Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  luglio 23 Sabato calendario

Intervista a Licia Colò

Splendida sessantenne Licia Colò. Gli anni li ha appena compiuti: con alcuni amici in spiaggia, spumante e una tortina, copricostume e capelli un po’ arruffati e ancora bagnati. Non certo un megaparty (e neppure il Papeete, anche se è Milano Marittima). In questi giorni ha poco tempo per sé: sta girando come una trottola, preparando i servizi che vedremo in onda su La7 nella prossima stagione di Eden. Un pianeta da salvare, di cui al venerdì sono in onda le puntate inedite saltate dai palinsesti invernali causa guerra. È invece più "stanziale" la sua conduzione di Il mondo insieme su Tv2000: a viaggiare e raccontarsi a lei in studio sono travel blogger ormai famosi anche grazie a questo programma. Di ambiente, natura e diritti degli animali si occupa dai tempi de L’Arca di Noè. Era il 1989 e non ha mai smesso (anche se ci hanno provato: ma è un’altra storia, che le chiederemo).
Il fatidico «60 anni e non sentirli»?
«60 anni è solo un numero: per la nostra società importante, per me qualunque. Ammetto che gambe e corpo un po’ li sentono. Ma non il cervello, che è il motore, funziona bene e spinge forte. Ma è pura energia nervosa: quando si spengono le telecamere, di anni ne sento 100».
È anche l’anno dei 40 in tv.
«Debutto a luglio 1982. Antenna Nord mi chiamò a sostituire Gabriella Golia. Contemporaneamente cambiava nome e diventava Italia 1. Entravo nel momento giusto al posto giusto».
La misero a «Bim Bum Bam»: cosa ricorda?
«Che eravamo tutti giovani, io, Bonolis, il regista Vicari. Si respirava grande entusiasmo e un po’ di goliardia. Le tv private erano appena nate e noi con loro. Per me fu un crescendo: Festivalbar, Buona Domenica...»
Nel 1989 la troviamo fuori da quel giro. Inizia l’avventura dell’«Arca». Cosa era accaduto?
«Non ero più tanto convinta. "Cosa voglio fare da grande", mi chiedevo. Volevo decidere il mio futuro e per un anno e mezzo non ho lavorato. Ma sono una testarda e, anche se allora in tv di programmi ambientalisti non ce n’erano, ne ho proposto uno. Mediaset accettò di fare una puntata pilota: andò benissimo. Avevo espugnato il forte che mi aveva cacciata».
Non è stata l’unica volta. O sbaglio?
«Due volte mi hanno sbattuto le porte in faccia. La seconda a Rai3, nel 2014: il nuovo direttore di rete non condivideva la mia visione di Kilimangiaro. Ma se sono convinta delle mie idee, non le cambio, così mi sostituì. Legittimo che lo facesse. Mi dispiacque, ma non posso lamentarmi: si aprirono altre porte. E in modo gratificante: il mio vecchio direttore a Rai3, Paolo Ruffini, passato a dirigere Tv2000, la rete della Cei (oggi è a capo del dicastero per la Comunicazione in Vaticano), mi chiamò dandomi sostanzialmente carta bianca. "Il nostro limite è il buongusto e so che con te sono al sicuro"».
La sua è una lunga militanza ambientalista. Cosa ne pensa di questa estate africana e arida, dai fiumi secchi e i ghiacciai che spariscono?
«Oggi è impossibile definirsi ottimisti per la situazione in cui versa la Terra: sarebbe una presa in giro. Si può al più essere realisti: siamo su una strada senza uscita, ma poiché viviamo su questo pianeta non possiamo arrenderci. Accettare un mood così negativo, ci paralizzerebbe. Finché viviamo, dobbiamo continuare a pensare che qualcosa è possibile, anche solo rallentare il processo in corso. Dobbiamo farlo per i nostri figli».
Ce la faremo?
«Siamo molto in ritardo. Tuttavia basterebbe che ciascuno cambiasse almeno un poco stile di vita, e già sarebbe un buon inizio. Questo è realismo. Per questo dobbiamo anche investire nell’educazione: se sai come vivere, non c’è poi bisogno di regole che ti impongono certe attenzioni. Solo se sei Neanderthal hai bisogno di regole».
Pareva si fosse (seppur timidamente) sulla buona strada dopo la conferenza di Glasgow sui cambiamenti climatici. E invece con la guerra si è tornati a parlare di nucleare e carbone, c’è la corsa ad accaparrarsi gas e petrolio. Anche Greta Thunberg e i ragazzi di Fridays for Future tacciono.
«Non è vero che si sono azzittiti, sono i media che guardano altro. La guerra è grave e riguarda tutto il pianeta, ma la causa ambientale non si ferma, anzi. In questo momento siamo come chi si preoccupa solo del tir che gli va incontro ma non si cura del veleno che respira e lo ucciderà».
Ecco, la guerra: quando ha iniziato non se ne parlava. Che cosa significa viaggiare oggi?
«Che è sempre più difficile. Gli orizzonti si sono progressivamente ristretti. Ho cominciato in un periodo storico bellissimo: si andava dappertutto, senza quasi restrizioni. Ora non solo c’è la guerra e tanti Paesi non sono più visitabili, ma dappertutto sono cresciute le carte che devi produrre, le autorizzazioni che devi chiedere. Il mondo che allora ci pareva così piccolo e a portata di mano, oggi è diventato più grande e irraggiungibile».
Lei scrive, anche: saggi finora. Ultimo titolo «Il pianeta. Istruzioni per l’uso». E siamo nel suo campo, Poi esce «L’aragosta vive cent’anni»: un romanzo. Effetto pandemia?
«Malgrado il titolo non parla di animali. E, sì, è figlio della pandemia che avrebbe dovuto insegnarci tanto e invece niente, siamo peggio di prima: più isolati, spaventati, arrabbiati. Non parlo di me ma per me è stata un’utile autoanalisi».