nascondersi dietro il divieto ad avere ancora al governo i 5Stelle ormai decimati dalla scissione e dalle incoerenze politiche, lei non ha fatto altro che far compiere alla Lega e Forza Italia una mossa identica a quella di Giuseppe Conte: cioè spingere Draghi a mollare. Due ministri forzisti, Maristella Gelmini, e Renato Brunetta, non sono stati d’accordo e si tratta di due politici che sono sempre stati vicini a Silvio Berlusconi.

In apparenza la posizione di Forza Italia e Lega non faceva una grinza: considerato cosa ha fatto il capo di 5Stelle Conte, per governare bene occorre che il partito inventato da Beppe Grillo restasse fuori. Ma la spiegazione del perché Draghi non ha accettato questa soluzione è più che semplice da capire e il fondatore di Forza Italia, che è il politico che ha governato più a lungo negli ultimi trent’anni, avrebbe dovuto ben saperlo. L’espulsione dal governo dei 5Stelle, lo ha spiegato anche da Londra The Economist, in primo luogo avrebbe sbilanciato il programma verso destra, ma soprattutto avrebbe creato il pericolo che, una volta fuori il partitino di Conte, la Lega avrebbe avuto lo spazio per imitare i 5Stelle, condizionando pesantemente l’azione di governo.

È vero: tutto ciò che è accaduto non è altro che il rischio di un governo di solidarietà nazionale, cioè composto da partiti con ideologia e obbiettivi diversi i quali, con l’avvicinarsi delle elezioni, fanno prevalere l’interesse di partito.

A ciò si aggiunge che Draghi non è fatto di pasta politica, partitica e, come hanno letto la scorsa settimana i miei tre lettori, oltre ad avere la schiena diritta il presidente del consiglio dimissionario è ben consapevole di se, per non dire di più.

La sua nomina è stata sicuramente un’anomalia, come lo era stata quella che aveva portato proprio al posto di Berlusconi il presidente della Bocconi, Mario Monti. Quando i politici non ce la fanno a risolvere i problemi, non solo economici ma anche della giustizia, ricorrono ai tecnici. Ma con una differenza di Draghi rispetto a Monti: Draghi è un tecnico che sa essere politico, oltre che spiritoso. A chi gli chiedeva se stesse andando dal presidente Sergio Mattarella, uscendo dal Senato, ha risposto secco: «Per ora prendo l’ascensore».

A fregare l’Italia e gli italiani è stato in sequenza:

1) il tentativo disperato di Conte di tenere unito, sui vecchi temi che portarono alla fondazione di un partito di protesta come i 5Stelle, ciò che resta di quel partito;

2) la schiena fin troppo dritta e la alta consapevolezza di se di Draghi;

3) il colpo micidiale di Berlusconi di accettare la linea di Salvini con la richiesta di appoggiare sì Draghi, ma senza i 5Stelle al governo, con appunto l’implicita possibilità proprio di Salvini di diventare condizionante al posto dei 5Stelle. E la schiena troppo dritta e la alta consapevolezza di sé da parte di Draghi hanno fatto esplodere l’incompatibilità fra un ex-governatore della Banca d’Italia e banchiere centrale della Ue, e il richiamo della foresta dei partiti per le comunque prossime elezioni.

Ma quei 10-11 mesi prima della programmata scadenza elettorale sarebbero stati decisivi per completare le numerose riforme già impostate e indispensabili per il paese, evitando che il mondo intero continui a vedere l’Italia si come la terza economia della Ue, ma anche il paese con un debito pubblico pari al 150% del pil, la mancata riforma della giustizia, la mancata riforma fiscale, la mancata riforma delle concessioni con piena liberalizzazione del mercato; il tutto aggravato dall’inflazione alle stelle, anche se sarebbe inutile ripeterlo, e dalla crisi energetica con la guerra in corso. Basterà lo scudo (o meglio lo scudino) anti-spread battezzato Tip annunciato nelle stesse ore delle dimissioni di Draghi da Christine Lagarde, che ha preso il suo posto a Francoforte?

Per l’Italia si preparano poco più di due mesi, visto che si voterà il 25 settembre, infernali e pericolosissimi e ancora più pericoloso si annuncia il dopo elezioni, perché come è molto probabile non uscirà dalle urne una maggioranza chiara e pienamente consapevole di che cosa l’Italia ha bisogno, con la determinazione di farlo.

È quasi certo, purtroppo, che non ci può essere in due mesi la rigenerazione di partiti così lacerati e divisi, anche se è doveroso confermare che le elezioni sono una delle espressioni fondamentali della democrazia. È inevitabile che ci sarà una campagna elettorale sulle spiagge e in montagna, costringendo gli italiani a non stare in pace neppure durante le ferie. E menomale che forzando il concetto di governo dimissionario con poteri per l’ordinaria amministrazione, il presidente Mattarella ha aggiunto al disbrigo degli affari correnti anche quelli «urgenti». Con questa parola si tende a salvare l’attuazione dei decreti che possono consentire il rispetto degli impegni con la Ue per poter ottenere altre tranche di Pnrr, che valgono quasi 30 miliardi.

Bene, molto probabilmente Draghi, con al governo sia i ministri 5Stelle che quelli della Lega (per fortuna, il più importante, Giancarlo Giorgetti, è un draghiano di acciaio) dovrà fare buon viso a cattiva sorte. La sua sofferenza, se sofferenza era ed è oltre che stretta coerenza con il concetto di governo di unità nazionale, durerà sette mesi in meno di quanto era previsto. E dopo? Farà il nonno? Ma il «nonno al servizio delle istituzioni» come aveva pubblicamente dichiarato alcuni mesi fa in una delle conferenze stampa sempre in punta di forchetta. Eppure, lo ha detto lui, anche i banchieri centrali hanno un cuore, come vale la pena di riascoltare e vedere a questo link (urly.it/3pj5d). Ha parlato dopo lo scrosciante applauso di quasi tutta la Camera, perché certamente c’erano anche quelli che applaudivano per il fatto che se ne andava.


Se vogliamo, quello è stato uno spettacolo paradossale. Gli estimatori e i sabotatori che si uniscono nel gesto più classico e più bello che ci possa essere per ringraziare e apprezzare una persona. Quell’applauso, che pure ha commosso Draghi, è la sintesi della perfidia della politica.

Personalmente sono sicuro che farà il nonno, ma continuando a mettere a disposizione della cosa pubblica la sua professionalità, la sua onestà e la sua passione. In effetti, il paese avrebbe potuto godere di tutto ciò per sette anni se i partiti si fossero messi d’accordo per eleggerlo Presidente della Repubblica. E il presidente Mattarella aveva fatto di tutto per lasciare il posto libero, compreso par sapere che aveva trovato casa in affitto a Roma, dovendo lasciare il Quirinale. Mattarella sapeva che in quel ruolo Draghi avrebbe potuto dare il meglio di sé come arbitro e come guardiano del rispetto della Costituzione, mantenendo inalterato il suo ascendente e il suo peso negli organismi internazionali.


Ma i partiti hanno avuto paura di eleggerlo e quando la vicenda stava prendendo una brutta piega, Mattarella, il cui senso dello stato e dell’impegno per lo stato non ha molti precedenti, si è piegato ad accettare la riconferma. È fuori discussione, non solo perché lo aveva rivelato la moglie, che Draghi ci avrebbe tenuto a finire la carriera da primo cittadino d’Italia. E può anche darsi che il cedimento di Mattarella ad accettare il secondo mandato non abbia fatto gran piacere a Draghi. Ma da quella situazione ne ha avuto tutto da guadagnare, almeno a breve termine, il paese perché la formula scelta da Mattarella del governo di unità nazionale, con quella formazione sfortunata del parlamento, era l’unica che avrebbe potuto far fare le riforme e gli atti di cui il paese ha bisogno assoluto. In molti dicemmo: potendo arrivare alla fine della legislatura il governo Draghi farà risolvere molti problemi al paese. Così non è stato perché non solo la legge elettorale ma anche l’involuzione della politica come servizio verso il popolo lo hanno impedito, rubando agli italiani altri 9-10 mesi di riforme e di autorevolezza. Certamente anche Draghi ha voluto essere troppo schiena dritta. E il risultato lo abbiamo sotto gli occhi.

Mentre c’è da sperare che la campagna elettorale sulle spiagge non degeneri e che la percezione del rischio reale che l’Italia corre facciano migliorare la composizione del parlamento, forse ci potrebbe essere un recupero di Draghi e delle sue capacità e della sua credibilità internazionale. È un’ipotesi paradossale, ma se il nuovo parlamento percepisse che il presidente Mattarella potrebbe considerarsi a termine, non potrebbe essere oltre che un’idea, un atto in qualche modo riparatore che i partiti si accordassero preliminarmente di eleggere al posto eventualmente vuoto al Quirinale proprio Draghi. Allora quell’applauso assassino conquisterebbe un senso politico e istituzionale nell’interesse del Paese, che non si priva degli uomini migliori secondo il giudizio inequivocabile di tutto il mondo occidentale.