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 2022  luglio 20 Mercoledì calendario

Storia del bacio

Il bacio è il più epidermico dei gesti umani. Ma è anche il meno superficiale. Dura un attimo, si ricorda per sempre. Questo semplice schiocco di labbra accompagna la storia umana dall’inizio dei tempi. Per noi è il simbolo dell’amore, un apostrofo rosa fra le parole t’amo, per dirla con il poeta Edmond Rostand. Ma in realtà questo contatto bocca a bocca può significare di tutto. Passione, dedizione, compassione, riconciliazione, unione, derisione, separazione, dolcezza, tenerezza. Ma anche tradimento come insegna Giuda. In ogni caso baciando si dà e si dice qualcosa di sé. È l’espressione perfetta della reciprocità perché mentre si bacia si è baciati, come dice William Shakespeare in una celebre scena diTroilo e Cressida .
Purtroppo, negli ultimi due anni bacini e bacetti sono caduti sotto la scure della pandemia. Che ha cambiato almeno temporaneamente i nostri comportamenti trasformando il contatto in contagio e l’effusione in infezione. L’effetto non è una semplice misura immunitaria, ma un’afasia dei sentimenti, un lockdown dell’anima. Perché tutta la nostra vita sentimentale, familiare, sociale passa attraverso questo interfaccia corporeo che fa di due persone un solo essere. Ne era convinto Percy B. Shelley, il romanticissimo poeta inglese secondo il quale «l’anima incontra l’anima sulle labbra degli amanti».
Ma da quand’è che abbiamo cominciato a baciarci? La risposta più convincente l’hanno data l’etologo Desmond Morris e l’antropologa Margaret Mead. Per loro a inventare il bacio non sono stati gli umani ma gli ominidi. Le scimmie da cui discendiamo, infatti, usavano premasticare il cibo e imboccare i pargoletti aiutandosi con la lingua. È questa la ragione remota e dimenticata per cui il bacio è considerato un segno di amore, di intimità, di dedizione. Poi col tempo il gesto di nutrizione diventa gesto di passione e la funzione tecnica lascia il posto alla manifestazione sentimentale.
E qui comincia il bello. Perché da quando il bacio diventa un uso sociale le differenze che le diverse culture gli attribuiscono crescono in maniera esponenziale. A ciascuno il suo. Lo sapevano bene gli antichi romani che distinguevano accuratamente baci, bacioni e bacetti. In base all’occasione e all’intenzione. C’erano quelli amorosi ma anche quelli rispettosi, doverosi, fraterni, paterni, filiali, amicali, conviviali, coniugali. E mentre noi abbiamo una sola parola per qualunque tipo di contatto di labbra, loro ne avevano ben tre. Ilbasium ,da cui la nostra parola bacio, l’ osculum e ilsavium . A classificarli è Isidoro di Siviglia, un dottissimo e bacchettonissimo teologo vissuto nel Sesto secolo dopo Cristo. Ilbasium , sentenzia, è quello che si scambiano moglie e marito. L’ osculum è il bacino che si dà ai bambini, quello con la boccuccia che adesso spopola nei selfie. Ma con il terzo il gioco si fa duro. Ilsavium , infatti, è il bacio torrido degli amanti, quello che non fa prigionieri, quello che a nullo amato amar perdona. I greci lo chiamavanokataglottisma .
Sembra uno scioglilingua e in realtà lo è. Perché significa proprio bacio linguale, quello che oggi chiamiamo alla francese. Ne parla già Aristofane ne Le nuvoledove un uomo di provincia sposa una fatalona di città che lo fa andare su di giri con una serie di slinguazzate così ben assestate che lo fanno sentire un ragazzotto alle prime armi. E oggi, a distanza di duemilacinquecento anni, la generazione Z, che pure è di casa su YouPorn, consulta tutorial e app che insegnano l’abbiccì del kataglottisma .
Per prepararsi al primo incontro con l’anima del partner.
Come ogni regola, però, anche quella di Isidoro ha le sue eccezioni. La prima è Catullo che chiede alla sua amatissima Lesbia millebasia ,poi cento, poi altri mille in una escalation sempre più hard. A rigore avrebbe dovuto dire saviama i poeti sono signori e non servi della lingua. E forse è proprio merito di Catullo se la parola basium ha soppiantato tutte le altre ed è diventata la più usata, almeno nelle lingue neolatine. E se Catullo, che resta uno dei poeti preferiti dai ragazzi, non avesse trasformato il contatto tra le labbra in un simbolo del cortocircuito erotico, in una iperbole della passione che non vuol sentire ragioni, il nostro immaginario amoroso non sarebbe stato lo stesso. E Fabrizio De André nel 1966 non avrebbe potuto scrivere il testo, più catulliano di Catullo, di Amore che vieni amore che vai .Dove un innamorato si domanda dove sono i bei momenti, «quei giorni perduti a rincorrere il vento. A chiederci un bacio e volerne altri cento».
Ma se per noi occidentali baciarsi è essenzialmente una manifestazione orale, la filematologia, cioè la scienza dei baci, dice a chiare lettere che in molte civiltà le manifestazioni amorose e affettuose impegnano altre parti del corpo. È famoso il caso degli Inuit, meglio noti come Eskimesi, che si scambiano effusioni strofinandosi il naso. Fanno così pure malesi e polinesiani. Charles Darwin, il padre dell’evoluzionismo, sostiene che la cosiddetta “cofricazione nasale” risale all’età della pietra ed è una sorta di riconoscimento olfattivo. Un indice di compatibilità corporea che può produrre empatia, simpatia, attrazione. Nell’India antica al posto di baciare si usava il verbo annusare. Laddove noi diciamo «ti adoro», altri direbbero «ti odoro». Anche nella Cina imperiale il bacio consisteva nel soffiare sulle guance del partner per trasmettere i propri aromi.
Del resto nell’eros e in generale nelle pratiche di socializzazione, umana e animale, la componente olfattiva gioca un ruolo fondamentale. Insieme ovviamente a quella tattile e gustativa. È la gamma multisensoriale del bacio che, in più, ha anche la dimensione uditiva. Dal momento che lo schiocco, lo smack, il mwah, il chu, il pciù rappresentano l’indispensabile rumoristica dell’eros. Una lingua franca che non fa eccezione di generi e di generazioni. Non è sessista né binaria. Ma universalista per definizione e queer per vocazione. Insomma, il bacio è il più unisex tra igesti dell’amore.