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 2022  luglio 19 Martedì calendario

Dybala ha scelto la Roma

Giulio Cardone e Matteo Pinci per la Repubblica
C’è un momento preciso in cui Paulo Dybala ha cominciato a vedere il suo futuro a tinte giallorosse. Era il 10 luglio: il general manager romanista Tiago Pinto ha incontrato gli intermediari dell’affare e consegnato un regalo per Paulo. Una maglia della Roma col suo nome e il numero 10. Il mazzo di rose per conquistare la reginetta del ballo, anche al prezzo di sacrificare il totem familiare, il ricordo in vitro del mito Francesco Totti conservato preservando quella maglia, quel numero. Il club ancora ieri spingeva perché Dybala prendesse la 10, immaginava anche che potesse essere Totti a consegnargliela personalmente. Invece Paulo alla fine ha scelto il 21, lo stesso con cui cominciò l’avventura alla Juve. Matic glielo lascerà, virandosul numero 8. Ventidue anni dopo Batistuta, un altro argentino infiamma la capitale. Il sì alla Roma di Dybala – assistito da Jorge Antun e Carlos Novel, decisivo il lavoro di tessitura dell’agente Fifa Fabrizio De Vecchi – è arrivato nella notte di domenica. Una cena con Pinto e la telefonata con Mourinho: «Arrivo». Ieri mattina Paulo è salito sull’aereo privato dei Friedkin e ha raggiunto lo Special nel ritiro di Albufeira. Una maglia bianca, pantaloncini rossi e il sorriso di chi ha saputo resistere all’ultima tentazione di Marotta, che negli istanti prima del sì aveva tentato disperatamente di convincerlo ad aspettare l’Inter. Ma il contratto di tre anni (con opzione sul quarto), a 4,5 milioni netti che possono diventare 6 con i bonus (ne chiedeva 10 alla Juve) sigla un fidanzamento. Per trasformarlo in un matrimonio duraturo la Roma dovrà “meritarsi” l’amore incondizionato di Paulo. Che infatti, per legarsi, ha ottenuto una clausola rescissoria: tra un anno basteranno 20 milioni di euro per portarlo via. È un acconto di fiducia da parte di un campione che, nelle proprie aspettative e non solo, è sovradimensionato rispetto alla destinazione scelta, una scommessa sulla crescita della squadra, ma con la garanzia di una via di fuga: per sedurre stelle più luminose della Roma stessa bisogna accettare di scommetterci e prendersi anche qualche rischio. Ma in fondo, non fu lo stesso con José Mourinho?
Ecco, proprio Mourinho è la garanzia su questa crescita, la power unit che la famiglia Friedkin ha inserito nel motore della squadra per agevolare sorpassi rapidi su chi le sta davanti. Un anno e mezzo fa la Roma era una squadra che aveva perso la scia delle grandi, superata per il terzo anno di fila dall’Atalanta. José ha imposto unriposizionamento: ha preteso l’acquisto di Abraham, ricompensando la proprietà con il primo trofeo da 14 anni a questa parte, la Conference League a cui teneva come un bambino per completare per primo il tris di coppe europee. Un anno dopo ha prima chiesto, poi determinato, l’arrivo di Dybala, esponendosi in prima persona per ottenere il suo “sì”. Tre giorni fa la telefonata decisiva, la terza: «Cosa vieni a fare? A vincere. Sia la Coppa Italia che l’Europa League sono alla nostra portata. Il resto non lo so, ma con te…». E qualcosa a quel punto è scattato nel la testa di Dybala. Il resto l’ha fatto unacall con Dan e Ryan Friedkin.
Male che vada, Roma gli avrà garantito un contributo di affetto e aspettativa smisurato, dopo il gelido arrivederci e grazie ricevuto dalla Juventus. Ma anche il palcoscenico ideale per un rilancio necessario della sua carriera, sfolgorante solo a fasi alterne. «Sono felice», dice aprendo il sorriso. Oggi che la sua (ex) squadra l’ha scaricato, che l’Argentina non riesce ad affidarsi ciecamente a lui sacrificandolo sull’altare di un dualismo ingeneroso con Messi, a Roma troverà tutto ciò che gli mancava: entusiasmo, fiducia cieca, un allenatore che lo ha messo in cima a qualsiasi altro desiderio. Un anno fa Mou chiedeva a tutti i costi un regista, ora voleva lui e lui soltanto: «Datemi Dybala». La variabile impazzita per dare imprevedibilità a una squadra tatticamente diligente, ma avara di fuoriclasse. Non a caso, la coppa di Tirana l’haprodotta il gesto dell’unico genio in organico, per quanto incostante: Nicolò Zaniolo. A proposito di Zaniolo: l’arrivo di Dybala da un lato renderebbe meno dolorosa la cessione dell’azzurro, dall’altra accende l’idea già di un tridente da sogno con Nicolò, Paulo e Abraham davanti a Pellegrini. Primo, fare gol. La rivoluzione copernicana di Mourinho. Attraverso il più rivoluzionario degli acquisti.

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Emanuele Gamba per la Repubblica
Dybala è un giocatore che mette gioia, Mourinho un allenatore che per vincere speculerebbe su qualsiasi cosa, persino sulla gioia: sa che tutto può avere un senso e che il fascino del numero 10 (Dybala resta filosoficamente un 10 anche se a Roma porterà il 21) è una suggestione ma anche un’occasione. Vale il prezzo del biglietto, ma pure un investimento notevole. La gioia, quello è il punto: non c’entra nulla col soprannome del ragazzo (Joya vuol dire gioiello, lui da ragazzino era un brillante che la gente andava al campo ad ammirare) ma è il suo scopo e la sua benzina. Ha bisogno di giocare con gioia per poterla trasmettere e la sua gioia è avere calore attorno, essere circondato da una cortina d’affetto e soprattutto avere qualcuno dei cui occhi si fida, perché i fantasisti ragionano spesso con l’anima. Alla Juve non sempre è successo: solamente Sarri, quando si scambiavano silenzi e sguardi, ha saputo guardargli dentro, toccarlo nell’intimo. Ragazzo sensibile, a tratti vulnerabile e spesso diffidente (la morte prematura del padre lo ha reso così), per essere il meglio di sé Dybala ha bisogno di sentirsi importante, amato e creduto perché in fondo il fascino e il limite del numero 10, di ogni numero 10, sta nella corrente alternata emozionale che viene e va, senza preavviso. Non è uno come gli altri, e questo irrigidisce molti allenatori, che preferiscono altri tipi di personalità e talenti magari meno raffinati ma anche meno bisognosi di coccole, anche perché il 10 o fa la differenza o rischia d essere un fardello, se le paturnie lo sovrastano. L’affidabilità la garantiscono solo in cambio dell’affetto.Agli spettatori tutte queste faccende interessano poco: vanno allo stadio, guardano e s’emozionano, perché il ragazzo in campo fa quello vorrebbero fare loro. I tifosidella Juventus hanno amato Dybala incondizionatamente, quelli dell’Inter erano pronti a farlo e ieri ci sono rimasti malissimo, quelli della Roma si sono incendiati come paglia con la scintilla del sogno e Mourinho ha sempre pensato che questa pirotecnica alchimia porterà la Roma in una dimensione superiore, lavorando sugli incastri tecnici ed emotivi. Nel quadro tattico giallorosso, Dybala si inserisce alla perfezione: in campo non è mai stato troppo facile sistemarlo e in sostanza ha funzionato soltanto quando ha giocato alle spalle di un centravanti capace di fare dasponda e di partire in profondità. Appena lo hanno spostato un poco è subito rimasto prigioniere delle sue debolezze, ma nel posto e con il compagno giusto – quindi non con Ronaldo ma con Higuain sì – Dybala ha dato sostanza alla sua fantasia e ambizione alla gioia trasmessa e ricevuta. Abraham sembra perfetto per dialogare con lui. Potrebbe persino giocare con Zaniolo e Pellegrini nel 4-2-3-1, di sicuro ci sono le condizioni ideali perché l’imperfezione del fantasista, che ad altissimi livelli sono in pochissimi a potersi permettere di sopportare, si trasformi in un contributo di eccezionalità che rompa gli schemi. E che se ne freghi degli schemi, ma sì.