la Repubblica, 22 luglio 2022
I tormenti di Mara Carfagna
Al suo quasi ex partito, la condanna. Al suo presidente, eterno Silvio, la gratitudine. Ma la «frattura» c’è, lo scrive lei: pressoché insanabile. Mara Carfagna però non fa rumore, non sbatte la porta. Non è il suo stile, ci mancherebbe. «Non ho condiviso quella scelta. Che mi impone una seria riflessione politica», è il cuore del messaggio che arriva solo in serata. Trenta ore per nove righe. Una carezza, rispetto ai calci sferrati da Gelmini e Brunetta.
È tutto qui, in estrema sintesi, il biasimo per Fi della ministra doppiamente uscente. Esilissime le possibilità di un recupero: viene data per certa la sua fitta interlocuzione, in queste ore, con Calenda e Renzi. Contatti non confermati dagli interessati, solo perché non ce n’è bisogno. Era l’estate di un anno fa quando il leader di Azione individuò pubblicamente la ministra del Sud come migliore interprete al femminile «di un partito popolare moderno ed europeista», insomma la depositaria «dell’eredità berlusconiana», forse solo un po’ precocemente evocata.
La titolare del Sud era stata la prima a sibilare, mercoledì ore 13, a labbra serrate in Senato: ormai Forza Italia si è consegnata a Salvini, è finita. Furioso e muto quel suo sguardo rivolto alla capogruppo Bernini, poco dopo. Eppure è ultima, ieri, a firmare la sua nota: quando ormai tengono banco da un giorno la lavata di capo della ministra Gelmini a Berlusconi-Ronzulli & Co, e dopo che, alle11 di ieri, Renato Brunetta fa partire il suo comunicato di fuoco. E lei? La ministra per cui il premier Draghi ingaggiò il primo braccio di ferro del costituendo governo (non era certo il nome in cima alla lista di Silvio)? Calma, calma: ora arriva. Qualche attimo di ilarità in sala stampa quando, dai suoi canali ufficiali, spunta uan nota: ma è sull’Acqua Bene Comune (un importante Cis, contratto istituzionale di sviluppo che Carfagna ha il merito di avviare, valore 1 miliardo). Indomma, parla di grave siccità e non si riferisce alla sua posizione politica. Poi, poco prima delle 20, lo strappo. Sempre con garbo.
«Per questioni di stile non esprimo giudizi su come Forza Italia ha gestito questa crisi, assumendo una decisione che non ho condiviso, che sono convinta vada contro l’interesse del Paese e di cui non ho mai avuto l’opportunità di discutere in una sede di partito» premette Carfagna. Poi aggiunge: «Sono grata al presidente Berlusconi per le opportunità che mi ha offerto e la fiducia che mi ha testimoniato in questi anni, ma quanto accaduto ieri rappresenta una frattura con il mondo di valori nei quali ho sempre creduto che mi impone di prendere le distanze e di avviare una seria riflessione politica». Tormento Carfagna, quindi. O giochini: piano A, piano B. La lacerazione è reale, bisogna capirla, deve molto a questo partito e al presidente, si ostina a spiegare qualche big da Montecitorio a lei vicino, mentre un altro fedelissimo, il senatore Andrea Cangini, ha già tratto le conclusioni, mollato Fi dopo aver espresso il voto pro Draghi e si consente, a ridosso del Palazzo, l’eleganza di non commentare. Macché, raccontano dalla roccaforte berlusconiana: sta cercando di capire se può salvare un collegio sicuro. Addirittura aggiungono dei suoi tentativi di parlare direttamente con il fondatore. Invano. Solo perfidia? Dall’altro lato, Silvio non c’è. Ammesso fosse vero, non è certo improbabile lo sbarramento della Ronzulli. Congiunto magari a quello della Fascina, che gli tiene letteralmente la mano anche quando parla al telefono. Specie con le predilette (di un tempo). Pronte a giocare da leader.