la Repubblica, 17 luglio 2022
Intervista a Francis Ford Coppola
Francis Ford Coppola ha compiuto ottantadue anni ad aprile e a incontrarlo oggi fa impressione per come metta, per l’ennesima volta, tutto il proprio fervore in un nuovo grande progetto cinematografico che ha come titolo provvisorioMegalopolis e un cast composto da Adam Driver, Nathalie Emmanuel, Forest Whitaker e John Voight. È dimagrito più di venti chili e non porta più gli occhiali, ma l’energia è quella di sempre: ha investito ancora una volta in prima persona per essere il più possibile autonomo dagli studios e parla con l’entusiasmo di un debuttante. Ha vinto cinque Oscar e realizzato alcuni dei film più leggendari della storia del cinema. Tuttavia, a causa dell’età e di una serie di lavori che non hanno avuto successo, il suo nome è considerato a rischio, specie per i produttori che oggi governano Hollywood, non ancora nati all’epoca del Padrino e diApocalypse Now. «Niente di nuovo», si limita a commentare, ma rifiuta la scorciatoia del pessimismo riguardo al futuro del cinema.
Nel discorso di accettazione per il premio alla carriera attribuito quindici anni fa dal Lincoln Center paragonò Hollywood a un’industria farmaceutica che produce unicamente Viagra e tranquillanti…
«In questo momento non ricordo esattamente le parole che ho usato, ma in America l’essenza di ogni business è far soldi, e quindi le scelte sono motivate dal come farli e dall’effetto che ha questa impostazione sul pubblico».
Come è cambiata l’industria a causa della pandemia?
«Senza perdere di vista l’impostazione appena descritta, io penso che l’infinita serie di nuovevarianti stia allungando la pandemia molto più del previsto e del necessario: la crisi continua».
Molti pensano che le sale cinematografiche siano condannate a scomparire, e ovunque si vedono sale che vengono chiuse per sempre. Lei vede un futuro per i cinema?
«A mia opinione invece c’è un futuro, e penso che nel 2024 una grande prima in una sala cinematografica rappresenterà la chiave e il fattore determinante del settore».
Ritiene che un film, per goderlo pienamente, sia da vedere al cinema, e che questa esperienza sia parte dell’essenza del cinema stesso?
«Sì, la penso così. Il responso del pubblico all’interno di un teatro ha retto la sfida del tempo, sin dai tempi di Eschilo, Sofocle ed Euripide: stiamo parlando di tremila anni fa».
Ormai da più di un decennio si sono affermate le serie televisive: ritiene che abbiano cambiato illinguaggio del cinema?
«Certo, è innegabile, e il pubblico si è abituato a questi ritmi e a questa lunghezza».
A suo avviso queste serie sono da considerare cinema o si tratta di un’altra forma?
«Secondo me sono cinema, senza alcun dubbio».
Qual è il suo giudizio sull’avvento di nuove, potentissime forze produttive quali Netflix, Amazon e Apple? E come immagina si muoveranno in futuro?
«Dipende in realtà dalle rispettive leadership. Personalmente io sono in totale disaccordo con l’algoritmo della Netflix e con il modo in cui distribuisce il cinema, ma nello stesso tempo ammiro la capacità produttiva creata da Ted Sarandos».
Ritiene che il cinema indipendente, e più in generale il cinema inteso come arte, abbia un futuro o pensa che dobbiamo aspettarci soltanto dei blockbuster?
«Non si può ignorare che il cinema contemporaneo ci abbia offerto un film come Roma di Alfonso Cuarón, come anche prodotti originali come Swiss Army Man (in italiano:Un amico multiuso ) ».
Esiste ancora un vero pubblico per il cinema o anche i giovani si stanno allontanando?
«I giovani sono la nostra più grande risorsa, ma il rapporto con loro può portare dei frutti solo se li includiamo per consultarli e gli permettiamo di esprimere le loro opinioni. Per il momento il rapporto si limita solo ed esclusivamente a vendere».
Lei ha ipotizzato un’evoluzione del cinema in cui lo spettatore può decidere a piacimento il finale di un film.
«È qualcosa che non escludo affatto ma, per quanto mi riguarda, mi limiterei soltanto al finale».
Secondo lei chi sono, tra i giovani, i più interessanti registi del momento?
«Il primo nome che mi viene in mente è proprio quello di Alfonso Cuarón, e se non lo considera sufficientemente giovane penso a Denis Villeneuve, ma non perDune ».
Nella sua carriera lei ha messo ripetutamente a rischio la propria reputazione e il proprio denaro per realizzare progetti ambiziosi come “Apocalypse Now”. Oggi sarebbe possibile realizzare un film del genere?
«Io ritengo di si».
Ha appena fatto lo stesso con il suo nuovo progetto “Megalopolis”, che segna il suo ritorno alla regia dopo dieci anni.
«Posso dirti solo che inizierò a girare a Novembre a New York e poi in un teatro di posa in Georgia. E si, che è ambizioso».