il Fatto Quotidiano, 18 luglio 2022
Le lettere di Flaiano
Federico Fellini ha ultimato le riprese di La dolce vita. Ennio Flaiano (1910-1972), uno degli sceneggiatori, il 28 ottobre del 1959 ne parla a Juan Rodolfo Wilcock (1919-1978). Al narratore e poeta argentino, amico di Jorge Luis Borges e di Adolfo Bioy Casares, trapiantato a Roma, lo scrittore pescarese dice: “Caro Giovanni Rodolfo, (…) circa il film, mi sembra che Fellini abbia fatto un magnifico lavoro. La morte dell’intellettuale sarà la nostra morte se non smetteremo di aver paura”. E aggiunge: “Dobbiamo imparare a vivere senza farci troppe domande, come gli emigranti che credono di andare in Austria e vanno in Australia. A vivere cioè come Dio vuole – o se preferisci, nella sua grazia – mangiando col sudore della propria fronte e partorendo con dolore perché non c’è altra strada da scegliere. Oggi l’intellettuale confonde giuoco e lavoro, e si crede diverso dagli altri uomini, responsabile di una sconfitta; dimissionario. (…) La legge morale è meno che niente se non si accoppia alla tolleranza e alla capacità d’amare, le sole forze che portano alla libertà. Il nostro intellettuale era un egoista dilettante, perciò si è ucciso e ha ucciso i suoi figli”.
Assieme ad altre corrispondenze inedite fra l’autore di Tempo di uccidere e Wilcock, la lettera di Flaiano è pubblicata nell’ultimo numero della rivista Nuova Corrente, edita da Interlinea: un fascicolo dedicato al letterato di Buenos Aires con il titolo “Leggi parole di un tempo scomparso”. Juan Rodolfo Wilcock. Curato da Andrea Gialloreto e Stefano Tieri, con contributi di diversi studiosi, rende omaggio “a un autore di caratura internazionale verso il quale gli apparati culturali italiani si sono mostrati al contempo curiosi e ingrati”.
Le lettere di Flaiano vengono alla luce nell’anno in cui ricorre il cinquantesimo anniversario della morte del letterato abruzzese, avvenuta il 20 novembre del 1972. A Pescara, la città dove era nato nel 1910, sono già da tempo cominciate le manifestazioni, che forse lui avrebbe disapprovato. In La solitudine del satiro scrisse: “Questa è un’epoca commemorativa. La quantità di denaro che si impiega per commemorare cose accadute è enorme. Lo stesso denaro, se fosse stato impiegato a suo tempo per le stesse cose, avrebbe forse mutato il corso della storia”.
Erano amici. Si stimavano. Stessa razza di scrittori dallo spirito corrosivo e malinconico, “umoristi seri”, come avrebbe detto qualcuno. Il 24 giugno del ’59, l’autore della Solitudine degli iconoclasti scrive: “Caro Flaiano, sono molto scontento della tua prolungata assenza di [sic] Roma dove senza di te mi trovo senza guida sebbene tu non mi abbia mai guidato ma ho tanta fiducia nella tua affettuosa indifferenza che a volte ti penso come la pecora pensa il cane pastore. Sono anche scontento perché guadagno sempre meno: questo mese soltanto 40 mila lire, 20 del Mondo e 20 di Tempo Presente, ti racconto questo perché ti avevo detto che sarei andato a Parigi a farti una visita ma è ovvio che non posso, l’affitto mi costa 18 e il mangiare altrettanto eppoi c’è sempre qualche spesa improvvisa che a volte ammontano a migliaia di lire. Tu non dovresti fare il nervoso parigino ma stare a Fregene e ricevere la visita degli oggetti perduti come tuo, Wilcock”. Il 14 luglio, Flaiano risponde: “Caro Wilcock, io e mia moglie siamo a Fregene. La casa è aperta per te, quando hai voglia di fare il bagno e di sederti alla nostra tavola. C’è un leggero miglioramento nella cucina, dall’anno scorso. Preavvisando, puoi avere le lasagne. Se vieni e non mi trovi (può darsi che io sia a Roma), mostrando la presente lettera avrai diritto all’uso della mia camera e a una ragionevole quantità di cibi cotti. Niente più mi interessa se non l’affettuosa indifferenza degli amici come te. Tuo, Flaiano”.
Il 26 maggio 1960, dal Festival di Spoleto, Wilcock lo informa che “la censura ha vietato il mio pezzo sulla famiglia; credo però che riusciranno a fare quello della donna e la vecchia madre. Senonché Menotti (Gian Carlo Menotti) si è spaventato della mia regia e ha messo un giovane regista piuttosto intelligente ma troppo amante del balletto e di Walt Disney”.
Il 29 maggio, Flaiano replica indignato: “Le notizie che mi dai dello spettacolo non sono confortanti. Ho telefonato alla signora Venturini per sapere il nome del regista, e gli scriverò, amabilmente, dicendogli tutto il mio orrore per i tagli che va operando sul mio corpo vivo. Mi dispiace anche molto che la censura non abbia permesso La Famiglia. Penso che li avrà spaventati soprattutto il titolo. Con un altro titolo non avrebbero capito niente. Mi assicuri che daranno un altro tuo lavoro. Se così non fosse, ti prego di credere che non esiterei un istante a ritirare il Papaleo (Il caso Papaleo, in scena a Spoleto), in segno di protesta”.