Corriere della Sera, 18 luglio 2022
Il rebus Jacobs
Il podio dei 100 made in Usa (Kerley oro in 9”86, Bracy argento e Bromell bronzo in 9”88) è stato una pugnalata al cuore. Tutti avversari che Marcell Jacobs, tra i Giochi di Tokyo (9”80) e il Mondiale indoor di Belgrado (6”41), si era messo alle spalle. «Cosa sta succedendo...?» ha chiesto il re di Olimpia, costretto al ritiro dalla semifinale da una contrattura, a coach Camossi, con cui ha visto la finale in tv. Ma gli assenti hanno sempre torto e, se nessuno mette in dubbio le qualità di un campione che in pista al chiuso quest’anno non ha sbagliato niente e che era venuto a Eugene per prendersi dopo Olimpia anche il mondo («Coraggio da leone, prova di attaccamento alla maglia» l’ha definita il presidente della Federatletica Mei), di certo vale la pena interrogarsi sui motivi dello sfacelo della stagione all’aperto, perché la legge di Murphy – per chi ci crede – da sola non basta.
«Stava bene a Nairobi, stava bene a Savona, è venuto in Oregon senza dolori» ha precisato ieri Camossi, che si è sentito chiamato in causa per una programmazione, con il senno di poi, molto rivedibile. In Kenya Jacobs ha preso un virus gastrointestinale (o forse se l’è portato dall’Italia: non lo sapremo mai), da lì lo stop, la perdita di peso e tempo, gli imprevisti a catena. Dieci giorni dopo, un contro-movimento in uscita dai blocchi al meeting di Savona (due gare ravvicinate: scelta opinabile che in Federazione ha fatto storcere il naso) ha scatenato l’elongazione di primo grado al bicipite sinistro: ciao Diamond League a Eugene, Roma e, infine, Stoccolma, dove a fermare il campione olimpico è stato un fastidio al gluteo prima che qui al Mondiale, in batteria (10”04 correndo a mezzo servizio: non è la forma il problema attuale dell’atleta), nella fase lanciata sentisse una fitta all’adduttore: contrattura alla coscia destra. «L’incognita era il ritorno all’alta intensità, che è una brutta bestia: i muscoli hanno bisogno di tempo per abituarsi ma non c’era nessun motivo per non gareggiare in Oregon» ha precisato Camossi.
La stagione post olimpica, per carità, è complicata per tutti. Però la sensibilità di un fisico che già nel passato da lunghista aveva dimostrato fragilità importanti, in questa fese così delicata meritava forse qualche attenzione in più. Un po’ meno presenzialismo, scelte di programmazione di più alto profilo (anche gli Assoluti di Rieti, così sotto al Mondiale, sono finiti nel mirino), più dialogo con i media, anche stranieri, che adesso derubricano come «nota a margine» l’assenza di Jacobs dai blocchi della finale dei 100 di Kerley (New York Times) mentre lo speaker di Hayward Field nemmeno si è premurato, durante la presentazione degli atleti, di sottolineare il forfait dell’oro di Tokyo. Un’indifferenza che Jacobs non merita. Fino all’ultimo ha provato a correre («Scelta dolorosa» ha detto prima di chiudersi nel silenzio), non è certo la paura dello squadrone Usa la causa dei suoi mali, che non sono psicosomatici. È il ricordo di sé, la memoria del meraviglioso sprinter di Tokyo capace di totale decontrazione e fluidità, che va recuperato. Ce l’ha dentro. Deve solo mettere ordine tra i pensieri e ripescarlo.
La gestione del recupero, ora che il bendaggio notturno di ossido di zinco non è bastato e l’ecografia ha evidenziato il rischio di problemi più gravi, prevede 4 o 5 giorni di terapie continue, un’altra ecografia, una risonanza se è il caso. La catena muscolare di Jacobs, disturbata dagli eventi e dal tentativo di compensare (inconsciamente) gli infortuni, va riportata in equilibrio e in pace. Serve uno stop netto, insomma. Né ospitate né garette né concessioni alla routine del recupero. «Il corpo non è una macchina perfetta — spiega Camossi —, compromettere il muscolo avrebbe voluto dire buttare via tutta la stagione. Non si poteva rischiare». Tra un mese (vicini in modo allarmante) ci sono gli Europei di Monaco, il luogo delle fragole dove l’azzurro sognava di arrivare con l’oro di Eugene al collo e che adesso, invece, diventano l’ancora di salvezza di un annus (outdoor) horribilis. «È giovane, l’atletica è piena di occasioni – conferma il coach —, la prossima in Germania. Rimango sereno perché conosco il valore di Marcell e dei rivali: per i primi 12 metri, qui a Eugene, è stato più veloce che a Tokyo. Era chiaro che Kerley non avrebbe vinto il Mondiale con il 9”79 della batteria. In questo momento lo sprint è senza un dominatore». Il guerriero ferito è deluso ma fiducioso: «Ha voglia di stare tranquillo, non vede l’ora di tornare a correre libero, come quest’anno è riuscito a fare solo nelle gare indoor. Sono successe situazioni incontrollabili: l’atletica è fatta di programmazione però certe cose non le puoi prevedere».
Il mondo dell’Italia, senza Jacobs, si restringe. La staffetta 4x100 implode («Va trovata una soluzione, l’uomo più forte di solito corre la seconda frazione ma se ci mettiamo Tortu perdiamo il killer in quarta» spiega il d.t. La Torre e comunque rimane il problema di un velocista di riserva, Chituru Ali, che in batteria ha chiuso in 10”40), restiamo aggrappati all’estro di Tamberi e a santa marcia. Se da queste profonde ferite usciranno farfalle libere, è tutto da vedere. Quando la realtà è così brutale, la poesia è un balsamo.