Il Messaggero, 17 luglio 2022
Dalla depressione si viene fuori
La depressione è il rogo dell’anima, l’abisso della mente, il nubifragio della coscienza.
Tre volte sono precipitato in questa fossa dei serpenti. È peggio della follia di cui, chi ne è vittima, può anche non rendersene conto.
Churchill, che ne soffrì negli anni terribili della guerra, la battezzò il cane nero. Giuseppe Berto, ghermito da questa spaventosa piovra, intorno ai quarant’anni, la raccontò ne Il male oscuro. Montanelli che ciclicamente ogni vent’anni ne fu assalito, piombava nella più cupa disperazione (una volta, a villa Borghese, durante una delle nostre abituali passeggiate mattutine, scoppiò in lacrime, mi abbracciò e mi disse: Stavolta, la faccio finita). Furono grandi depressi bipolari, che alternavano stati di angoscia cosmica a un’euforia quasi goliardica.
Depressi, ci trasformiamo, diventiamo altri. Viviamo struggendoci apparentemente senza motivo, un travaglio implacabile e senza fine. Tutto ci sembra perduto, tutto ci sembra inutile, tutto sembra infierire contro di noi. Ci specchiamo in noi stessi: solo vetri infranti. La paura c’invade, ci tormenta, ci tortura, ci stritola e non sappiamo perché. Cosa abbiamo fatto? Perché ci è stata inflitta una punizione così crudele? Perché? Perché?
Il rovello non ci risparmia, psicosomatizzandosi. Mali immaginari fanno da funesto corteo allo smarrimento dell’anima, che non sa più a chi chiedere soccorso. «La volontà mi esortava mia moglie, mi esortavano gli amici, nobilita tendila fino all’ultimo palmo. È un’arma infallibile. Ti aiuta a sconfiggere il male oscuro, a domare il cane nero». Illusione. La volontà è malata, la più colpita da quel furore panico che ti flagella, incide nella tua mente gli aculei più sottili, più subdoli, quei pungoli che ti fanno urlare: Basta, basta, non ne posso più. Voglio anch’io morire come Zweig, Koestler, Virginia Woolf, Hemingway, Jack London, Cesare Pavese, Primo Levi, e tanti altri scrittori, artisti, scienziati.
Perché non la fai finita? Ci vuole coraggio a farla finita. Non è un gesto di debolezza sopravvivere. Tu te ne rendi conto, e anche se questo coraggio ce l’hai, non ti spari, non t’impicchi, non ti butti dalla finestra, non t’imbottisci di Nembutal come Marilyn Monroe. Eppure, spezzando con le cesoie che ti porge Atropo, potresti uscire, uscire per sempre dal tenebroso tunnel. A me questo coraggio è mancato. O, forse, mi è venuta meno la forza di alzarmi dalla poltrona dove, fissando il vuoto, intrattenendomi dalla mattina alla sera con gli spettri equivoci sfuggenti di quell’inferno immaginario che era dentro di me, mi investiva con le sue fiamme, mi ustionava con le sue braci. Basta, basta, basta! Che senso ha la vita se il prezzo è questo: un prezzo spropositato che non sarò mai in grado di pagare.
Due soli medici possono lanciarti un’ancora di salvezza: lo psichiatra e il tempo. La depressione, non dimentichiamolo, ha spesso una matrice biochimica: un deficit di serotonina (un neurotrasmettitore vitale). Se non la reintegri subito con un farmaco ad hoc, dal vicolo cieco non esci come chi ha il diabete dovrà ricorrere all’insulina.
Il tempo è un grande medico. Abbiate fiducia in lui, prima o poi farà il miracolo e voi tornerete come prima, meglio di prima.
Sappiate, sappiate tutti, anche i più nichilisti, che dalla depressione si viene fuori, si esce sempre. È un male come tanti, ma diverso dagli altri: più insidioso e perfido. Non perdetevi mai d’animo, anche se l’animo sembra annientato dall’angoscia. Date un ordine spartano alla vostra vita e non sgarrate. Alzatevi sempre alla stessa ora, coricatevi sempre alla stessa ora. Se vi è possibile, fate lunghe passeggiate, meglio se sotto gli occhi della natura, da cui ogni linfa benefica sgorga. Se ci riuscite, leggete. Le Lettere a Lucilio di Seneca vi saranno di immenso aiuto. Fatene tesoro: mi ringrazierete.
Non dimenticate che tutto quello che succede, che ci succede ha una ragione. Alla resa dei conti, che puntualmente scandiscono la nostra esistenza, riscuoterete la mercede di tanta sofferenza.