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 2022  luglio 21 Giovedì calendario

Signore e signori, il colore

Gli oggetti parlano, raccontano storie. Quelli esposti al Museo della radio e della televisione di Torino ci ricordano con apparecchi, vestiti, oggetti di scena, gli ultimi 70 anni di vita italiana. Da ieri, c’è una storia in più: quella legata all’arrivo della tv a colori. Rosanna Vaudetti ha donato il vestito con il quale annunciò, il 26 agosto 1972, l’inizio delle Olimpiadi di Monaco, quelle che sarebbero poi state ricordate per l’attentato dei terroristi palestinesi di Settembre nero contro gli atleti israeliani, 17 morti. Ma il giorno dell’annuncio, innocente e inconsapevole, per la tv italiana si prospettava radioso. Era stata vinta una battaglia, sia pure ancora a livello sperimentale: quella, per l’appunto, del colore. Che, già diffuso in tutta Europa, tecnicamente era realizzabilissimo, con due possibili sistemi, il Pal e il Secam. Ma La Malfa era contrario «perché gli italiani non erano adatti a questo consumo opulento», Andreotti era favorevole. Lo ricorda bene Vaudetti: «La Malfa adottava la politica del buon padre di famiglia, temeva che per avere la tv a colori gli italiani si sarebbero indebitati troppo. Andreotti invece la voleva per dare impulso all’industria, e perché ce l’aveva tutta Europa».
Quando lei fece il suo primo annuncio a colori, erano già in commercio televisori tecnicamente pronti a ricevere il segnale: furono venduti, per quell’estate 1972, 300 mila apparecchi, che costavano 400-500 mila lire l’uno. Una bella spesa, tenendo conto che non si poteva vedere quasi niente. Intanto la Rai continuò a sperimentare, la politica si fece una ragione del progresso e il primo febbraio 1977 il colore entrò ufficialmente nelle case degli italiani, con il sistema Pal.
Rosanna Vaudetti, 84 anni, mente fresca e rivolta al futuro, quindi prontissima a ricordare con lucidità il passato, faceva parte di quel gruppo di annunciatrici Rai soprannominate «Signorine Buonasera», Nicoletta Orsomando, Annamaria Gambineri, Mariolina Cannuli, Mariagiovanna Elmi, Aba Cercato, tutte popolarissime. Prima della programmazione serale, apparivano e dicevano: «Signore e signori, buonasera». Poi presentavano le trasmissioni, dicendo qualche parola su ognuna di loro. Sempre con un bel sorriso, però mai esagerato. Buon gusto e misura, queste erano le regole. «No – dice Vaudetti – non mi dava fastidio il soprannome, perché avrebbe dovuto? È stato un mestiere che mi ha dato un lavoro decoroso, per noi c’era grande rispetto, c’era considerazione. Ho cominciato a lavorare come interprete dal tedesco, avrei voluto fare la giornalista, sa? Ma è andata bene così. Tutte noi eravamo riconoscibili ma tutte diverse, ecco, non presentavamo un modello femminile omologato. E l’omologazione non è emancipazione».
Ricorda come andò quella svolta dell’annuncio, che davvero segnò un’epoca. «Temevo di non poter partecipare ai provini perché conducevo Giochi senza frontiere, programma mitico per la prima generazione di bambini cresciuti con la tv, i bambini degli anni sessanta, i temibili boomer. «Eravamo in Olanda, prendo un aereo da Rotterdam, riesco a fare ’sto provino e lo vinco». Ma chi giudicava i provini? «Costumisti, sarte, telecameramen, i lavoratori della Rai. Bernabei, il direttore generale, approva. Il regista era Piero Turchetti, quello del Rischiatutto, “fiato alle trombe, Turchetti”. Il giorno prima mi raccomanda di vestirmi di bianco, con un tocco di rosso. Di bianco perché i telespettatori conoscevano solo i toni del grigio, dovevano capire qual era il vero colore. Allora io presentavo anche sfilate di moda, chiedo alla stilista Mirella Di Lazzaro se aveva qualcosa da prestarmi, lei mi manda questo completo bianco con i segni zodiacali rossi. Ma io metto solo la parte di sopra». Allora era vero che le annunciatrici annunciavano in mutande... «In mutande no, ma certo non badavamo troppo alla parte di sotto. Io infatti indosso dei pantaloni neri normali. Peccato che, per l’occasione, avevano organizzato un collegamento con viale Mazzini, e tutti mi videro così, vestita bene a metà. Poi la stilista l’abito me lo regalò, ma io non lo misi mai: mi sembrava irrispettoso».
Sempre sui tempi della sperimentazione del colore, Vaudetti ha un ricordo particolare: «Dicembre ’76, al Casino di Sanremo avevo presentato tre serate dedicate ai balletti e al folclore dell’Ucraina, riprese dalla Rai. Ricordo bene l’interprete che mi dicevain pieno periodo sovietico: “Mi raccomando, dica folclore ucraino, non dica russo, le nostre tradizioni non vanno confuse”. Pensi un po’». E la tv di adesso? «Quella dove lavoravo io era una Rai pedagogica, dipingeva una realtà che spesso non era affatto reale. Adesso la tv entra di più nella vita vera, e c’è anche tanta buona tv. Sono gli spettatori che non sanno scegliere».
Il Museo della radio e della televisione, diretto da Alberto Allegranza, adesso è inserito nel circuito museale torinese. Ma io ho un sogno: che si apra su spazi più ampi, dove ancora meglio si possano raccontare le storie che racchiude. Infatti aggiunge Vaudetti: «Tante storie, sì, una è quella, parallela, di mio marito e mia. Lui, Antonio Moretti, che purtroppo non c’è più, è stato il regista di 16 edizioni del Festival di Sanremo, ci sono tante sue fotografie qui. E io con il mio vestito. Siamo di nuovo uniti». Pensate se una notte il museo si animasse, come nel film. Una notte al museo.