22 luglio 2022
In morte di Luca Serianni
Raffaella De Santis, la Repubblica
Chi ha la fortuna di ricordare le lezioni di Luca Serianni all’università Sapienza di Roma, dove il grande linguista ha insegnato per trentasette anni, può capire che se usiamo la parola maestro non lo facciamo con retorica. Serianni è morto a settantaquattro anni dopo essere stato investito lunedì da un’automobile mentre attraversava sulle strisce a Ostia, la città del litorale romano dove viveva da anni. Una circostanza tragica che ha amplificato l’onda d’affetto. Serianni è stato uno dei più importanti studiosi della lingua italiana, per generazioni di studenti di Lettere un punto di riferimento. In aula non volava una mosca, tutti riempivano quaderni di appunti perché poi bisognava ricostruire i passaggi fonetici, prendere confidenza con l’italiano materiale, con i processi di evoluzione dell’italiano.
Un maestro autorevole e gentile che credeva nella cultura come condivisione. Da professore emerito continuava a girare instancabile per le scuole, animato da una genuina passione civile e democratica per il sapere. Sembrava non annoiarsi mai. E allora è bene partire dalla fine, dal giorno del congedo dall’insegnamento, il 14 giugno del 2017. L’aula affollata, posti in piedi. Qualche settimana prima aveva tenuto la sua ultima lezione. Sulla lavagna una perifrasi dal Paradiso omaggio degli studenti: «E se il mondo sapesse il valor che ebbe / Insegnando italiano retto e giusto / Assai lo loda e più lo loderebbe».
La chiamata a Roma come ordinario alla Sapienza era arrivata nel 1980. Dopo incarichi in varie sedi, ad Arezzo, L’Aquila, Messina, tornava nell’ateneo dove si era laureato nella cattedra del linguista Arrigo Castellani, allievo a sua volta di Bruno Migliorini: «Castellani mi conquistò subito per una caratteristica, che poi conoscendolo – ho avuto molte volte occasione si confermare: l’asciuttezza, la precisione. Il fatto che – a differenza di quello che poi ho fatto io, più estroverso almeno come docente – non dicesse nulla di più di quel che era necessario» (dal libro intervista con Giuseppe Antonelli Il sentimento della lingua ,il Mulino). L’asciuttezza e la precisione, erano in realtà anche la sua cifra. L’approccio alla lingua doveva passare per la fonetica per poi arrivare a considerare aspetti più ampi. Serianni aveva un metodo “scientifico”, forse per questo non condivideva la famosa distinzione tra ledue cultured i Charles P. Snow: «L’umanista assennato non ostenta nessun atteggiamento di superiorità nei confronti degli scienziati, anzi». Lamentava lo scarso spazio dato in Italia alla cultura scientifica. Aveva iniziato la sua carriera di ricercatore studiando gli antichi libri di conti toscani, testi in cui si registravano le entrate e le uscite di una famiglia o di un’attività. Libero, senza preclusione di interessi, poteva dedicarsi alla lingua letteraria delle origini (La parola di Dante , il Mulino), come ai linguaggi settoriali. Saper leggere era il punto di partenza. Agli esami, lunghi e accurati, si partiva dal testo, non importava che fosse l’ Orlandofuriosoo Il dialogo sopra i due massimi sistemi di Galileo Galilei, ed erano altamente sconsigliate considerazioni critiche impressioniste che non fossero strettamente ancorate alla matrice lessicale.
Serianni ha incarnato il senso civico di una professione che sapeva coniugare con generosità ricerca e didattica. Non stupisce che congedandosi avesse scelto di leggere ai ragazzi l’articolo 54 della Costituzione, lì dove si dice che un funzionario pubblico deve svolgere il suo lavoro con disciplina e onore. Si sentiva un uomo dello Stato e avvertiva la responsabilità verso i giovani. L’attenzione alla divulgazione faceva parte di questa consapevolezza democratica del ruolo della cultura. Molte le sue opere dedicate alla grammatica: dallaGrammatica italiana Utet all’ Italiano scritto con Alberto Castelvecchi (Garzanti), fino alla Prima lezione di grammatica (Laterza). Tra i suoi saggi laStoria della lingua italiana in più volumi, curata insieme a Pietro Trifone per Einaudi, e laStoria illustrata della lingua italiana
(Carocci, con Lucilla Pizzoli).
La sua impostazione non era mai normativa. Lo interessavano tutte le parole, non sono quelle auliche maanche quelle dialettali o specialistiche. Figlio di un medico, al linguaggio della medicina aveva dedicatoUn treno di sintomi (Garzanti). Da lessicografo aveva curato con Maurizio Trifone il dizionario Devoto-Oli. Un suo libro si intitola Parola (2016): ci sono dentro neologismi, termini desueti, altri usciti di scena. Perché è questo che fanno le parole, cambiano, invecchiano, rinascono. Serianni di quei movimenti era un osservatore privo di preconcetti. Mal tollerava i catastrofisti, quelli che dicono “la lingua italiana morirà” o “finiremo tutti analfabeti”. Osservava invece con quel suo sorriso ironico che addolciva il bel viso ossuto, i cambiamenti del lessico senza suonare le campane a morto. Piuttosto spingeva a riflettere, come i maestri veri dovrebbero sempre fare. Quante scoperte si fanno ad ascoltarli. Se è vero che le parole ci rivelano, Serianni è stato il maestro di un linguaggio puntuale e privo di enfasi, lontano dall’emotività dei social, che comunque non ha mai guardato con superiorità. Il suo impegno per la scuola, lo aveva anche visto protagonista sulle pagine diRepubblica di un appello in difesa del tema di italiano all’esame di maturità. Uno degli ultimi progetti che aveva coordinato è stato Mundi , il Museo nazionale dell’italiano inaugurato a Firenze lo scorso 7 luglio. Socio dell’Accademia della Crusca e dell’Accademia Nazionale dei Lincei, nel 2010 era stato nominato vicepresidente della Società Dante Alighieri e nel 2017 consulente del ministero dell’Istruzione per l’apprendimento della lingua italiana. Tra i tanti riconoscimenti una laurea honoris causadall’università di Valladolid. Ma il regalo più prezioso sono stati i suoi studenti. A loro, salutandoli aveva confessato: «Chi sceglie di fare l’insegnante non può permettersi il lusso di essere pessimista, perché ogni allievo è una risorsa preziosa».