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 2022  luglio 21 Giovedì calendario

Il senso della parola “tossico”

Ci sono parole che da un giorno all’altro sembrano essere divenute necessarie. Possono ispirare ironie, perplessità, snobismo ma intanto vedono moltiplicarsi i loro usi e allargarsi i loro campi di applicazione. Come potevamo cavarcela, quando non apprezzavamo ancora le virtù da grimaldello di una parola come “empatia”? E “resilienza”?
La sua moda è almeno decennale se su queste pagine si proclamava “ora e sempre resilienza” già nel febbraio del 2012. Sapere che sarebbe diventata la R conclusiva di un fatale Pnrr forse avrebbe stupito. Ma forse neanche tanto.
Più recente è invece il successo per dir così multidisciplinare dell’aggettivo “tossico”. Per la verità negli ultimi decenni del secolo scorso la parola pareva aver intrapreso una via di tipo specialistico, restringendo cioè le sue accezioni più generiche a quella legata a eroina e altre dipendenze (accezione in cui diveniva anche sostantivo: “tossico” per “persona tossicodipendente”). Ultimamente invece è diventata parola poliedrica, si è ambientata in molteplici contesti e ha anche guadagnato l’altissimo riconoscimento di un’adozione pontificale, visto che papa Francesco ha appena proclamato che «a volte i siti dei media sono diventati luoghi di tossicità», con riferimento a discorsi di odio e fake news (prendiamo nota, noi del mestiere, di questa non immeritata reprimenda).
La tossicità non è male semplice: è male che produce male, male che induce al male. È il noto meccanismo manzoniano, per cui i malvagi: “(...) sono rei, non solo del male che commettono, ma del pervertimento ancora a cui portano gli animi degli offesi” (I promessi sposi). Da quel “pervertimento” può così arrivare nuovo male che oggi Manzoni forse direbbe “tossico”.
Il punto di snodo per la vicenda italiana della parola fu costituito dal titolo del film di Claudio Caligari: Amore tossico
(1983). Nel film ad andare in scena era appunto la dipendenza dall’eroina di tutti i protagonisti (non solo i personaggi ma gli attori stessi). A quarant’anni di distanza si parla spesso di “amore tossico” e si ritengono in sé tossiche quelle relazioni amorose vere e proprie in cui un partner danna la vita all’altro (e, a volte, viceversa), pur senza bisogno di additivi chimici. “Tossici” possono poi essere luoghi di lavoro o altri ambienti; abitudini di comportamento e di linguaggio e, oltre agli amori, amicizie,rapporti famigliari e relazioni in genere.
Prima il disagio psicologico portava alla dipendenza chimica. Ora se a parlare di tossici e veleni arriva oggi persino l’eloquenza papale è perché pensiamo anche ai problemi sociali in termini di biologia. Pensiamo anche alla non distante metafora “dell’avvelenamento dei pozzi”: si riferisce alle conseguenze della disinformazione o di altre pratiche che non ottengono soltanto un effetto immediato e puntuale (come la diffusione di una notizia falsa) ma causano conseguenze assai più durature e sistemiche (per esempio squalificano una fonte o interrompono un circuito comunicativo generando sfiducia). Nella comunicazione via web a contare è soprattutto il contatto, prima del passaggio di informazione e conoscenza. Al centro dei sistemi di comunicazione non è più il messaggio ma il rapporto immediato con gli interlocutori. È certamente impressionante che la grande emergenza sanitaria (dovuta appunto a contatti fisici che contaminano) sia intervenuta quando già trattavamo in termini biologici la diffusione sociale di elementi (nocivi o no) di informazione, cultura, comportamenti. La nube tossica che già incombeva sulla scena dei disastri ecologici ha prodotto la sua simile, la cui tossicità non è chimica ma culturale e comportamentale, a perturbare le relazioni e a rendere ancor più faticosa la loro manutenzione. Come dire che ci preoccupano enormi rischi sia nell’ambiente fisico sia in quello sociale, politico, culturale in cui operiamo e li viviamo in entrambi i casi come rischi ecologici. È un modo di vedere che comporta un rischio e un vantaggio. Il rischio è di sopravvalutare il contatto (pensando che il problema sia di ordine perfettamente “naturale”) e sottovalutare l’importanza delle interpretazioni (non vedervi le determinanti socioculturali). Il vantaggio è che se anche per la chiesa cattolica il male è qualcosa che non pertiene all’individuo ma ha il potere di inquinare i rapporti fra gli individui allora vuol dire che a essere patogene e “cattive” non sono le persone (per nascita, censo, etnia, segno astrologico, tifo calcistico) ma, innanzitutto, le relazioni. Se è questo che la metafora della tossicità implica, allora può aiutarci a diventare un poco più saggi. E in quel senso è certamente benvenuta.