il Fatto Quotidiano, 19 luglio 2022
Intervista a Galliano Juso
Ostracizzato, massacrato, censurato, pure ripudiato dal regista stesso. E poi, anni dopo, incensato al Festival di Venezia, amato da Quentin Tarantino, citato, ricitato, tentato di copiare.
È il destino di W la foca, ostinata visione di Galliano Juso, uno dei produttori italiani più visionari, coraggiosi e disincantati del cinema italiano. “(Sorride) Quel film, per me, è stato una mezza rovina. Però lo rifarei”.
Il film in questione, secondo Marco Giusti, profeta incontrastato del B-Movie, è il canto del cigno della commedia sexy, un canto arrivato nel 1982, esattamente 40 anni fa; dentro c’è tutto il repertorio dell’epoca: donne nude, le famose docce sexy, qualche peto, battute surreali, Bombolo con i suoi tse tse; e ancora le smorfie di Riccardo Billi, alla sua ultima apparizione, e la presenza di caratteristi come Victor Cavallo e Maurizio Mattioli, oltre al cammeo, con tanto di seno in evidenza, di una giovanissima Moana Pozzi. (E Juso, come in trance, ripete: “Che botta…”).
Non faccia così.
Non avete un’idea di quello che ho passato per W la foca.
Una guerra.
In quel periodo avevo in testa tre progetti cinematografici: il primo, un film sui carabinieri, sulle barzellette scollacciate con loro protagonisti.
Un classico.
Era una pellicola con lo sfondo sull’educazione sessuale; secondo: un Pierino, quindi demenzialità pura; (pausa) quest’idea me l’hanno fregata.
Terzo?
W la foca! (pausa) Che sofferenza; dopo averlo girato e montato, la Titanus (casa di distribuzione) rimosse il marchio: si vergognavano.
Il titolo è audace.
L’allora Bnl tolse il finanziamento; poi la botta finale arrivò dalla questura.
Dolori.
Per un mese spesi ogni lira in avvocati.
E giù attacchi.
Solo attacchi? Si scatenarono tutti i critici; (sorride) quelli di primo piano non sporcarono la loro penna sul film, mandarono avanti le seconde linee. Scrissero il peggio.
Tutti.
Solo Sergio Grmek Germani paragonò il mio disgraziato W la foca a La pelle di Liliana Cavani.
Audacissimo.
W la foca è un film sotto certi aspetti molto avanti.
Dove?
È giocato su più piani, come tante piccole scene.
Spieghiamo.
Ho rotto la struttura narrativa: è frazionata; Germani lo definì geniale, nuovo, diverso. È un po’ la stessa impostazione di pellicole uscite un decennio dopo; (pausa) ed è tutto mio.
Cioè?
Nando Cicero si vergognava, quindi lo girai quasi solo io.
Troppo scollacciato.
Non è un film erotico, ma sul sogno dell’erotismo.
Ha un cast con nomi storici, a partire da Victor Cavallo.
Che bravissimo attore. Adorabile; aveva avuto problemi di droga, ma in quel periodo stava meglio.
Moana Pozzi.
Con lei eravamo amici e anni dopo l’ho coinvolta in un’altra impresa; una donna generosa, intelligente e rifiutata dal cinema: non la chiamava nessuno, per questo si è buttata sul porno.
Lory Del Santo.
Una specie di animaletto.
Che vuol dire?
Bastava darle delle indicazioni chiare e lei eseguiva. Senza rompere le palle, senza frignare; (pausa) mica come altre attrici brave solo a impuntarsi.
È l’ultimo ruolo di Billi.
Con lui c’è il tocco, la piccola magia di chi conosceva il mestiere.
Bombolo.
A quanto pare, come attore caratterista, sono stato io a scoprirlo quando vendeva le pentole in mezzo alle strade di Roma: spingeva il carrettino e gridava; (ci ripensa) quanti soldi ci ho rimesso.
Eppure…
Tarantino voleva acquistarne i diritti e girare un remake, ma non c’è riuscito; se penso a Nando Cicero…
In particolare?
Quando l’ha convocato la censura, ha risposto: “Non sono stato io, è tutta opera di Juso!”.
Attacchi concentrici.
Nella prima settimana di programmazione incassai 5 milioni di lire. Un successo.
Insomma, non è pentito.
Lo girerei ancora e ancora: resta una delle mie migliori pellicole e se dopo 40 anni se ne parla, qualcosa vuol dire.
E ora?
Sto finalmente realizzando un progetto nato anni fa, Il grande Boccia (è la storia del regista Tanio Boccia) con Ricky Memphis protagonista.
Il cinema non va benissimo.
E ci credo: perché il pubblico dovrebbe andare a vedere le commediole di oggi?
Cos’hanno?
Tutte buoniste, noiose, levigate, con l’happy end assicurato.
Per carità.
Appunto, restano a casa. Ora vediamo con Il grande Boccia…