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 2022  luglio 17 Domenica calendario

Virtuosi e viziosi del casinò

Nemmeno son le dieci di sera, e il vagabondo canterino già s’appresta a contare i soldi. Spiaggiato sulla scalinata, i pantaloni stropicciati forse restituiti dalla marea, i bei lenti modi d’un nobile decaduto, intona l’ultima di oggi omaggiando Gino Paoli, «Ti lascio una canzone per coprirti se avrai freddo/ti lascio una canzone da mangiare se avrai fame», intanto che rovescia sul palmo della mano il contenuto del berretto da ciclista. Monete, perfino centesimi. Infila in tasca il vil denaro delle elemosine, si tira su, maledice chiunque: «Prima che entrino raccolgo ’sta miseria… Figuriamoci se li aspetto dopo che hanno perso». 
Domenica: afa padana sulla Riviera, Sanremo, ingresso del casinò più antico d’Italia. 
Dinanzi a noi, una signora, schiena ustionata dal sole. Trascina i piedi, tipo: vado o non vado? «Si dice “sfortunata in amore fortunata al gioco”… In amore sono un disastro e al gioco perdo pure alla tombola di Natale». Vabbé scusi, ma cosa è venuta a fare? «Mica può andarmi sempre di sfiga, la vita». 
Smarriremo la signora in quella bolgia rappresentata dal piano meno uno e dal piano terra che ospitano le slot-machine, mondo di sottorispetto all’ultimo piano dedicato ai giochi da tavolo, l’antonomasia del casinò, l’ontologia stessa del casinò: roulette, blackjack, poker. Ma è davvero così? Voleremo alti oppure verremo trascinati dalla commedia umana nella sua versione più disgraziata? Dilemma forse pleonastico essendo che soltanto a lui, nei secoli dei secoli, bisogna guardare: Fedor Dostoevskij con «Il giocatore», completato in meno di un mese per pagare, va da sé, i debiti da gioco. Scriveva il maestro: «Ci sono due modi di giocare: uno da gentleman, l’altro invece plebeo, il modo di giocare di una canaglia qualsiasi». Laddove, volgarizzando, i rilassati «gentlemen» hanno comunque più del denaro che perderanno (o vinceranno), al contrario della maggioranza, i «plebei» che anelano, arrancano, tendenzialmente affondano. 
«A me viene in mente la scena di Fantozzi che accompagna il mega direttore il quale, scaramantico, fa bere al ragioniere bottiglie e bottiglie d’acqua fin quando Fantozzi, gonfio come una mongolfiera… Intendo dire che il presunto fascino letterario di una casa da gioco, non l’ho mai respirato. E sono ligure, sono della zona… Ho visto piuttosto esistenze rovinate. A migliaia. Punto». La voce narrante è quella d’uno sbirro in pensione. Ha lavorato sulla casa da gioco occupandosi di molteplici reati in molteplici inchieste. Per anni. Anni fa. 
L’abbiamo incontrato previa uscita dal casinò, del resto uno va e viene in libertà, l’accesso è gratuito con raccomandazione di decenza nell’abbigliamento e pace se abbiamo assistito a sfilate di calzettoni arrotolati sui sandali, pinocchietti, jeans strappati, infradito con unghie lunghe, monumentali camicie hawaiane abbottonate ad altezza ombelico, piedi sporchi scivolati dalle scarpe; ebbene, discese le scale orfane del vagabondo canterino, superati due tassisti che insultano il riscaldamento globale, infine raggiunta la strada sottostante la casa da gioco, ecco lo sbirro. Manda giù un’acqua tonica. «Questa era la via dei compro-oro. Sciacalli in agguato… Negozi di compro-oro, sottoscala di compro oro, sgabuzzini di compro-oro. I giocatori si vendevano le medagliette con la Madonna del battesimo dei figli. I compro-oro sono spariti, vivaddio. Ci sono questo baretto, il tabaccaio e la farmacia che per forza tira tardi, pronta a soccorrere quelli che si sentono male. Cali di pressione, dolori di testa, reumatismi. Nessuna irrimediabile sciagura». Nel preciso istante in cui stiamo scrivendo, lo scenario generale ha (quasi) azzerato le (quasi) remote tragedie: gli sconfitti al tavolo che uscivano e si sparavano, oppure correvano a sdraiarsi sui binari, o salivano in hotel e s’uccidevano di pasticche… 
Ancora con lo sbirro: e gli strozzini, qual è la situazione? «Ragionando sulla prevalente tipologia di gioco, cioè le slot-machine, l’usuraio non serve. Respira fauna criminale qui intorno? L’ambiente è stato ripulito. Puntando di centesimo in centesimo, la gente si mangia la pensione. Terminati i soldi, si chiedono prestiti ai parenti, oppure al prete. In provincia i preti tengono in piedi il welfare, s’arrabattano per non impedire la disgregazione delle famiglie. Quelle superstiti». 
Ognuno è ripiegato su di sé, sia alle slot che ai tavoli; azzardare una battuta con l’obiettivo d’alleggerire il clima di tesa concentrazione, sudori ghiacciati e respiri tremanti, innesca occhiate apocalittiche nei confronti dello stolto individuo che ha proferito verbo. Sicché per avviare dialoghi, la soluzione sono gli spazi esterni dei fumatori. E poiché il gioco questo rimane – uno vince e novantanove non vincono —, la cinica solidarietà tra perdenti è un’efficace breccia, eccetto che per i numerosi cinesi al solito diffidenti e taciturni. 
Signora, gonna di fiori. «Io e mio marito abbiamo lavorato per il Comune di Milano. La sottoscritta puliva le strade, lui guidava i tram. Con i risparmi abbiamo preso una casa sopra Bordighera, piccola, a un prezzo d’occasione. Veniamo al casinò per divertimento. Io alle slot, mio marito ai tavoli. Gioco le monetine, non mi scambi per una di quelle tossiche nei bar di periferia… Solo le mo-ne-ti-ne, e vada come vada». Come sta andando? «Mio marito s’incazzerà di brutto. Ho perso tanto. Spero che abbia perso anche lui, almeno m’incazzo di brutto, evitiamo di litigare e magari domani torneremo per recuperare la sconfitta». 
Volendo noi condurre un’umile indagine nella sua interezza su questo simbolo italico, poesia di architettura e di interni, già location di attori e cantanti, di aneddoti veri o falsi («La divina Mina, che appassionata dei tavoli!»; ma vinceva o perdeva? «Che importa???»), urgono tre premesse. 
Sono qui con mio marito. Io alle slot, lui alla roulette. Gioco soltanto le monetine, e vada come vada. In verità ho perso molto, spero che abbia perso anche lui. Almeno evitiamo di litigare. E magari domani torniamo per recuperare 
La prima: il casinò è una regolare azienda che vende un prodotto, e quindi d’accordo con la devastazione psico-fisica e sociale della ludopatia, ci mancherebbe, però se uno dilapida patrimoni non è colpa di noi contribuenti (e nemmeno di voi evasori). Seconda premessa: il casinò è una fabbrica di assunzioni, stipendi, bilanci familiari; inimmaginabili, assai più che altrove, gli effetti economici dell’orrore pandemico. Terza premessa: leggendo l’ultimo bilancio, sono stati dichiarati 22 milioni di euro di incassi (ma con la riapertura al pubblico da giugno), dei quali 18 dalle slot. Al che, abbiate pazienza, serve una quarta premessa. Il casinò conta 450 macchinette elettroniche, un obbrobrio secondo i praticanti e i filosofi del «vero gioco» (roulette, blackjack, poker), l’unico capace di generare siffatte dinamiche — rileggendo Dostoevskij – di patologie, ossessioni, febbri inguaribili: «“Eccolo, puntalo subito sullo zero”. “Nonna, ma lo zero è uscito adesso, e ora per un pezzo non uscirà. Lei perderà molte puntate; aspetti almeno un poco”. “Sono tutte chiacchiere, punta!”. “Mi scusi, ma forse non uscirà prima di sera e lei perderà delle migliaia; sono cose che sono già successe”. “Sciocchezze, sciocchezze! Chi ha paura del lupo, non vada nel bosco. Abbiamo perduto? Punta ancora”». 
Con rispetto, profondo rispetto, in mezzo a una miriade di telecamere di sorveglianza, i tavoli sono affollati di nonne (come di nonni nonché di badanti che però sovente scappano alle slot). Dovendo battezzare fra loro una ristretta gamma di personaggi (questi reali), abbiamo individuato quattro tipologie: l’Attrice, il Contabile, la Donna dei Dispari, l’Insolente. 
L’Attrice tiene un calice vuoto poggiato sulla guancia; esibisce un magistrale sorriso di traverso; gestisce la partita di blackjack ammirata dai non giocatori che – quando vince – le sussurrano mielosi e/o arditi complimenti e che – quando perde, molto più spesso – scagliano un accorato quanto inutile coro contro la malasorte; l’Attrice azzarda a ripetizione mosse kamikaze: per esempio, avendo in mano un totale di 19 punti ed essendo il massimo di 21, chiede ogni volta un’altra carta. E la carta, inesorabile, la spinge vicino al 30. 
Il Contabile siede sul tavolo opposto, quello della roulette; ricorda Richard Jarecki, un misterioso alemanno, forse medico, forse docente universitario, forse capitano d’industria, forse bluff. Si presentava in Rolls Royce e smoking, piazzava puntate non inferiori alle 750 mila lire – era il 1968 – e realizzava, a serata, vincite tra i 30 e 50 milioni. Convinti che usasse dei trucchi, gli impedirono l’ingresso. Più tardi si disse fosse stata una figura creata dalla direzione per ragioni di marketing, d’intesa con i soliti giornalisti scrocconi che ricevevano in premio fiches. Da par suo Jarecki annotava su un foglietto i numeri usciti ed elaborava proiezioni, sicuro che la teutonica statistica fosse più forte del caso, il rigore nordico dell’imprevedibilità latina. L’odierno suo emulo, il Contabile, dispone di un taccuino delle dimensioni d’un biglietto da visita; s’astiene dal gioco per minuti, chino a compilare griglie, finché cerchia un numero accovacciandosi come un compagno di banco che non vuole farsi copiare, e muove le fiches. Risultato? Una volta vince, una volta perde. 
Vince sì, ma meno di quanto investe, la Donna dei Dispari, che ordina all’impeccabile croupier puntate in contemporanea sul 3, l’11, il 19, eccetera. Ordina nella misura in cui, consapevole che spostare quella vagonata di fiches sia una fatica micidiale, decide di starsene nel suo angolo, comoda come su una sdraio. Una benedizione che l’Insolente sia altrove. L’Insolente gioca a un tavolo di blackjack. Altissimo, protetto dalla mascherina, non tollera la presenza di esseri umani. Una donna sbotta richiamando l’intervento del capo-sala. «Che succede?». «Non riesco a raggiungere il tavolo e ho pregato il signore, visti gli anni, di far spazio sedendosi sulla sedia. Mi ha invitato in un posto non consono a una signora». «Signore, vuole sedersi?». L’Insolente, col finto tono sottovoce per farsi udire: «Ma va’ a dà via il…». 
Uno dei principi internazionali dei croupier è Stefano Melani. Ha aperto scuole, a breve inizierà la stagione professionale nei mari, sugli yacht degli emiri, arbitro di contese milionarie di poker. Melani è critico nei confronti dei casinò italiani, «vincolati ai politici e alla politica, un peccato perché basta andare a Mendrisio e si visita una casa da gioco dinamica, divertente». Tema atavico. Amen. Senta, quali le doti di un croupier? «Lingue, capacità d’inquadrare le persone dai segni del corpo, memoria. Da noi a scuola arrivano giovani freschi di maturità, ambiziosi, svegli. Affamati». 
Giovani. Ne vediamo alle slot-machine. Quattro. Abbronzati, educati. Siedono attorno alla roulette elettronica: le puntate avvengono pigiando le dita sullo schermo. Si danno come tetto un esborso di 30 euro. Perdono e se ne vanno. Puntuali. Lineari. Istantanei: la permanenza dura undici minuti. Al quarto minuto si erano già stancati e avevano attaccato a chattare sul telefonino. 
Puntuale e lineare, e a modo suo istantanea, è una madame che fece la vita. Tuta, cane nella borsetta. «Ho esordito per insostenibili necessità. Un classico, vero? Preferiva una genesi più sorprendente? No? Meglio. Poi ho proseguito per consapevole scelta». La ricerca di madame ha costretto a molteplici telefonate lungo la costa, verso il confine; è stata successiva alle chiamate ad attuali escort e gigolò di Sanremo per porre la domanda se esistano ancora richieste di accompagnamenti al casinò. Risposta negativa. Madame: «Ai miei tempi la prostituta seguiva il cliente ai tavoli anche per più sere consecutive; si guadagnava un sacco, in un ambiente pericoloso, violento, di vendette, di malavita… Gli uomini ci regalavano vestiti sartoriali, vacanze, appartamenti... A patto che il tizio che pagava per la compagnia vincesse… Altrimenti, a me e alle altre, capitava di scappare dall’albergo come ladre, ché magari quello si metteva in testa di accopparci convinto che portassimo jella… Oggi? Non ho idea. Sono vecchia, ho casini al cuore. Qualcuno mi cerca, ma chi ha voglia… Oggi? Lei insiste… So di uomini che pagano e prima di spogliarsi aprono lo zaino, tirano fuori il computer e mettono su un film porno. Sennò non riescono a far l’amore. E fissano lo schermo, non la donna. E di fretta, di corsa. Sarà la stessa cosa per i casinò reali e quelli virtuali. Mi capisce?». Eh, no. «Con i virtuali fai prima, comodo, nascosto. Nessuno ti nota e giudica». 
La versione online del casinò di Sanremo, che grazie al piano strategico ha ampliato gli intrattenimenti offrendo spettacoli, concerti e primizie culturali, è assai apprezzata. Dopodiché, nel 2019, prima della pandemia, i dati raccontano di una raccolta in Italia di 36 miliardi di euro per tutti i giochi virtuali di tutte le aziende; sono 100 milioni al giorno. 
Di questo passo, magari rivedremo il vagabondo canterino elemosinare sulle scalinate del Metaverso.