la Repubblica, 21 luglio 2022
I 17 mesi di Draghi a Palazzo Chigi
Anche quando non indossa giacca e cravatta, quando è in maglioncino come nel treno diretto a Kiev insieme a Olaf Scholz e Emmanuel Macron, Mario Draghi porta una sorta di invisibile armatura, qualcosa che fa di lui un uomo solido, prima ancora che potente e armato. Ha evidentemente imparato la postura di chi sa come ci si rapporta con gli altri. Serietà? Impassibilità? Forza? Riservatezza? Tutte e quattro queste cose, per cui Draghi appare come una sorta di statua anche quando distende il viso in qualcosa che somiglia a un sorriso. A qualcuno il suo può sembrare un volto di pietra, che non tradisce emozioni. Delle quattro immagini che definiscono la sua breve ma efficace e unica stagione da Presidente in capo, quella che forse lo racconta meglio è quella che gli è stata scattata al Prado, seduto di spalle su una panchina in uno dei musei più belli del mondo. Dietro di lui in piedi il capannello dei grandi del mondo i quali conversano, commentano, interloquiscono, discorrono, volgono le spalle alla quadreria del Prado, mentre sulla destra tre meravigliosi ritratti solitari – uno è ilSan Tommaso di Rubens, il santo che non crede se non tocca.
E Draghi? Lui è seduto sulla panchina, quella dove si riposano i visitatori, volge la schiena a quelli che gli sono dietro: una piccola folla. La sua posizione è perfetta, non sorride, sembra distaccato, solo un poco preoccupato. Si capisce che la conversazione che sta intrattenendo è una di quelle importanti, cui si deve prestare la massima attenzione. Non si perde una sillaba di quanto gli sta dicendo il suo interlocutore – il Presidente della Repubblica, Giuseppe Conte o un altro ancora, da Roma probabilmente, che lo chiama alsuo cellulare. Ilpunctum dell’immagine è quella mano poggiata sulla gamba sinistra. Perfetta. Anche in questa contingenza non perde il suo aplomb. Draghi è sempre a piombo, tutto cade giù dritto come un fuso: la cravatta, la giacca, la piega dei calzoni. Persino quando siede con la moglie in attesa di ricevere il vaccino accavalla le gambe in modo elegante e piega leggermente il capo per parlare con la mascherina sul viso, con la moglie Serena. Nomen omen, che poi significa: «il nome è unpresagio». Tutto nell’ex banchiere centrale è un presagio, un presentimento di quello che l’attende. Le fotografie lo raccontano, anche nei momenti di festa – la vittoria agli Europei del calcio nel luglio del 2021 – non tradiscono mai nulla che esorbiti dal quel suo presentire, una forma che lo pone tra i pochi eredi dei grandi leader del passato, un passato che è già trascorso: Moro, Andreotti, Rumor. L’eredità che porta inscritta nel viso, così perfetto come se fosse stato inciso nel marmo, eppure vivo di carne e di sangue, lo fa appartenere a un’altra stagione della storia repubblicana. Sembra uscito da una delle fotografie ufficiali dei Presidenti, quelle appese nelle stanze dei commissariati, nelle presidenze delle scuole, nei tribunali e in ogni luogo dove l’ufficialità è di casa, e a suo modo eternamente immobile. L’immobilità è il suo karma. Mario Draghi è sempre in posa perché la posa è ciò che lo connota in ogni punto della sua vita, anche quando in un’altra foto lo avevano colto, dopo l’abbandono della Banca Centrale, mentre faceva la spesa al supermercato insieme a Serena. Gente comune, sì ma anche fuori dal comune proprio per il suo posare, che è una parola latina che significa “fondarsi”. Anche se il voto lo affonda – oppure invece no – lui è sempre fondato. Poggia su qualcosa che noi non vediamo, ma che c’è.