La Stampa, 18 luglio 2022
Giovanni Allevi e la melodia del dolore
Ci sono parole che fanno male anche solo a pronunciarle, e una di queste è cancro. Giovanni Allevi, cui è stato diagnosticato un mieloma e che soffre le sue pene in un letto d’ospedale, sta dando veste musicale alla malattia a partire proprio dal suo nome, mieloma. Col suono musicale che si ritrova potrebbe evocare tutt’altro e invece è una temibile forma di tumore che attacca il tessuto osseo provocando fratture nei punti di lesione. Allevi però è un musicista e in quanto tale è andato alla radice della parola, individuando le note corrispondenti alle lettere che la compongono «secondo un procedimento matematico già usato da J.S. Bach». Lo scrive lui stesso in un post pubblicato ieri su Facebook e subito sommerso da una marea di like (alle 21 di ieri erano più di settantamila). Ebbene, aggiunge il compositore: «Da Mieloma scaturisce una melodia romantica di sorprendente bellezza!».
Si potrebbe discorrere a lungo di quanto la malattia possa ispirare la creazione artistica, Thomas Mann scelse un sanatorio per tubercolotici sulle Alpi svizzere per la sua Montagna incantata, ma il dolore in musica è un’esperienza che, raccontata da un personaggio come Allevi, assume un significato particolare: da vispo folletto delle sette note dedito a concepire la sua musica per un pubblico più vasto di quello attempato e serioso dei teatri, il ricciuto musicista ha sempre comunicato di sé un’immagine di entusiasmo stupefatto, come se neanche lui riuscisse a credere alla fortuna toccatagli grazie al bacio della «Strega», come ama chiamare la sua padrona, la musica.
Il messaggio è comunque fortissimo, impatta su tanta gente alle prese con patologie molto serie e la sua genesi viene raccontata con parole appassionate dall’interessato, con il trasporto che siamo abituati a sentire da lui in tempi normali, quasi a indicare una direzione a chi sta male, sempre che si conoscano i rudimenti della musica. Una lezione che può essere adattata a qualunque disciplina, sia musica sia arte figurativa o narrativa, purché si abbia la forza di dare espressione al proprio male: «Il primo giorno di ricovero ho iniziato a scrivere un brano per violoncello e orchestra, ispirato da quella melodia (le note associate alle lettere, ndr). Mi sono entusiasmato all’idea che la composizione del brano avrebbe accompagnato tutto il tempo della terapia, come fosse un diario di emozioni fatto solo di note».
Un’impresa ardita e totalizzante che il compositore ha avviato nella camera della clinica da cui scrive, fino ad esserne completamente assorbito: «È pura follia, lotta, dolore, ebbrezza, entusiasmo, gioia sfrenata, meditazione». Allevi non dimentica il valore e il calore che un tentativo del genere può giungere a chi condivide la sua condizione: «Sento già di dedicare questo brano a tutte le persone, a quei guerrieri luminosi che stanno soffrendo per la malattia, nella speranza che possano riconoscersi nelle sue note e possano ricevere da esse la forza di condurre la propria battaglia verso la vittoria».
La penombra della camera dove viene curato così come si vede nella foto, il pentagramma con le note eleganti, le sacche coi medicinali in secondo piano, a evidenziare una situazione che per niente vuole dimenticare, anzi, in spregio alla patologia, viene trasformata in atto creativo. L’esito sonoro per ora lo sa solo lui, per averlo composto, a dare il suono invece sarà il violoncello, giusto strumento per l’esecuzione della «melodia romantica di sorprendente bellezza» che è riuscito a cavare da quella parola così inquietante. Lo aveva scritto Fabrizio De Andrè in Via del Campo, pur pensando a una donna di vita e non alla malattia: «Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior».