il Fatto Quotidiano, 23 luglio 2022
Così Mario Puzo creò “Don Vito Corleone”
La sera che Salvatore Gravano esce dal cinema dopo aver assistito alla proiezione del Padrino la testa gli gira. Il temuto underboss della famiglia Gambino, conosciuto nell’ambiente come Sammy “The Bull”, non è avvezzo ai mancamenti, ma stavolta ha bisogno di aria. Le tre ore passate nella sala lo hanno letteralmente sconvolto.
Di film di mafia ne ha visti tanti, in passato. Ma nessuno di quei film lo ha mai positivamente impressionato. È convinto che i registi di Hollywood non ne capiscano molto e il risultato il più delle volte sia piuttosto scontato. I mafiosi sono sempre rappresentati come individui cattivi e spietati che alla fine vengono arrestati o uccisi dalla polizia. Ma in quelle tre ore, Sammy assiste a qualcosa di profondamente diverso. (…) Quel mondo sotterraneo che fin dalla sua affiliazione gli è stato intimato di mantenere segreto è adesso sotto gli occhi di tutti. I valori che gli sono stati inculcati, l’onore, la famiglia, la giustizia sono perfettamente incarnati da quell’uomo corpulento, bonario e terribile a un tempo, che si fa chiamare padrino. Un mafioso che per la prima volta non è ripugnante, ma attraente. Lo testimonia il rispettoso silenzio, carico di tensione, che per tutta la durata della proiezione è regnato in sala. Una signora accanto a lui si è persino commossa quando ha visto don Vito accasciarsi a terra mentre gioca con il nipotino. Sammy racconta di non essersi mai vergognato di appartenere a Cosa Nostra, ma ammette di aver provato quella sera un orgoglio fino a quel momento sconosciuto. Il successo di quel film lo sente un po’ come suo. E si chiede come diavolo abbiano potuto fare quei due italiani, Mario e Francis, a raccogliere tante informazioni sulla vera Cosa Nostra, e chi mai conoscessero nel giro che li abbia così bene informati.
Anche il boss di Chicago John “Handsome” Roselli, dopo aver visto il film, si è posto le stesse domande. Ed è andato a levarsi la curiosità direttamente da Mario Puzo. (…) Ancora molti anni dopo, Puzo ricordava l’imbarazzo di quell’incontro. L’imbarazzo di dover fronteggiare un mafioso, ma ancor più la paura di doverlo deludere, confessando che le sue informazioni erano sempre e solo di seconda mano: libri, giornali e documenti d’archivio. (…) Gravano e Roselli non sono ingenui, e molti altri si sono interrogati negli anni sulle fonti di Puzo. Più di un’illazione è circolata sulle frequentazioni dello scrittore. Da parte sua, Puzo, come ha fatto con Roselli, ha sempre negato una conoscenza di prima mano dell’ambiente mafioso. Anzi, ha più volte ripetuto di avere scrupolosamente evitato di stringere rapporti personali con i boss. Una condotta che diceva di aver vivamente raccomandato anche al regista Francis Ford Coppola. (…) Se quindi mai Puzo e Coppola hanno avuto rapporti con i boss, da dove viene la loro scienza criminale?
Ed Walters, croupier al Sands Hotel di Las Vegas, si ricorda bene di Puzo, gran frequentatore dei tavoli da gioco. Ed è pronto a giurare che lo scrittore si sia procurato gran parte delle sue informazioni sulla mafia nelle lunghe notti passate alla roulette. Il croupier lo ha sentito più volte, tra una puntata e l’altra, sollecitare insistentemente ai suoi compagni di gioco storie e aneddoti sulla mafia. (…) Come la stessa parabola della famiglia Corleone insegna, fin dagli anni ’40, le case da gioco sono la riserva di caccia della mafia newyorchese, che inizia in quell’epoca la sua personalissima conquista del West.
Se le ricostruzioni di Puzo sono sempre state estremamente vaghe, non è possibile escludere che a influenzarne la scrittura creativa sia stata la cronaca. Negli anni ’50 e ’60, molti delitti efferati hanno insanguinato le strade di New York, a partire da quelle della sua Hell’s Kitchen. E al contempo, importanti inchieste giornalistiche e giudiziarie si sono occupate approfonditamente del fenomeno mafioso. La realtà delle cinque famiglie di New York è ormai un dato di fatto, e alcune figure eminenti cominciano a stagliarsi sulla massa della manovalanza criminale diventando oggetto di un vero e proprio gossip.
Tra le fonti dell’epoca su Cosa Nostra americana, un ruolo di assoluto rilievo spetta alle due commissioni parlamentari istituite dal Senato americano: la Commissione Kefauver (1950-1951) e la Commissione McClellan (1957-1960) (…). L’istituzione di queste commissioni rivela per la prima volta al grande pubblico le ramificazioni e il potere di Cosa Nostra in America e permette l’acquisizione delle testimonianze di una lunga schiera di esponenti dei clan. Le audizioni della Commissione Kefauver, tenutesi in 14 diverse città, vengono trasmesse dal vivo dalle tre principali reti televisive nazionali, Abc, Cbs e Nbc, e diventano per il pubblico americano un irrinunciabile entertainment, una sorta di avvincente sceneggiato, in grado di registrare ascolti impensabili. (…) Da queste fonti, Puzo ha una ricca serie di suggestioni per costruire il suo padrino. Vito Corleone avrà l’intelligenza strategica di Joseph “Joe” Bonanno, il basso profilo scrupolosamente osservato da Carlo Gambino, il nome proprio di Vito Genovese e il successo commerciale di Joe Profaci nell’importazione dell’olio di oliva. Ma più che a ogni altro capomafia, la caratterizzazione di don Vito Corleone è debitrice a Frank Costello. Chiamato anche lui a deporre dalla Commissione Kefauver, diventa ben presto la star incontrastata delle audizioni. Un intervento chirurgico alle corde vocali ha reso la voce del boss grave e gutturale, conferendole un tono particolarissimo. Costello chiede e ottiene di non essere ripreso in viso dalle telecamere, costringendo gli operatori a concentrarsi sulle sue mani che stropicciano il fazzoletto o giocano con gli occhiali. Elegante e disinvolto, Costello non fa mistero delle proprie frequentazioni politiche e si presenta come un integerrimo difensore della morale e un fiero avversario del narcotraffico. Molti degli spettatori rivanno con la memoria a quella copertina che, nel 1949, Timeaveva dedicato al boss. In quell’occasione, in una lunga intervista, per rimarcare l’unicità del proprio brand, Costello si era paragonato alla Coca-cola. Le analogie tra Costello e don Vito Corleone sono impressionanti. (…)
Un altro dei personaggi iconici di questa sfilata criminale è Joe Valachi. Affiliato di basso rango della famiglia Genovese, si guadagna una grande popolarità con le sue audizioni dell’ottobre del 1963 davanti al Permanent Subcommittee on Investigations presieduto dal senatore McClellan. (…) A seguito della sua decisione di collaborare con la giustizia, Valachi rivela ai membri della Commissione e al pubblico americano le gerarchie, i comportamenti e i rituali di iniziazione della mafia newyorchese. Ma soprattutto, ne svela per la prima volta il vero nome: Cosa Nostra. (…) Permette di comprendere l’enigmatica trascrizione di un’intercettazione telefonica che agenti dell’Fbi avevano realizzato qualche anno prima. (…) I federali l’avevano erroneamente trascritta come “Casa nostra”. (…) Valachi aveva descritto dettagliatamente il rito di iniziazione alla mafia, spiegando come il nuovo affiliato debba ripetere ciò che gli dice il godfather, il padrino. Un’espressione che all’interno di Cosa Nostra non designa un boss o un capofamiglia, ma semplicemente il mafioso che presenta il neofita all’organizzazione e sta al suo fianco durante il rito della “punciuta”. (…) Quel termine godfather usato da Valachi dalle commissioni d’inchiesta passa velocemente alla copertina del romanzo. Lo ammette anche Puzo: “Prima che la usassi io, nessun mafioso aveva mai utilizzato la parola padrino in quel senso. (…) Ora la mafia la usa, la usano tutti”.