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 2022  luglio 19 Martedì calendario

Silvio Orlando dice che non sa recitare

Sul senso di inadeguatezza ha costruito una carriera, di cui traccia un ironico perimetro fatto di riconoscimenti, «da Una vita per il nuoto al David di Donatello», il primo premio vinto con l’allenatore urlante diPalombella rossa ,l’ultimo traguardo raggiunto con il temibile detenuto diAriaferma . Silvio Orlando, 65 anni, si riposa – anche dalle fatiche teatrali, La vita davanti a sé– al Festival di Tavolara, che gli ha dedicato un corposo omaggio.
Pensare che temeva quel ruolo.
«Credevo mi avrebbe portato a un clamoroso fuori parte.
L’immaginario collettivo rispetto alla camorra si è sedimentato in una certa direzione, complicato farne qualcosa di inedito. Era un personaggio di sguardi e fisicità, ripetevo: sono un omino, come trasmetto questo senso di pericolo? Sono partito dalla sensazione di essere invisibile, poi ho iniziato a sentire l’autorevolezza dovuta al percorso di vita, a ciò che il tempo scrive sulla tua faccia. Devo il ruolo anche a una delle sceneggiatrici, Valia Santella. Da giovani siamo stati fidanzati, ci siamo lasciati quando lei ha iniziato un’altra relazione… Lei ha convinto Di Costanzo: "Silvio lo può fare il ruolo, perché io in quel periodo l’ho sentita tutta, la sua cattiveria».
Oggi è felicemente sposato.
«Mia moglie è una presenza fondamentale. Ho passato la prima fase della vita in apnea, volevo fare tante cose e non riuscivo. Lei mi ha insegnato a respirare».
Gira di nuovo con Nanni Moretti, "Il sol dell’avvenire".
«Dal Caimano non lavoravo più con Nanni. Sentivo che per tutti e due era importante mettere un altro piccolo pezzo di vita insieme. Ho trovato un Nanni per me inedito: pieno di voglia, felice e tranquillo. Poi ha quei momenti suoi che conosciamo e ne hanno creato la leggenda...ma prevale il buonumore».
Il set di "Il caimano" com’era?
«C’era un’angoscia che accompagnava le riprese, lui sentiva di essere solo con cinquanta persone che cercavano di distruggere il suo film, e tu facevi parte delle cinquanta. Negli anni ho sempre pensato: se mi chiama sono contento, se non mi chiama sono più sereno. Ma questo film è un giocattolone magnifico, che ci ha regalato. Io faccio parte della sezione ambientata negli anni 50».
All’inizio fu "Palombella rossa".
«La mia prima volta in un film importante con un ruolo importante.
Mi sentivo in un film di Nanni, unprocesso incomprensibile, caotico, per lui doloroso».
Le fece il provino?
«Sempre. Anche per il nuovo film, Nanni pensava a un personaggio più giovane di me. Per Il Caimano mi chiuse in una stanza con il soggetto e una telecamera a cui dare le prime impressioni. Per Palombella rossa mi fece un interrogatorio, sulla vita privata, mio fratello bancario...
Faceva caldo e ridevo senza un perché. In quel film non c’è mai stato un copione vero, ma un sogggetto con le scene e senza battute, che mivenivano consegnate ogni giorno su pezzettini di carta».
Moretti le fa ancora soggezione?
«Sì. Ma non puoi fare a meno di volergli bene. Perché ci mette sempre se stesso, fino in fondo, il cinema per lui non è mai mestiere, è un percorso personale».
E poi c’è Paolo Sorrentino.
«Sono riuscito a mettere insieme, nella carriera, Zuzzurro e Gaspare, Moretti e Sorrentino. Agli inizi ho fatto il comico tv, con Teocoli e gli altri: artisti che soffrono come gli autori, per cose apparentemente piùsuperficiali. È meno difficile lavorare nel cinema d’autore, dove giochi in casa, che nel varietà tv: lì è più facile perdersi».
Dicevamo, Sorrentino.
«Paolo è uno di quegli autori che scrivono una pagina nuova. Fa cinema di poesia, come diceva Pasolini, con l’impegno che questa parola dà, con il rischio di apparire velleitari, ambiziosi, insopportabili, distanti. Autori come lui hanno questo problema, qualche volta li senti così, ma alla fine conta quello che vedi sullo schermo».
Le mette soggezione anche lui?
«Anche più di Nanni, che è un mio coetaneo, so da dove viene. Paolo è un essere umano misterioso».
Il provino per "The Young Pope"?
«Su parte, di Voiello, 15 pagine, il primo incontro col papa Jude Law. Il cervello di Paolo è una banca dati di citazioni, intuizioni geniali. Leggi e dici: potrò fare questa cosa? Alla fine ci provi, a volte ci riesci».
Lei ha perso sua madre presto, cosa che l’ha molto influenzata.
«Più che la morte, la malattia vissuta in casa. Ciò che sono come essere umano, e quindi come attore, è determinato da quella tragedia».
Anche con Virzi c’è un ritorno, "Siccità".
«Paolo ha fatto un lavoro enorme su se stesso, tolto quell’asperità sulfurea livornese, è diventato molto dolce, questo si vede sul set e nel film».
Che set fu "Ferie d’agosto"?
«Un baccanale, alcolico, divertente, orgiastico in senso lato. Molto confuso, come la vita nostra sull’isola, le tensioni andavano a finire nel film e Paolo riusciva a tenere le redini».
Era previsto un sequel.
«Siamo tutti d’accordo, anche se è un rischio tornare a un film così amato, uno di quelli che hanno raccontato il Paese. Oggi i nostri film hanno meno presa sul pubblico perché non riescono più a raccontarlo».
Il suo rapporto con il mestiere?
«Un mese che non recito e mi pare di aver scordato come si fa. Non ho mai imparato a fare questo lavoro. Forse sono un buon attore perché non so recitare. Per me è un cancellare sempre tutto e ripartire».
La rende felice, recitare?
«No. Sento di dare qualcosa agli altri, un dono che cerco di utilizzare nel miglior modo. Ma mentre recito non sono felice. Nel cinema si alternano momenti di noia infernale e di stress insostenibile. In questo momento sono a Tavolara e non invidio nessun collega sul set a far cose fantastiche».