il Fatto Quotidiano, 18 luglio 2022
Elogio dell’opposizione
La più grande intuizione di Eugenio Scalfari, lo si è ripetuto in questi giorni, è stata quella di non rinchiudere la cultura in un serraglio, esornativo quanto ininfluente, ma invece di volere un giornale, e una politica, culturali: e tendenzialmente una società, per dirla con Norberto Bobbio, “in cui la distinzione fra intellettuali o non intellettuali non abbia più ragione di essere”.
Lo stato attuale della stampa e della politica italiane dimostrano fino a che punto quel progetto luminoso sia stato sconfitto (anche dagli epigoni dello stesso Scalfari), e ormai appaia archiviato. Eppure, proprio in momenti di passaggio, come questi della crisi del governo Draghi, si sente l’oppressione terribile di una politica ridotta a micro-tattica senza respiro e senza ideali, l’assenza totale di una qualsiasi dimensione culturale (e cioè di pensiero critico e di profondità) sia nell’azione che nel racconto della politica.
Prendiamo il concetto di “responsbailità”, usato e abusato in queste ore da tutti coloro che intendono dire che “extra Dracones nulla salus”, cioè che senza Draghi saremmo perduti. Nell’estrema banalizzazione generale, spiccano (per spessore culturale) le parole del cardinale Matteo Zuppi, che ha argomentato a un livello che appare ormai inattingibile ai leaders politici italiani: “Ci auguriamo che vi sia uno scatto di responsabilità in nome dell’interesse generale del Paese che deve prevalere sulle pur legittime posizioni di parte, per identificare quello che è necessario e possibile per il bene di tutti… Il confronto dialettico e il pluralismo sono una ricchezza irrinunciabile della democrazia ancora di più in vista delle prossime naturali scadenze elettorali, ma in un momento come questo conviene avvenga nel massimo della convergenza e della stabilità per terminare l’avvio di interventi decisivi sui quali da mesi si sta discutendo e che condizioneranno i prossimi anni”.
Per rispondere a questo ragionamento, che personalmente non condivido per nulla, bisogna delineare una prospettiva culturale che, partendo dallo stesso assunto (“occorre responsabilità perché il momento è grave”) approdi alla conclusione opposta: e cioè che la scelta più responsabile – per il Movimento 5 Stelle, cui l’arcivescovo di Bologna trasparentemente si rivolge – sia proprio quella di collocarsi all’opposizione dell’attuale governo di Mario Draghi. Per farlo, è utile assumere un punto di vista non schiacciato sul presente, ma invece capace di mettere in gioco quella dimensione culturale che, in politica, passa innanzitutto attraverso la conoscenza delle regole del gioco costituzionale e della storia della loro interpretazione. Ebbene, se davvero siamo convinti che “il confronto dialettico e il pluralismo sono una ricchezza irrinunciabile della democrazia”, non è coerente decidere di rinunciarvi nei momenti in cui è vitale avere più confronto e più pluralismo per raggiungere il discernimento necessario in situazioni come la pandemia o la guerra.
Proprio allora abbiamo bisogno di una democrazia compiuta: e nessuna democrazia è tale senza una opposizione democratica, quella che oggi in Italia non esiste. “Un Paese i suoi rappresentanti lo possono servire in due modi – disse in Parlamento Emilio Lussu nel 1948 – nell’assumere la grande responsabilità dell’amministrazione dello Stato e nella critica dall’opposizione. Se questo concetto che l’opposizione è un dovere critico, ugualmente indispensabile e degno quanto quello di assumere la responsabilità della direzione dello Stato, entra finalmente nel costume della nostra vita politica, deve cessare questo sconcio… quello per cui il governo è l’ordine, e l’opposizione il disordine”.
L’anno successivo, lo stesso Lussu – padre costituente e straordinaria figura di intellettuale e scrittore – tornò sul concetto, chiarendo che “il Parlamento, nel suo potere e nella sua funzione, è uno e non scindibile. Non è maggioranza da una parte e minoranza dall’altra: è maggioranza e minoranza assieme; è un tutt’uno. Un Parlamento senza minoranza non è un Parlamento; un Parlamento senza opposizione non è un Parlamento: in tal caso si può parlare di tutto, ma non di Parlamento”. E un Parlamento con un’unica, parzialissima, opposizione di marcata matrice fascista cos’è?
All’inizio degli anni Cinquanta, Lussu stigmatizzò più volte la demonizzazione delle opposizioni da parte del governo (il ministro Gonella le aveva definite “forze antinazionali”), chiarendo che essere davvero responsabili significa permettere alla democrazia di funzionare, non commissariarla pensando che in fondo le decisioni “giuste”, quelle per “il bene di tutti”, possano essere prese solo da pochi illuminati (che siano “competenti”, o “migliori”). Perché, diceva ancora Lussu, “al potere ci sta, permanentemente, la democrazia”: è nella sua realizzazione, e non già nella sua sospensione, che si attua una autentica “responsabilità”.