Il Messaggero, 17 luglio 2022
Una mappa ragionata dell’evoluzione della nobiltà italiana
Non è un caso che in Italia non abbia avuto gran successo Downton Abbey, la serie inglese di Julian Fellowes sulla storia e decadenza di una famiglia dell’aristocrazia britannica, attraverso i decenni di cruciale trasformazione che separano l’affondamento del Titanic dalla anni Quaranta. Noi italiani in realtà siamo impermeabili all’aristocrazia e l’aristocrazia, di converso, è impermeabile ai drammi della storia, e ai mutamenti che essa impone, se è vero che è dotata di una straordinaria capacità di resilienza che le permette di cavalcare i cambiamenti, adattarsi ai tempi, rinnovarsi, riciclarsi anche se tutto congiura verso la estinzione per la scomparsa della diseguaglianza, dei privilegi di nascita, del censo, del capitale immateriale di una eccellenza (spesso è vero soltanto simbolica) ma fondata su una tradizione immemoriale.
LA DIMOSTRAZIONE
Bisogna leggere questo libro, Storia di un’élite, per scoprirne la dimostrazione millimetrica attraverso una messe di casi, situazioni, circostanze singolari e al tempo stesso universali. Qui la prosopografia dell’Italia contemporanea, e cioè la raccolta di aneddoti e dati biografici riguardanti i personaggi più illustri delle varie regioni italiane negli ultimi due secoli, s’intreccia di continuo con la rilevazione statistica e l’interpretazione sociologica alla Pierre Bourdieu, e cioè in funzione della teoria del potere di classi e della teoria dei ceti, ma alla fine cede volentieri alle pressioni del racconto puro di tante vite peculiari che formano la trama stessa del romanzo della nazione.
L’autrice, la storica dell’Università di Bologna Maria Malatesta, specializzata nella storia delle professioni, offre una mappa ragionata e avvincente dell’evoluzione della nobiltà italiana a partire dalla Restaurazione, e l’epoca successiva alla Rivoluzione francese e alla fine dell’Impero napoleonico, sino ai gloriosi anni Sessanta del secolo scorso, quando non a caso tre geni dell’arte, come Giuseppe Tommasi di Lampedusa Luchino Visconti e Federico Fellini diedero vita al canto del cigno dell’aristocrazia italiana con una struggente lezione di eleganza e nostalgia sul senso stesso della decadenza. Pur essendo una patita di statistiche sociologiche, in chiave di materialismo post marxista, Maria Malatesta confessa un debole per il mondo che fu, filtrato dalla venerazione per un autore rappresentativo della grande aristocrazia siciliana come Tomasi di Lampedusa, il teorico attraverso il principe di Salina del «cambiare tutto per non cambiare nulla», e ci consegna un affresco vivido, mosso, a volte inafferrabile delle risorse poste in essere dalle 200 famiglie della nobiltà italiana per sopravvivere a se stessa e al declino del proprio mondo, rinnovandosi e adattandosi al nuovo. Ecco allora che l’arida rassegna sociologica si colora di romanzesco, quando entrano in scena i carbonari del Risorgimento e i martiri dell’Unità che rischiano la vita e i propri beni per battersi contro il regime illiberale, sia esso il Piemonte codino pre Cavour, o la Napoli dei Borbone fin de règne, e da un giorno all’altro si ritrovano esuli, poveri in canna, alla mercé di parenti, amici o di ricche fanciulle da impalmare, come a Londra il conte Pepoli.
E infatti lo Stato unitario attingerà alla nobiltà ribelle per ricreare le nuove élite della politica, della diplomazia, della magistratura e della cultura, fondate sul merito ma anche sul capitale relazionale, come dimostra per esempio Enrichetta Carafa Capecelatro, la dama di corte napoletana che a sessant’anni si mette a studiare il russo e finisce per tradurre Tolstoj.
ARALDICA
Sicché molti, pur di rientrare in gioco, cambiano casacca, lasciando il vecchio legittimismo per servire l’Italia Unita, come per esempio gli Acton di Napoli ammiragli illustri, come la loro sorella Luisa, vedova Beccadelli e moglie del ministro della Destra storica, Marco Minghetti. Il trasformismo dunque non nasce con Depretis, ma è il filo rosso che percorre la storia d’Italia e d’Europa e ricama la sua trama fantasiosa per ogni cambio di regime, trasformando nobili eroi di guerra in squadristi o fanatici rivoluzionari, cortigiani mansueti in cospiratori antifascisti, industriali all’avanguardia in fissati di araldica, dopo che sui titoli nobiliari sarà caduta la scure della costituzione repubblicana.