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 2022  luglio 23 Sabato calendario

Di Maio & C.: la neo-casta delle liste senza firme

Ma quale “e accattatavill” o “venghino, siori venghino” per portare la gente ai banchetti magari sotto gli ombrelloni. L’unica cosa certa dalle parti degli scissionisti pentastellati di Luigi Di Maio è che non dovranno battere palmo a palmo i bagnasciuga italici per raccogliere le firme che servono per presentarsi alle prossime elezioni del 25 settembre: migliaia di firme da raccattare in una manciata di giorni col termometro ai livelli del Sahara. Insomma, un incubo, se non fosse per l’asso nella manica: l’altra sera, il leader di Insieme per il Futuro e il suo cardinal Mazzarino, Vincenzo Spadafora, incontrando via zoom fino a tarda notte i parlamentari della neoformazione, preoccupati per l’incombenza prevista dalla legge, l’hanno liquidata in un amen, senza dare troppi dettagli, e tanto è bastato: “Abbiamo avuto rassicurazioni che non dovremo raccogliere manco mezza firma. E meno male, perché di questi tempi e con queste temperature ci avrebbero sputato”.
Quindi buoni e tranquilli, perché un escamotage per bypassare la raccolta firme c’è e si saprà a tempo debito. Par di capire che sul tavolo ci siano due ipotesi: o si utilizzerà un simbolo già presentato alle Politiche del 2018 esentato dalla raccolta firme grazie alle deroghe previste dal decreto Elezioni approvato a fine giugno. Oppure i pezzi pregiati della squadra di Di Maio troveranno ospitalità direttamente nelle file del Pd: verrà deciso la prossima settimana quando il partito di Enrico Letta avrà scelto la strategia per andare alle urne.
Strategia che è stata al centro di una direzione del Nazareno “tesa” in cui si sono misurate due linee rispetto al prossimo appuntamento elettorale che al di là delle speranze potrebbe trasformarsi in un bagno di sangue. C’è infatti chi pensa che vi siano più speranze di limitare i danni mettendo in campo uno squadrone unico a vocazione maggioritaria. Tradotto: con il tutti dentro, da Di Maio a Renzi, il Pd vede la speranza di arrivare al 25-26 per cento e giocare sull’effetto primo partito da usare come argomento con Sergio Mattarella. A questa linea si contrappone chi invece spinge per uno schema di gioco tipo Quercia con i cespugli. In cui accanto al Pd “in purezza” correrebbero una serie di altre liste autonome e coalizzate.
Anche in questa seconda opzione i dimaiani si troverebbero a non dover raccogliere alcuna firma grazie all’utilizzo di un simbolo già presente alle elezioni scorse. Quale potrebbe essere quello del Centro Democratico, che Bruno Tabacci ha già messo a disposizione per far nascere al Senato (dove le regole per la costituzione di nuovi gruppi in corso di legislatura sono più rigide che alla Camera) il gruppo parlamentare dimaiano di Insieme per il futuro. Interpellato dal Fatto, Tabacci usa la cautela: “C’è un processo politico in corso. Vedremo”.
Ma quale norma stabilisce chi debba o meno presentare le firme? Il decreto Elezioni approvato lo scorso 28 giugno ha allargato le norme sugli esoneri in maniera assai generosa come da prassi costante. Basti pensare che nel 2017, il Rosatellum (ossia la legge elettorale con cui peraltro si andrà alle urne a settembre), dispose l’esenzione per le forze che fossero costituite in gruppi parlamentari in entrambe le Camere all’inizio della legislatura in corso al momento della convocazione dei comizi elettorali, ossia sostanzialmente M5S, Lega, Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia. Ma poi, già in sede di prima applicazione della legge, era stato previsto l’esonero per tutti i partiti che fossero costituiti in gruppo parlamentare anche in una sola Camera alla data del 15 aprile 2017. Il decreto Elezioni approvato un mese fa prevede una norma ad hoc altrettanto generosa. E ovviamente stravotata, con poche e solitarie contestazioni registrate al Senato da parte di chi si è trovato comunque tagliato fuori dalla provvidenziale ciambella di salvataggio.
Fatti salvi i partiti più grandi, che senza difficoltà hanno costituito all’inizio della legislatura i gruppi alla Camera e al Senato, la norma grazia dall’onere della raccolta delle firme per la presentazione delle liste innanzitutto “i partiti o gruppi politici costituiti in Gruppo parlamentare in almeno una delle due Camere al 31 dicembre 2021”, per la gioia di Italia Viva, Coraggio Italia e LeU (e pure di Sinistra Italiana e Articolo 1: l’altro ieri al nome del gruppo di LeU alla Camera sono state aggiunte anche le due sigle in questione che così saranno esonerate dalle firme). Ma grazia anche quelli che abbiano presentato “candidature con proprio contrassegno alle ultime elezioni della Camera dei deputati o alle ultime elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia in almeno due terzi delle circoscrizioni e abbiano ottenuto almeno un seggio assegnato in ragione proporzionale o abbiano concorso alla determinazione della cifra elettorale nazionale di coalizione avendo conseguito, sul piano nazionale, un numero di voti validi superiore all’1 per cento del totale”. Tutte e diverse fattispecie che fanno al caso di Più Europa e di Azione di Carlo Calenda, del Centro Democratico di Bruno Tabacci, ma anche di Noi con l’Italia di Maurizio Lupi.
Chi resta fuori? I transfughi pentastellati di Alternativa e l’Italexit di Gianluigi Paragone, che ha definito la norma infilata nel decreto una “porcatina”. In teoria, sarebbero fuori anche Luigi Di Maio&C. che grazie all’escamotage sopra detto, si risparmieranno la fatica e dedicarsi alla tattica da condividere con i possibili compagni di avventura. A partire dal Pd, che è alle prese con un sondaggio su quanto porta e quanto toglie alla causa comune imbarcare Matteo Renzi. E che dice questo sondaggio? “Diciamo – spiega qualcuno nel partito, che però l’ex segretario non l’ha mai amato – che ci ha fatto l’effetto di quello che nel 2008 convinse Berlusconi a rimangiarsi la parola con Clemente Mastella”.